Il re è nudo. Se mai ci fossero stati dubbi circa le ambizioni di Mark Zuckerberg, la lettera del fondatore di Facebook di qualche giorno fa sembra aver sgomberato il campo.
Il tono usato da Zuckerberg è quello di un capo di Stato, anzi di un leader politico mondiale in grado di dare linea e visione per un futuro possibile. “Are we building the world we all want?”, si chiede il fondatore del popolare social media, interrogandosi sulla direzione da seguire.
La lettera, diffusa naturalmente attraverso Facebook, rappresenta solo l’ultima mossa di una strategia iniziata all’indomani del risultato delle elezioni presidenziali americane; mentre i social media, e Facebook in particolare, finivano sotto accusa perché considerati come il volano del populismo, l’azienda americana aveva deciso di rispondere introducendo un’opzione per segnalare le cosiddette “fake news”.
Le segnalazioni vengono poi inviate ad un team di cui fanno parte alcuni media tradizionali che valutano la fondatezza delle notizie; terreno insidioso visto che da piattaforma che semplicemente connette, Facebook si trasformava, di fatto, in una piattaforma che, seppur indirettamente, opera scelte editoriali, dunque politiche.
Non a caso Zuckeberg, per la prima volta, aveva ammesso che sì, Facebook è una “media company” e non solamente un’azienda tecnologica come aveva sempre precisato per tenersi lontano dal viscoso terreno della politica.
Poco dopo sono iniziati a circolare innumerevoli articoli che indicano Zuckerberg come l’unico possibile avversario di Donald Trump (tra quattro anni) dopo la sconfitta che ha sbaragliato il Partito Democratico americano.
A questo punto viene da chiedersi se non sia davvero arrivato il momento di far suonare un campanello d’allarme; che la Silicon Valley fosse un fenomeno eminentemente politico – oltre che tecnologico e culturale – era difficile crederlo fino a ieri e il caso dell’evasione fiscale di Apple in Europa è solo uno degli ultimi esempi.
Continuare a non porsi il problema, oggi, rischia di diventare colpevole.
Il silenzio dell’Europa sulla questione del controllo strategico e la gestione delle informazioni di miliardi di cittadini di tutto il mondo è una questione non più rinviabile.