È finito il tempo di mettere la testa sotto la sabbia come lo struzzo. Il Governo ha raggiunto la consapevolezza della necessità di iniziare a tassare i giganti del web. ‘La web tax sta prendendo corpo, ci sono diverse proposte nazionali, ma il G7 delle Finanze serve proprio a trovare la convergenza. Su questo lavoreremo’, ha dichiarato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia durante il G7 dei ministri delle finanze in corso a Bari.
Occorre un intervento legislativo perché fino ad oggi il problema dell’evasione fiscale in Italia degli Over the Top è stata affrontata dall’Agenzia delle Entrate e dal procuratore di Milano, Francesco Greco, che ha aperto i procedimenti nei confronti dei big della Rete. Serve una legge ad hoc. Ben venga di respiro internazionale e proposta dall’Ocse, che per il momento ha messo al lavoro una task force che pubblicherà un rapporto fenomeno sull’economia digitale nel 2018. Ma con i dossier non si combatte l’evasione fiscale. Secondo alcuni tecnici la web tax deve avere la seguente base imponibile: misurare il traffico dati, che è la fonte dei ricavi di operatori per molti Over the Top, come Google e Facebook. Infatti Franco Gallo, presidente emerito della Corte costituzionale, ha proposto la “Bit Tax”: 0,000001 centesimi di dollaro a bit da applicare sui dati trasmessi via internet che genererebbe “enormi introiti” e potrebbe essere riscossa dai provider e “liquidata Paese per Paese”.
La web tax “transitoria” in Italia
In attesa di una legge internazionale Francesco Boccia (PD) con un emendamento alla manovrina propone una norma transitoria, l’introduzione di un accordo su opzione con i big della rete per tassare le multinazionali del web, in particolare i gruppi multinazionali con ricavi consolidati superiori a 1 miliardo di euro e che effettuino cessioni di beni e prestazioni di servizi nel territorio dello Stato per un ammontare superiori a 50 milioni di euro. “Quando ho proposto la web tax, nel 2013, pensavo che fosse una misura tranquillamente condivisibile non mi aspettavo tutto quello che ne è scaturito” e prosegue: “queste grida di dolore del settore del Retail vanno fatte sentire attraverso la nostra voce: noi siamo dalla parte della regolazione del mercato e se in quattro anni non si è riusciti a fare interventi normativi è perché, ad un certo punto, si sono uniti interessi economici grandi con l’inerzia della politica”, ha detto Boccia durante il Retail Web Tax, incontro promosso dalla AIRES-Confcommercio, Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati, che riunisce le principali catene e gruppi distributivi di elettrodomestici ed elettronica di consumo operanti in Italia – il cui giro d’affari pari a 15 Miliardi di Euro vale quasi l’1% del PIL – in collaborazione con Confcommercio Bari. All’evento ha partecipato anche Michele Emiliano (PD), presidente della Regione Puglia, per il quale “la web tax serve per ridurre il cuneo fiscale e contributivo e mettere più soldi in tasca al lavoratori”. Per questo motivo Francesco Boccia la chiama una misura di equità sociale: “il tempo scorre via velocemente ed è ormai chiaro a tutti che prima le multinazionali del web pagheranno le imposte, prima potremo abbassarle a tutti gli altri. Si è sempre chiamata equità”.
Il presidente della Commissione Bilancio alla Camera vorrebbe prendere a modello il recente accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate che impegna Google al versamento forfettario di 300 milioni di euro per chiudere ogni controversia fiscale. Boccia porta avanti questa battaglia dal 2013, anno in cui il testo della legge proprio sulla web tax ottenne l’ok dalla Commissione Bilancio della Camera ma poi l’iter parlamentare fu sospeso da Matteo Renzi, allora da poco segretario PD, con il tweet “È come la nuvola di Fantozzi. Diamo l’idea di un Paese che rifiuta l’innovazione”.
Non si tratta di un freno, ma di porre fine a favori ad aziende miliardarie.