‘3 is a magic number’: 3 è un numero magico. Questo era lo slogan dell’operatore mobile 3, lanciato in Italia nel 2003, quando a malapena si sentiva parlare di Umts.
Ne è passato di tempo. Sembra un’era geologica: basti pensare che all’epoca tra i cellulari più venduti c’era il Nokia 3310 e gli iPhone potevano essere al massimo un prototipo nel cassetto di Steve Jobs.
Ne è passato così tanto che ‘3’ non è più un numero magico, almeno se sta a indicare il numero degli operatori mobili in un dato mercato europeo. Perché se fino a qualche tempo fa 3 era il numero perfetto per garantire concorrenza, prezzo bassi e innovazione, ora non è più così. Almeno non lo è per la Commissione europea che, dopo che nella passata legislatura aveva approvato il ritorno a tre operatori in Austria, Irlanda e Germania, ha ora invertito la rotta.
Ne sa qualcosa proprio CK Hutchison, casa madre di 3 Italia e 3 UK. Nel Regno Unito, il progetto di fusione con la controllata di Telefonica O2 è stato bocciato (prima che dalla Commissione anche dalle Authority nazionali) mentre in Italia è atteso il pronunciamento per il matrimonio con Wind.
Dall’unione nascerebbe un operatore con un terzo del mercato mobile, quasi alla pari con Tim e Vodafone (la quota di 3-Wind sarebbe solo di poco superiore a quella di Tim), ma verrebbe a mancare, secondo la Ue, una forza dirompente in termini di concorrenza. Il che si tradurrebbe nel temuto aumento dei prezzi. Ma secondo Vimpelcom il matrimonio si farà, entro la fine dell’anno.
Quello tra il nuovo Commissario antitrust europeo Margrethe Vestager e l’industria è un braccio di ferro in cui ciascuna delle parti presenta motivazioni più che valide.
Per gli operatori, le fusioni hanno un senso perché permettono di avere dimensioni tali da poter competere (meglio) con i giganti stranieri e perché consentono di risparmiare sui costi di gestione e di reinvestire nel miglioramento delle reti. Riportare a 3 il numero di operatori – sostengono sempre le telco – permetterebbe di ridurre il predominio degli ex monopolisti (che sono, in genere, ancora dominanti) creando un player in grado di competere ad armi pari coi pesci grandi, invece che di sopravvivere al fondo del mercato. E ancora, gli operatori sostengono che bloccare le fusioni imbriglierebbe la dinamicità del mercato perchè finirebbe per disincentivare coloro che vogliono investire e poi uscirne cedendo le proprie attività.
Per la Ue, invece, il discorso è semplice: eliminare un concorrente dal mercato porterebbe inevitabilmente a un aumento delle tariffe e ridurrebbe la scelta dei consumatori in uno dei pochissimi mercati in cui la liberalizzazione ha portato vera concorrenza e vantaggi in termini di calo dei prezzi. Non è provato, inoltre, che ridurre il numero di operatori favorisca investimenti e innovazione. Sarebbe semmai vero il contrario, dice la Vestager. In Francia, l’arrivo di Free nel 2012, ha portato immediati vantaggi ai consumatori perché i prezzi sono scesi repentinamente e le spese in infrastrutture sono aumentate. In Austria, dopo la fusione tra Orange e 3, i prezzi sarebbero invece aumentati.
Ora, la casa madre di Free potrebbe svolgere un ruolo anche in Italia, per favorire il progetto di 3 Italia e Wind: secondo quanto risulta al Financial Times, CK Hutchison e VimpelCom avrebbero avuto contatti con Iliad e Sky che sarebbero interessati a creare un quarto operatore sul mercato italiano. Se così fosse, la Ue potrebbe forse decidere di dare il via libera all’operazione da 20 miliardi di euro, rinfrancata dal mantenimento di un livello di concorrenza accettabile in un mercato in cui manca un numero congruo di operatori virtuali. Un accordo simile non è invece andato in porto nel Regno Unito, dove non si è riusciti a liberare abbastanza spettro per soddisfare le richieste dei competitor interessati. Tra le varie ‘concessioni’ presentate da Hutchison per ammorbidire la Ue c’era ad esempio la possibilità di siglare accordi con Sky – che già oltremanica offre servizi broadband oltre che di Pay Tv – per la cessione di un quinto della sua capacità di banda, per consentire alla media company di offrire ai suoi clienti servizi di fonia e dati 4G.
Una simile mossa, almeno da parte di Xavier Niel, andrebbe per a cozzare con l’investimento che il patron di Iliad, anche se non attraverso la controllata nelle tlc, ha fatto anche in Telecom Italia di cui ha acquisito una quota potenziale di circa il 15%.
Secondo altre fonti citate da Bloomberg, tra i gruppi interpellati da CK Hutchison e Vimpelcom ci sarebbero anche Tiscali e Fastweb.
In ogni caso, secondo gli analisti di Moody’s, CK Hutchison e Vimpelcom potrebbero anche decidere di accettare rimedi molto stringenti da parte della Commissione europea, viste le difficili condizioni finanziarie in cui versano le controllate italiane. Solo con la loro unione, spiegano gli analisti, si potrebbero migliorare i margini e generare un flusso di cassa più robusto.
Il Commissario Vestager, dal canto suo, continua a ripetere che ‘non ci sono numeri magici’ quanto si tratta di valutare il numero di operatori adatto a ogni mercato. Ogni caso, dice, è un caso a sé e come tale viene giudicato dall’Antitrust.
Secondo diversi analisti, poi, l’approccio della Ue è decisamente miope. Spiega ad esempio John Strand che “Non è il consolidamento il problema: le fusioni sono una conseguenza logica di un mercato maturo, del cambiamento tecnologico, e del calo dei prezzi. Il vero problema sono le regole superate e applicate da autorità della concorrenza isolate con poca o nessuna onestà e responsabilità”.
Per Bengt Nordstrom della società di consulenza Northstream, il blocco della fusione tra 3Uk e O2 dimostra che i regolatori, sia a livello Ue che nazionale, “sembrano preoccupati solo dei prezzi ai consumatori e non sono capaci di pensare al quadro generale”. Bloccare l’unione tra due player piccoli, secondo Nordstrom, finisce per aiutare i leader del mercato, che generalmente si accaparrano già oltre il 50% dei ricavi del settore. E lasciare che i mercati continuino a essere dominati dagli ex monopolisti non aiuta certo la concorrenza né l’evoluzione delle reti verso la fibra ottica, a discapito del futuro digitale dell’Europa. Che sembra una priorità dell’Europa solo a parole.
Resta il fatto che se la Commissione resterà ferma nella sua posizione, le telco dovranno trovare un’altra via per recuperare terreno e ricavi. Un recupero che potrebbe passare da una più massiccia condivisione delle reti – che contribuisce a limitare i costi di gestione delle infrastrutture – o dalla convergenza tra reti fisse e mobili. Una strategia, quest’ultima, che ha portato Vodafone, ad esempio, ad acquisire Kabel Deutschland in Germania e Ono in Spagna o BT a tornare nel mercato mobile acquisendo EE.
Non in tutti i Paesi, però, questo tipo di operazione porta vantaggi significativi.
Alle telco più piccole, quindi, non resta che guardarsi intorno alla ricerca di altri partner, magari società di private equity dalle ampie risorse economiche, interessati a lanciarsi nel business in forte crescita della trasmissione di contenuti sulle reti mobili. I dati rappresentano già circa la metà dei ricavi delle telco – lontanissimi i tempi in cui erano i servizi voce e gli sms il core business – e i volumi crescono del 60-70% l’anno.