In Italia i nuovi investimenti in reti a banda ultralarga comporteranno un aumento del PIL compreso fra uno e due punti percentuali nel giro di una decina di anni, con punte di tre punti percentuali nel settore ICT. Fra i fattori determinanti per gli investimenti c’è la presenza di famiglie e la densità di linee presenti nelle aree da coprire. La scarsità della domanda resta l’ostacolo maggiore da superare per il raggiungimento degli obiettivi di copertura imposti dall’Agenda Digitale europea e l’aumento della concorrenza è considerato un fattore positivo, tenuto conto della necessaria neutralità tecnologica. E’ questo in sintesi il risultato di uno studio realizzato dall’Università La Sapienza in collaborazione con Agcom (Progetto Screen-Agcom) “Assessing the sectorial effects of ICT investments: the case of broadband networks” presentato questa mattina nella sede dell’Autorità, dove i principali operatori Tlc del paese – TIM, Vodafone, Wind, Fastweb ed Eolo – e le associazioni dei piccoli provider – Aiip e Assoprovider – si sono confrontati sulle prospettive del settore. Al workshop, organizzato dall’Agcom, è stato presentato anche un altro studio, “Le determinanti degli investimenti privati in infrastrutture di telecomunicazione”, realizzato dal Servizio Economico Statistico dell’Autorità che analizza in particolar modo il segmento dell’unbundling della rete in rame di Telecom Italia.
Il seminario è stato aperto dai padroni di casa, il presidente dell’Autorità Angelo Marcello Cardani e il Commissario Antonio Nicita; hanno partecipato Marco Delmastro, Direttore del Servizio Economico e Statistico dell’Agcom e Paolo Lupi, Responsabile della Direzione Analisi di Mercato e Concorrenza dell’Agcom; Maurizio Franzini, Professore Ordinario di Politica Economica della Sapienza, e Massimilano Tancioni, ricercatore di Politica Economica nel Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza; Cristoforo Morandini, Chief regulatory & Equivalence officer di Telecom Italia; Maria Luisa Cesaro, Head of Regulation and Competition Affairs di Vodafone Italia; Lisa Di Feliciantonio, responsabile Public Affairs di Fastweb; Romano Righetti, Regulatory,Antitrust Privacy and Wholesale Affairs di Wind; Antonio Rita, responsabile Affari Istituzionali, Regolamentazione e New Business di Ngi (Eolo); Renato Brunetti, presidente Aiip; Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider.
Le determinanti degli investimenti privati in infrastrutture di telecomunicazione
“Il report realizzato dall’Agcom ‘Le determinanti degli investimenti privati in infrastrutture di telecomunicazione’ vuole misurare le ragioni che spingono gli operatori ad aprire centrali in Ull (Unbundling local loop) – ha detto il commissario Agcom Antonio Nicita – è vero che oggi siamo già sulla fibra, ma analizzare le determinanti di investimento degli operatori privati sul rame è un contributo importante per prevedere scenari futuri ed è per questo che l’Agcom ha realizzato questo studio”.
“Un report realizzato dal Servizio Economico e Statistico dell’Autorità, nato un anno fa, per consolidare una serie di informazioni interne da condividere con gli stakeholder per ridefinire, nel caso, la regolazione – ha detto Marco Delmastro, Direttore del Servizio Economico e Statistico – Siamo in una fase di chiusura della stagione dell’unbundlig, le linee ULL vengono progressivamente chiuse, sostituite gradualmente da linee verso il cabinet. Ma grazie all’analisi georefrenziata in collegamento con l’ISTAT, è possibile vedere quali sono le determinanti di investimento in ULL, con informazioni che potranno essere utili anche a nuovi attori, come Enel, per investimenti futuri in fibra”.
“Tutti i principali concorrenti di Telecom Italia (Wind, Fastweb, Vodafone) sono presenti quasi ovunque nelle centrali di Telecom Italia – dice Paolo Lupi, Responsabile della Direzione Analisi di Mercato e Concorrenza dell’Agcom – il 40%-45% della popolazione italiana è connesso a banda larga, ma sono diversi i fattori che determinano l’apertura delle centrali Telecom: dalla densità di linea (il rapporto fra le centrali e il numero di linee) all’altitudine del comune, al numero di famiglie sul territorio, al titolo di studio, all’occupazione, al reddito”.
Secondo i dati Agcom, l’occupazione e il reddito non sono determinanti nella sottoscrizione di un abbonamento a banda larga, più importante la determinante del prezzo e fondamentale per l’apertura delle centrali in unbundling da parte degli operatori la densità di linee e il numero di famiglie potenzialmente coperte.
Si tratta di indicazioni legate al rame, ma possono essere utili anche per pianificare gli investimenti in fibra.
Assessing the sectorial effects of ICT investments: the case of broadband networks
“L’obiettivo dello studio sulle reti a banda ultralarga che abbiamo realizzato nell’ambito del progetto Screen insieme con Agcom è stimare gli effetti degli investimenti in nuove reti ultrabroadband su produzione, occupazione e prezzi da qui al 2025 – dice Maurizio Franzini, Professore Ordinario di Politica Economica della Sapienza – i modelli che abbiamo realizzato sono basati su ipotesi di investimento in nuove reti variabili (5, 8 e 12 miliardi di euro). Ipotizzando un investimento di 8 miliardi, si avrebbe un incremento del 20% delle attuali infrastrutture di rete”.
Con un investimento di 5-10 miliardi, l’incremento del valore aggiunto (PIL) è più del doppio secondo le previsioni del report. I settori che avrebbero maggiori vantaggi sono quello dell’intermediazione finanziaria, attività di business come real estate, trasporti e comunicazioni, meno l’education. Gli effetti sull’occupazione rischiano invece, in alcuni settori, di essere negativi, con un calo dei prezzi.
Gli operatori
C’è un 34% della popolazione che può affidarsi soltanto a Telecom Italia? “Il tema dell’unbundling è soprattutto un tema di densità (delle centrali Telecom Italia) – dice Cristoforo Morandini, Chief regulatory & Equivalence officer di Telecom Italia – Già tre anni fa, in uno scenario di unbundling, erano circa 200 le città dove si considerava una concorrenza infrastrutturale. Più o meno lo stesso numero di città indicate da Enel Open Fiber (224 ndr) per la sua iniziativa in fibra. Analisi nuove e vecchie dicono che la concorrenza geografica esiste. Siamo ansiosi di vedere dove e a che prezzo investirà Enel”.
“Veniamo da anni di forte criticità nell’accesso wholesale alle reti di Telecom Italia – dice Maria Luisa Cesaro, Head of Regulation and Competition Affairs di Vodafone Italia – per quanto riguarda l’unbundling delle centrali Telecom, un conto è ciò che si può potenzialmente acquisire (il 65% di esse) e un conto è ciò che è stato acquisito realmente (il 25%). Questo differenziale è dovuto anche ai forti limiti nella qualità di fornitura dei servizi wholesale. In Italia sul fisso è più difficile competere, perché esiste una sola rete in rame a parte alcune eccezioni regionali. Nel mobile invece, l’assenza di una situazione di partenza di monopolio, ha reso possibile una maggior competizione con la creazione di 4 infrastrutture in concorrenza tra loro. Lato Vodafone, abbiamo sostenuto importanti investimenti sia sul fisso che sul mobile”.
“Fastweb ha sempre puntato sull’infrastrutturazione, il dato della densità ha sempre pesato molto sulle scelte d’investimento, come le scelte regolatorie di quest’ultima consiliatura– dice Lisa Di Feliciantonio, responsabile Public Affairs di Fastweb – la decisione di diminuire i costi di unbundling aumenta automaticamente il footprint degli investimenti. Contestualmente l’Autorità ha abbassato anche il prezzo del bitstream”. In Italia, “il 50% delle famiglie non ha la banda larga – aggiunge – la parte che manca ancora è la domanda, perché le famiglie non sentono ancora l’esigenza dei 100-200 Mbps, ma drogare il mercato con i voucher potrebbe essere un danno”.
Le fa eco Romano Righetti, Regulatory,Antitrust Privacy and Wholesale Affairs di Wind: “I clienti non sono disposti a pagare un premio per un Adsl performante, ma la domanda di fibra è molto localizzata – dice – Ciascun operatore ha diversi modelli di business: nel mobile alcuni operatori hanno comunicato dicendo che danno l’Lte. Ma il cliente vuole connessioni ad un prezzo unico. Infine, parlare di investimenti solo nel fisso e nel mobile è fuorviante. Wind investe ogni anno 700-800 milioni di euro all’anno in Italia ed è il primo cliente in unbundling di Telecom Italia”.
Frequenze 3.6-3.8 Ghz e investimenti pubblici
In ottica di neutralità tecnologica, anche il wireless dovrà fare la sua parte nel quadro della Strategia italiana per la banda ultralarga. Ma per alcuni gli investimenti dello Stato sono alquanto spiazzanti. “E’ per questo che serve l’attribuzione delle frequenze 3.6-3.8 Ghz da parte di Mise, altrimenti i bandi per i Cluster C e D (aree a fallimento di mercato ndr) saranno monchi – dice Antonio Rita, responsabile Affari Istituzionali, Regolamentazione e New Business di Ngi, che opera la sua rete Eolo – nel marzo 2015 il Governo ha stabilito che il wireless fisso debba essere complementare al fisso. Agcom ha emanato la delibera con la cornice di assegnazione della banda 3.6-3.8 Ghz. Ora, un pezzo del governo ha rallentato (manca il bando per l’assegnazione delle frequenze ndr) mentre i bandi per l’assegnazione delle gare nei Cluster C e D (con fondi pubblici per 1,6 miliardi) sono partiti. Per questo chiediamo al Governo di tutelare gli investimenti di tutti gli operatori, assegnando le frequenze. Le risorse pubbliche tengano conto di tutti”.
Le associazioni
“E’ vero che in Italia c’è un ritardo culturale da parte di famiglie e Pmi sul lato della domanda – dice Renato Brunetti, presidente Aiip – ma è anche vero che è la presenza della fibra a fare la domanda e per questo nei Cluster A e B bisogna fare anche più di una rete, in attesa che la domanda decolli. La concorrenza tecnologica migliora la performance delle reti, ricordiamo che il nostro paese è agli ultimi posti per velocità di linea. Questa arretratezza è frutto della mancata concorrenza infrastrutturale, ma anoi serve andare sull’FTTH e per questo benvenga Enel”.
Sul fronte dei cavidotti e del nuovo catasto delle infrastrutture del sottosuolo Sinfi (Sistema Informativo Nazionale Federato delle Infrastrutture), “siamo molto interessati ad avere accesso ai cavidotti – dice Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider – in modo tale che possano essere utilizzati da tutti i player, anche dai nostri associati (piccoli provider ndr). Per i nostri associati il pareggio (dell’investimento ndr) c’è a dieci utenti, l’85% degli investimenti in fibra riguarda lo scavo per la banda larga, ma con tecniche come le microtrincee i costi sono molto bassi tanto più che almeno nei comuni del Nord Est la domanda di banda ultralarga è molto elevata”.
- Studio Agcom “Le determinanti degli investimenti privati in infrastrutture di telecomunicazione”
- Studio Università La Sapienza (progetto Screen-Agcom) “Assessing the sectorial effects of ICT investments: the case of broadband networks”