I fan della tecnologia Web3 dicono che sarà una rivoluzione per Internet, che grazie ad essa entrerà in una nuova fase “decentralizzata” del web che sarà gestito da gente comune e non più dalle grandi piattaforme come Facebook e Google.
Ma visto che il concetto è salito agli onori delle cronache lo scorso anno, anche i giganti del web hanno preso nota e vogliono entrarci dentro.
Meta, proprietaria di Instagram e Facebook, ha depositato diverse richieste di brevetto per il software Web3 il mese scorso. Spotify vuole assoldare degli esperti di Web3. Microsoft sostiene le startup che si occupano di questa nuova tecnologia.
Ma prima, cosa è il Web3?
Decentralizzazione di Internet
Il Web3 è tutto incentrato sulla decentralizzazione. Il suo obiettivo è dare agli utenti più controllo sui loro dati.
I teorici della rete dicono che un tempo la rete era un luogo aperto. Era gestita da persone in carne ed ossa che costruivano i loro siti personali. Questi siti erano in sola lettura, così che i dati fluivano dal sito all’utente: questo era il Web1.
Le grandi Big Tech come Facebook e Google hanno poi creato una nuova iterazione del web. Le loro piattaforme cliccabili, condivisibili e interattive hanno reso Internet come lo conosciamo oggi: Web2.
Ora le nostre interazioni con il web generano intelligenza vitale sui nostri comportamenti online sotto forma di dati.
Le aziende usano queste informazioni per realizzare nuove piattaforme e generare pubblicità profilate. Inoltre vendono tutto ciò a terze parti. I teorici dicono che tutto ciò crea un ambiente nel quale gli utenti hanno pochissima autonomia, se non zero autonomia, su dove finiscono i loro dati.
Il termine “Web3” è stato coniato nel 2014 dal cofondatore di Ethereum Gavin Wood, ma è entrato nella coscienza collettiva pubblica soltanto l’anno scorso quando ha cominciato a diffondersi nelle community di Twitter e Discord.
Soltanto grazie a questa improvvisa popolarità online ha spinto gli investimenti sul Web3.
Le aziende specializzate in Web3 hanno chiuso alcuni round di finanziamento con Softbank Vision Fund 2 e Microsoft. a16z, un investitore della prima ora di Facebook, ha promesso di raccogliere un miliardo di dollari per sostenere investimenti iniziali in questa nuova tecnologia.
Per alcuni esperti, questo faro delle Big Tech sul Web3 ne mette a repentaglio alcune delle più rilevanti componenti ideologiche come l’autonomia e la sovranità personale.
Non user-friendly
In una dimensione di Web3, l’informazione è conservata in portafogli virtuali digitali e non nei data center. Gli individui usano questi portafogli virtuali per accedere alle applicazioni all’interno dell Web3, che girano su tecnologia blockchain. Quando un utente vuole disconnettersi da un’applicazione, basta semplicemente che faccia il log off, che disconnetta il suo portafoglio virtuale e con esso i suoi dati.
Inoltre, gli sviluppatori Web3 non hanno bisogno di troppo capitale per lo sviluppo di nuove applicazioni, il che aiuta non poco a mantenere la loro autonomia.
Questi sviluppatori lavorano con reti gestite dalle capacità e dall’interesse della community.
Tutto comincia con un’idea di uno sviluppatore, che poi si rivolge alle community su Twitter e Discord per trovare collaboratori.
Insieme, lo sviluppatore e i collaboratori formano un gruppo per creare un prototipo. Quando il prototipo è completo, viene portato di nuovo alla community per una verifica.
Lo svantaggio di questa iterazione decentralizzata del web è che le app prodotte in questo modo sono spesso difficili da usare e meno sofisticate.
Non sono delle app troppo sexy, sono mediamente complicate il che allontana diversi nuovi arrivi.
Ed è qui che le Big Tech, forti dei loro ingenti capitali e delle loro piattaforme web based, sperano di intervenire.
Lezioni dalla criptovaluta
Lo spazio delle criptovalute è passato attraverso un processo simile di apertura prima di diventare più centralizzato e user-friendly negli ultimi anni.
Le criptovalute in qualche modo anticipano il percorso che faranno le applicaizoni del Web3.
In futuro, le criptovalute saranno usate per pagare i creatori, gli item virtuali e acquistare nuove features nel mondo del gaming, dicno gli esperti.
Eppure all’inizio le monete virtuali erano difficili da ottenere. Gli utenti dovevano essere in grado di fre coding per creare i loro portafogli virtuali. Alcuni ci riuscivano bene, mentre altri inviavano i soldi nel posto sbagliato, perdevano le chiavi di accesso ai loro wallet e finivano vittime di truffe.
Con il passare del tempo, gli sviluppatori hanno creato applicazioni più semplici da acquistare, da conservare e commerciare in criptovalute come Coinbase e Binance.
Ed è qui che le Big Tech potrebbero immaginare di intervenire: una versione del web che sia meno centralizzata di quella che vediamo oggi ma più user-friendly di quella che gli sviluppatori del Web 3 sono in grado di offrire.