Finalmente Facebook ha fatto outing. Ha ammesso pubblicamente la sua reale identità, ossia che è una media company e non un semplice social network, né una mera piattaforma che offre tecnologie agli utenti.
Perché Facebook è una media company
I post, le foto e i video non si visualizzano automaticamente sulle bacheche (o diari) degli utenti del più utilizzato social network del mondo, ma dietro c’è chi decide cosa deve apparire mentre si naviga su Facebook. Se ci pensate proprio come avviene sia quando si visitano le home page e le pagine dei siti di informazione sia quando si leggono i giornali cartacei. Le notizie pubblicate sono decise dal direttore.
Facebook fa lo stesso. Si comporta come un direttore responsabile di un sito d’informazione o un giornale e decide sia la gerarchia delle notizie sia i criteri di visualizzazione. E lo fa scrivendo e aggiornando quotidianamente l’algoritmo del News Feed, lo “spazio notizie” nel quale viviamo e interagiamo quando siamo nel social network. Il flusso di notizie sulla bacheca è diverso da utente ad utente e si genera in base agli amici, ai like e ai commenti. È personale, ma deciso a priori dalle regole di Facebook.
Zuckerber: Siamo sì una media company, ma non tradizionale
La tardiva ammissione è arrivata da parte del fondatore durante una diretta su Facebook, una sorta di chiacchierata (nel video che segue) tra Mark Zuckerberg e la sua più stretta collega Sheryl Sandberg, direttrice operativa della società. “Non scriviamo le notizie che le persone leggono sulla piattaforma – ha detto il CEO – ma nello stesso tempo sappiamo che il nostro ruolo è superiore a quello di distributori di notizie e occupiamo una parte importante nel dibattito pubblico”.
A Roma aveva detto il contrario
Ad agosto scorso, quando in Italia è stato accolto come un capo di Stato, Zuckerberg, durante un incontro con gli studenti dell’università Luiss (vedi il video intergrale), aveva tenuto a precisare che “Facebook non è una media company, ma una piattaforma tecnologica e svolgiamo questo ruolo con la massima serietà”.
Le bufale hanno fatto fare marcia indietro a Zuckerberg
Allora perché il CEO di Facebook in soli 4 mesi si è rimangiato le parole? Perché sul social network impazzano sempre di più le bufale, le notizie false, ben impaginate e impacchettate che agli occhi della maggioranza degli utenti risultato vere. Il boom delle fake news si è registrato durante la campagna elettorale statunitense ed è emerso che ne abbia tratto più vantaggio chi ha vinto le elezioni, Donal Trump. In Italia nei giorni precedenti al referendum costituzionale la notizia di politica più condivisa (233mila volte) dagli utenti di Facebook è stata una bufala: “Le schede elettorali già segnate con il Sì”.
Con un forte ritardo chi ha inventato il social network si è reso conto che dell’esistenza di chi lo sfruttava sia per fare denaro sia per influenzare l’opinione pubblica, soprattutto alla vigilia di importanti tornate elettorali.
Facebook è corso ai ripari
In due modi: annunciando, pochi giorni fa, l’introduzione della segnalazione per i post contenenti bufale (al momento attivo solo negli Stati Uniti), e poi cercando una sorta di direttore editoriale globale, un capo che abbia il compito di continuare a selezionare quali notizie giornalistiche far visualizzare sulle bacheche dei circa 2 miliardi di utenti e allo stesso trovare tutti i modi possibili per eliminare o penalizzare le bufale, le notizie che sembrano vere, ma sono inventate ad arte. Camuffate così bene da essere condivise da milioni di persone. Questo fenomeno ci ha portati dritti nella società della Post verità.
Che cos’è la società della Post verità
Agli utenti del web fa più comodo condividere ciò che si pensi sia verità piuttosto una notizia (vera). È più facile e veloce mettere “Mi piace” a un titolo che prende alla pancia e non a uno che richiede un’analisi e un tempo di lettura di non pochi secondi. Il fenomeno è talmente diffuso da aver convinto l’Oxford Dictionary a decretare Post Truth la parola dell’anno. Per colpa soprattutto delle falle nell’algoritmo di Facebook.
Con l’arrivo della “direzione giornalistica” vedremo cosa cambierà.