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Web tax, in Italia ipotesi in manovra. Invece in Francia ‘parte dal 2019’

Ritorna di moda il dibattito sulla web tax sia in Italia sia in Francia, perché entrambi i governi hanno bisogno di nuove risorse. Quello italiano ha necessità di destinarle ai nuovi saldi della manovra da presentare a Bruxelles, e l’ipotesi è stata ampiamente valutata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) e dalla Lega, ma il M5S frena. Venerdì scorso Luigi Di Maio in Commissione di Vigilanza Rai ha detto che secondo lui “la web tax non andrebbe fatta, perché distorce il mercato”.

Web tax in Francia, non è stata ancora approvata

Il governo francese, invece, ha inserito la nuova tassa per i giganti del web tra le misure che aiuteranno a finanziare il piano recentemente svelato dal Presidente Emmanuel Macron per aumentare il potere d’acquisto, annunciato all’inizio di questo mese per affrontare le crescenti agitazioni pubbliche sull’aumento del costo della vita. E sulla web tax i cugini d’Oltralpe sembrano accelerare rispetto all’Italia. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha dichiarato a Les Echos che la nuova tassa potrebbe essere in vigore dal 1^ gennaio 2019. Mentre i dettagli devono ancora essere pubblicati, la misura mira a tassare le vendite digitali legate alla pubblicità e alla cessione di dati personali e punta a un gettito pari a circa 500 milioni di euro nel 2019 per le casse pubbliche francesi. La legge non è stata ancora approvata. Il governo francese presenterà al parlamento la proposta per la nuova tassa destinata alle vendite digitali delle cosiddette società GAFA (Google, Apple, Facebook e Amazon).

Web tax all’italiana, quando scatterà?

La versione italiana della Digital service tax fino ad oggi ha prodotto 190 milioni solo sulla carta. Introdotta con la Legge di Bilancio 2017, prevedeva un prelievo del 3% solo sui servizi B2B che ad oggi non è però mai diventato operativo. La legge di Stabilità aveva previsto anche le modalità precise di applicazione dell’imposta che sarebbero state stabilite con un decreto del ministro dell’Economia. Questo decreto, secondo il comma 1012, avrebbe dovuto essere emanato entro il 30 aprile 2018 e avere valore dal primo gennaio 2018. Al 30 aprile, il governo Conte ancora non era in carica, essendosi insediato il primo giugno 2018. Dunque la responsabilità cade sull’esecutivo Gentiloni, che tra dicembre 2017 e aprile 2018 non ha emanato il decreto del Mef. Il termine del 30 aprile, comunque, non era tassativo (si parla in questi casi di termine “ordinatorio” ma non “perentorio”), e il governo M5S-Lega, appunto, potrebbe emanare il decreto in qualsiasi momento. Oppure potrebbe dar vita a una nuova misura che punti al target di 500 milioni di euro con il prelievo del 3% o del 6%, come inizialmente ipotizzato alla Camera dal leghista Giulio Centemero. La web tax all’italiana dovrebbe colpire tutte le prestazioni di servizi effettuati con mezzi elettronici, rese nei confronti di soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di stabili organizzazioni di soggetti non residenti. Così potrebbero essere coinvolti anche i servizi B2C, ossia le prestazioni rese ad esempio da piattaforme tipo Netflix, Spotify e Amazon Prime che vendono contenuti streaming direttamente ai consumatori. Quest’ultima novità rientra nelle nuove proposte del Parlamento Ue, che vuole la legge entro aprile 2019. Nel frattempo, il ministro dell’Economia francese Le Maire ha affermato che continuerà a lavorare con i suoi omologhi europei per introdurre l’imposta europea sulle vendite digitali, nel tentativo di convincere un gruppo di Paesi ancora contrari alla tassazione, aggiungendo che la sua ambizione è di presentare una risoluzione prima di marzo prossimo anno.

Ritornando alla nuova versione della web tax italiana spuntata in manovra, per diventare operativa dovrà attendere un nuovo decreto ministeriale da emanare a inizio 2019.

Francesco Boccia (Pd): ‘Subito la web tax in Italia senza attendere l’ok dell’Ue’

Nel dibattito sulla web tax si inserisce anche Francesco Boccia, deputato PD e candidato alla segreteria del partito: “Far pagare le imposte indirette e dirette alle multinazionali del web significa dare un messaggio molto chiaro: tutte le imprese sono uguali davanti al fisco. Oggi non è ancora così nonostante le battaglie parlamentari fatte, i grandi colossi della rete fanno concorrenza sleale a tanti piccoli commercianti e operatori italiani che ogni giorno pagano le tasse regolarmente. Al governo Conte chiedo coraggio. Possono attuare la norma esistente e se sono davvero liberi, ma non lo sono, dalle pressioni delle lobby, possono riproporre la web tax piena così come fu approvata nel 2013 e poi colpevolmente cancellata. È la proposta che sta portando avanti il Ministro Le Maire in Francia, ma la Lega resta silente e il M5S connivente con le lobby della rete come avviene regolarmente dalla loro nascita. Fanno battaglie su tutto, ma quando si toccano i giganti del web diventano invisibili e timidi. Il PD deve far propria questa battaglie di giustizia fiscale. Chiediamo che tutte le risorse della webtax vadano a finanziare il tempo pieno obbligatorio in tutte le scuole”.

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