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Web tax, accordo Ue in alto mare per paura di ritorsioni dagli Usa

Unione Europea spaccata sulla web tax nei confronti dei big americani dell’hitech, i cosiddetti GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) ma anche dei giganti cinesi come Tencent e Alibaba. Pesano certamente le accuse giunte dagli Usa di discriminazione da parte di Bruxelles nei confronti delle tech company Usa. Salta quindi l’ipotesi avanzata dalla Commissione Ue di una tassazione comune al 3% sul fatturato, e non più sugli utili, dei grandi grandi gruppi Ict (circa 180 quelli individuati) accusati di eludere il fisco facendo leva sulla mancanza di un regime armonizzato nel Vecchio Continente. Questo l’esito dell’incontro dei ministri delle finanze europei che si è tenuto ieri a Bruxelles.

Veto dei paesi del Nord

A porre apertamente il veto alla web tax i rappresentanti di Svezia, Danimarca e Irlanda che in questo modo hanno affossato la proposta della Commissione Ue sostenuta a spada tratta dalla Francia (condivisa dall’Italia) di introdurre un prelievo del 3% sul fatturato e non più sugli utili dei big tech.

I termini della proposta Ue

Di fatto, la proposta sul tavolo prevede di tassare il 3% dei ricavi nei paesi dove vengono generati, e non più nei paesi dove le tech company hanno il loro domicilio fiscale. La tassa si applicherebbe alle tech company che hanno un fatturato annuo di 750 milioni di euro e che generano al meno 50 milioni di ricavi annui nella Ue.

Secondo stime, il gettito complessivo nella Ue sarebbe di 4-5 miliardi di euro all’anno.

Tre le aree di applicazione della proposta di web tax della Ue: tassare l’advertising online; i servizi di intermediazione basati sul web e la vendita di dati.

Anche la Germania frena

Ma a frenare è stata anche la Germania, che per la prima volta per bocca del ministro delle Finanze Olaf Scholz ha detto chiaramente che prima di introdurre una web tax europea sarà necessario attendere la proposta di soluzione globale su cui da tempo sta lavorando l’Ocse, che tuttavia non arriverà prima del 2020. Una soluzione ponte, adottata in via temporanea nella Ue, non piace più al Governo di Angela Merkel, per timore di potenziali rappresaglie economiche da parte degli Usa sulle sue esortazioni. Peraltro, la Germania ha chiesto esplicitamente di escludere dal campo di applicazione della tassa tutte le attività che in un modo o nell’altro riguardino il settore automobilistico, precisa il Sole 24 Ore.

La proposta della Commissione è osteggiata anche dai paesi più piccoli dell’Unione, che temono anch’essi a maggior ragione ritorsioni economiche da parte degli Usa e si sono quindi schierate contro il rischio di una “doppia tassazione”, anche se in media nella Ue le web company pagano un’aliquota del 9% a fronte del 23% di quelle tradzionali, come sottolienato dal commissario europeo titolare del dossier fiscale Pierre Moscovici. Ma le decisioni in materia fiscale necessitano di un voto unanime da parte dei 28 stati membri. Unanimità che in questo caso è ben lungi dall’essere raggiunta.

Italia, Francia, Uk e Spagna procedono da sole

Alcuni stati membri, fra cui Regno Unito, Francia, Spagna e Italia (ieri è arrivata la conferma del ministro dell’Economia Giovanni Tria) hanno già annunciato che andranno avanti in autonomia su base nazionale senza un accordo politico a livello Ue o Ocse entro fine anno. Accordo che spera di raggiungere invece il ministro delle Finanze austriaco Hartwig Loeger, che punta ad un accordo europeo condiviso entro fine anno. Il tempo stringe, un nuovo confronto fra ministri Ue è previsto entro dicembre ma un accordo unanime sembra davvero in alto mare e quindi si procederà in ordine sparso.

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