Si tirano le somme dopo i due giorni di audizione presso la Commissione speciale del Parlamento Ue sul tax ruling dove si è discusso di come intervenire sui sistemi di ottimizzazione fiscale che finora hanno permesso a tante multinazionali di traghettare i profitti nei Paesi con le tasse più vantaggiose.
Google ed Apple si sono dette favorevoli a sistemi più chiari e trasparenti ma hanno dimostrato preoccupazione, così come Ikea e McDonald, per i costi di adeguamento alle nuove disposizioni.
Le multinazionali accettano invece più difficilmente la richiesta di rendere pubblici i loro dati fiscali.
Gli europarlamentari hanno convocato le multinazionali ma anche i rappresentanti delle autorità fiscali e di molti cosiddetti paradisi fiscali per avere un quadro d’insieme riguardo ai cambiamenti che la Ue si prepara ad introdurre nella proposta di direttiva contro il profit-shifting che fa seguito all’accordo preso a livello OCSE e G20.
Al centro dell’intenso dibattito anche la struttura di Google che trova alle Bermuda la destinazione finale dei propri profitti o quella di Apple che gode di un trattamento di favore in Irlanda sul quale presto si esprimerà l’Antitrust Ue.
Google: ‘Stabile organizzazione contraria al Mercato Unico’
Diversi deputati europei hanno criticato Google perché paga poche tasse nei Paesi Ue e ritengono che l’accordo stretto dal gruppo nel Regno Unito, che prevede il versamento di 172 milioni di euro per sanare la propria posizione contributiva, dimostra la condotta poco etica dell’azienda di Mountain View.
Il responsabile dell’Economic Policy, Adam Cohen, ha osservato che la commissione UK HMRS ha analizzato le modalità di transfer pricing e ha concluso che sono necessari alcuni aggiustamenti.
“Questo è normale per le società multinazionali“, ha sottolineato Cohen, aggiungendo che Google paga un’aliquota fiscale globale del 19% contro il 20% previsto nella Ue.
Google ha serie riserve circa il piano Ue per la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) che, secondo Cohen, aumenterebbe i costi in quanto richiederebbe una stabile organizzazione in tutti i Paesi Ue.
Secondo Cohen, “sarebbe in contrasto con il principio del mercato interno”.
Apple ha pagato 13,2 miliardi di dollari di tasse nel 2015
“Apple è il più grande contribuente al mondo. Nel 2015 abbiamo pagato 13,2 miliardi di dollari di tasse a livello globale vale a dire un’aliquota fiscale del 36,4%”, hanno dichiarato i rappresentanti del gruppo di Cupertino, rispondendo alle domande degli europarlamentari sulla struttura fiscale dell’azienda nella Ue e all’indagine sugli aiuti di Stato condotta dal Commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager.
Apple non è stata disposta a svelare i dettagli fiscali che riguardano la Ue e l’Irlanda.
“Sono dati riservati. Ci allineeremo (a questa richiesta) quando i report paese per paese diventeranno obbligatori“, hanno detto i rappresentanti della compagnia.
Apple, così come Google, paga la maggior parte delle proprie tasse negli Stati Uniti, dove sono impiegati la maggior parte dei propri dipendenti.
In conclusione possiamo dire che i due giorni di audizioni hanno rivelato la tensione che in questo momento c’è tra le multinazionali americane e la Ue su un problema così delicato come quello delle tasse.
Il governo USA ha attaccato la Ue, accusandola di ‘protezionismo digitale’, ma Bruxelles va avanti.
Nel mirino ci sono soprattutto le pratiche di ottimizzazione fiscale, alle quali ricorrono le multinazionali, che hanno permesso ad alcuni grandi colossi, specie quelli del web, di assottigliare artificialmente i loro utili imponibili.
L’Ocse ha calcolato che ricorrendo a questi sistemi, il carico fiscale delle multinazionali si sia ridotto di 100-240 miliardi di dollari annui.
Tra le azioni chiave della Ue figurano una strategia per rilanciare la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) e un quadro che garantisca una tassazione efficace nel luogo in cui sono generati gli utili. Misure già in fase elaborazione a livello internazionale nell’ambito dell’Ocse.