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Web Tax, Gentiloni: ‘Con il Covid-19 big tech più ricchi, bisogna tassarli di più’

Dall’inizio del lockdown, la stragrande maggioranza delle imprese europee ha visto crollare il proprio fatturato, mentre i giganti del web sono cresciuti, per questo dovrebbero pagare più tasse“. Lo ribadisce Paolo Gentiloni, Commissario europeo per gli affari economici, spiegando che l’idea di “accettare l’idea che questi colossi, i veri vincitori della crisi innescata dal covid, non stiano pagando un’adeguata proporzione di tasse in Europa rappresenta un grosso problema“.

Le Parole di Gentiloni, rilasciate nel corso di un’intervista a margine del forum Ambrosetti tenutosi lo scorso weekend della CNBC, fanno capire ormai quanto l’Europa vuole agire (finalmente) per contenere lo strapotere dei colossi tecnologici americani. L’Unione Europea tenta da tempo di lavorare su un nuovo sistema di tassazione a livello globale, senza però essere ancora riuscita ad arrivare a risultati concreti anche per via della riluttanza degli Stati Uniti che non desiderano punire aziende locali.

Web tax: nel 2021 la volta buona?

La Commissione Europea ha proposto l’introduzione della tassa fin dal 2018, ma il provvedimento, per diventare effettivo, necessita dell’unanimità dei 27 stati dell’Unione. Al momento però sembra impossibile da raggiungere vista la totale opposizione di alcune nazioni come Irlanda e Lussemburgo, che offrono un regime fiscale agevolato per le aziende tecnologiche. Tanto meno le rimostranze degli Stati Uniti che hanno più volte minacciato ritorsioni in caso di applicazione della tassa.

Gentiloni: “Le elezioni presidenziali americane influenzeranno la web tax”

L’ultima bozza del provvedimento prevedeva una tassazione del 3% per i colossi del digitale in caso di profitti superiori ai 50 milioni di euro in Europa e superiori ai 750 milioni di euro mondiali.

Il 2021 potrebbe essere l’anno in cui la Web Tax torni ad essere centrale nell’agenda europea aspettando le elezioni presidenziali americane, che secondo Gentiloni sarà fondamentale. “È un anno di elezioni per gli Stati Uniti, e penso che questo avrà un’influenza. Tuttavia, l’Unione europea deve insistere sulla necessità di arrivare a una soluzione su scala globale“, ha dichiarato.

Margrethe Vestager: ‘Web tax non è importante, è urgente’

Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue con delega al digitale, insiste da tempo per l’adozione di una Web tax.

“Dal mio punto di vista, è sempre più urgente che ci siano in vigore regole adatte. Le norme sulla Concorrenza possono fare molto e dobbiamo rimanere vigili. Abbiamo già aperto indagini, su casi specifici, con Google, Apple, Facebook, Amazon“, spiegava il commissario in un’intervista lo scorso maggio. “Restiamo vigili, ma al tempo stesso vediamo che non è abbastanza. Per questo diventa sempre più urgente l’adozione di una regolamentazione utile a inquadrare questi mercati digitali”, ha continuato Vestager spiegando che “abbiamo bisogno di tre cose. Prima di tutto dobbiamo assicurarci che ci siano degli obblighi chiari per gli intermediari, per esempio la conoscenza del cliente. In secondo luogo, se sei un “guardiano digitale” serve una regolamentazione che ti dica quali sono le cose che puoi fare e quelle che non puoi. Per esempio: se sei un guardiano digitale, e hai un potere di mercato dominante, non puoi promuovere te stesso. Infine, servirebbe un nuovo strumento di concorrenza per impedire che emergano nuovi guardiani digitali”. 

Cgia, in Italia dai giganti del web soltanto 64 milioni nel 2018

Nel 2018, secondo dati della Cgia di Mestre, l’aggregato “delle controllate in Italia appartenenti a una quindicina circa di big tecnologici ha fatturato 2,4 miliardi di euro (pari allo 0,3 per cento del totale WebSoft mondiale). Gli addetti che lavorano nel nostro Paese sono quasi 10 mila e al fisco italiano questi colossi dell’hi-tech fanno pervenire poche ”briciole: solo 64 milioni di euro” sottolinea la Cgia. Nello stesso anno, invece, le nostre micro e piccole imprese, con meno di 5 milioni di fatturato, hanno generato un volume di affari di 926,7 miliardi, dando lavoro a più di 10 milioni di addetti. Il contributo fiscale giunto all’erario da queste piccole realtà è stato di quasi 39,5 miliardi di euro: un importo di 600 volte superiore al gettito versato dalle multinazionali del web.

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