La manovra di Governo porta con sé diverse novità in termini di tasse. Dal digitale all’ambiente l’esecutivo tenta di raccogliere nuove risorse finanziarie andando a tassare le aziende del web e quei prodotti che di green hanno troppo poco.
Web, plastic & sugar tax, questi i nomi che circolano tra ambienti di Governo e rete, dovrebbero entrare in vigore nel 2020 e potrebbero garantire allo Stato un gettito pari a circa 2 miliardi di euro (non 5 miliardi come riportavano i media fino a ieri).
Partendo dalla tassa sulla plastica e da quella sullo zucchero (che dovrebbero valere circa 1,3 miliardi di euro), la domanda che molti si fanno in questi giorni è se sia giusto o meno sfruttare il sistema fiscale per orientare i consumatori verso stili di vita più sostenibili, da un punto di vista ambientale e non solo.
La plastica sta devastando il nostro ambiente, sia terrestre, sia acquatico. Discariche grandi come colline sorgono su terra ferma come in fondo a mari e laghi, le microplastiche e le microfibre di plastica si trovano anche nell’acqua che beviamo, nelle bibite in lattina, nella birra, negli alimenti, mentre i ricercatori cercano di capire quali potranno essere gli effetti tossici sul nostro organismo con il passare del tempo.
Se è vero, inoltre, che l’industria della plastica dà lavoro oggi a migliaia di persone, è altrettanto vero che spostando gli investimenti nella parallela industria circolare (recupero, riciclo e riuso), non solo si possono assorbire i posti persi, se ne possono semmai creare molti di più di occupati in questo settore.
La risposta alla domanda è quindi positiva: sì, un Governo può sfruttare “anche” una leva del genere per migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini (la leva principale rimarrà sempre quella culturale).
Il prelievo attualmente ipotizzato è di 1 euro ogni chilogrammo di plastica e dovrebbe garantire entrate fiscali per circa 1 miliardo entro il secondo semestre del 2020.
È esclusa ovviamente la plastica biodegradabile e riciclata.
Un’imposta considerata di consumo, cioè applicabile ai prodotti usa e getta realizzati con foglie, pellicole e strisce di plastica. Si parte dal manufatto primario, come le bottiglie di plastica, per poi passare a quello secondario, come l’imballaggio che impacchetta le bottiglie e, nel manufatto terziario, il classico pallet industriale con gli imballaggi di grandi dimensioni.
Una tassa che, in teoria, dovrebbe progressivamente scomparire al cambiamento degli stili di consumo dei cittadini (meno plastica si usa, meno se ne produce).
Dalla tassa sullo zucchero, invece, si attendono entrate per 300 milioni di euro e riguarderà tutte le bevande zuccherate che avranno un limite alcolometrico inferiore all’1,2 per cento.
Anche qui, se da un lato c’è chi si lamenta di questo tipo di politica fiscale, che secondo i critici va a colpire le libertà individuali, dall’altro però c’è chi ricorda che in Italia l’obesità ha raggiunto ormai la soglia drammatica del 36% della popolazione tra i 5 e i 19 anni. Dal 2000 al 2016, è riportato in un recente studio Unicef, la percentuale di bambini sovrappeso fra i 5 e i 19 anni è raddoppiata nel nostro Paese, passando da 1 su 10 a circa 1 su 5.
Gli effetti di un’alimentazione troppo ricca di zuccheri e grassi, unitamente ad uno stile di vita sedentario, non solo causa problemi di salute gravissimi al soggetto (dalle malattie cardiovascolari come infarto e ictus all’ipertensione, dal diabete mellito di tipo 2 alla sindrome metabolica e alcune forme di tumori), ma rappresenta un costo sociale altissimo per lo Stato, soprattutto per il sistema sanitario nazionale.
Dalla web tax, infine, di cui si parla da anni, lo Stato si attende entrate attorno ai 700 milioni di euro. Negli ultimi giorni si parla di un’aliquota del 3% alle imprese con ricavi ovunque realizzati non inferiori a 750 milioni e ricavi derivanti da servizi digitali non inferiori a 5,5 milioni.
La tassa dovrebbe partire, salvo sorprese dell’ultimo momento, nel nostro Paese sempre possibili, da gennaio 2020.