Il nodo web e tasse resta uno dei principali sul quale si sta discutendo al DigiWorld Summit di Idate a Montpellier.
Gli operatori tlc, gli analisti di settore e i rappresentanti delle istituzioni stano ragionando sull’opportunità o meno di adottare regole più stringenti per i giganti di internet.
Ma se da una parte ci sono gli interessi economici di molti paesi Ue e anche gli Stati Uniti che hanno cominciato ad attaccare l’Europa parlando di ‘protezionismo digitale’, dall’altra ci sono anche molti Stati membri, Francia e Germania in primis, che chiedono interventi drastici per mettere un freno alle pratiche di ottimizzazione fiscale di molte multinazionali.
La Ue ha avviato un piano di azione e il Parlamento europeo ha sentito questa settimana i rappresentanti delle principali aziende per discutere di tasse. Presenti anche i rappresentanti di Facebook, Amazon e Google.
Uno degli aspetti principali e forse il più spinoso resta la concorrenza fiscale all’interno della Ue.
Se non si interviene su questo con regole comuni e condivise difficile risolvere il problema alla radice.
Spesso infatti sono gli stessi Paesi Ue ad accordare vantaggi fiscali notevoli alle multinazionali.
Apple verso multa
Sotto la lente gli accordi di tax ruling concessi in Lussemburgo e Irlanda, ma non solo.
Stando alle ultime notizie, la Commissione Ue sarebbe pronta a multare pesantemente Apple, che si sarebbe avvantaggiata di aiuti di Stato non dovuti concessi dall’Irlanda.
La comunicazione sarebbe imminente, secondo indiscrezioni, e partirebbe dall’Antitrust Ue guidato dal Commissario Margrethe Vestager.
Si starebbe aspettando il momento giusto vista la delicatezza della cosa che coinvolgerebbe anche i rapporti con gli USA.
Nel mirino c’è anche Amazon per le agevolazioni fiscali avute in Lussemburgo.
Nei mesi scorsi sono già stati presi provvedimenti contro Fiat e Starbucks. Per le due aziende si parla di sanzioni fino a 30 milioni di euro ciascuno.
Ma nel caso di Apple la multa sarebbe molto più salata.
Al centro delle indagini Ue i sistemi messi in piedi dalle multinazionali, con la collaborazione di Paesi compiacimenti, per bypassare il fisco e pagare le tasse al minimo.
Ogni anno, ha detto la Ue, l’elusione ed evasione fiscale costa ai contribuenti europei fino a 1000 miliardi di euro.
A lanciare l’allarme è stata recentemente la stessa Apple che in Italia rischia il rinvio a giudizio per una possibile evasione di 879 milioni di euro.
La società che finora si era rifiutata di commentare l’ammontare delle possibili sanzioni, adesso ammette che potrebbe subire un grosso ‘danno finanziario’.
Secondo il Financial Times, che cita fonti Ue, la sanzione per Apple potrebbe superare il miliardo di euro.
Sarebbe un nuovo record in materia di indagini sugli aiuti pubblici illegali.
Nel rapporto finanziario trasmesso a maggio all’Autorità statunitense di Borsa, la Sec (Securities and Exchange Commission), Apple avverte: “Se la Commissione europea si pronuncerà contro l’Irlanda, il Paese potrebbe chiedere il rimborso delle imposte dovute negli ultimi dieci anni e l’importo potrebbe essere sostanziale“.
Quanto all’Irlanda, il governo difende la propria politica fiscale e ha già fatto sapere che ricorrerà alla Corte di Giustizia Ue in caso di decisione sfavorevole.
Il caso Apple
L’indagine su Apple è partita nel settembre 2014. L’accusa per il gruppo e l’Irlanda è di trattamento fiscale di favore, che costituisce violazione delle norme Ue sulla concorrenza.
Secondo la Ue, Apple da anni trae vantaggio dagli accordi fiscali siglati con Dublino nel periodo che va dal 1991 al 2007.
Se l’indagine si chiuderà con una condanna, Apple rischia una multa miliardaria.
Gli accordi siglati con le autorità irlandesi “conferiscono un vantaggio per Apple” che viene “garantito in maniera selettiva”, si legge nella lettera della Commissione Europea.
A sostegno della tesi di Bruxelles, il fatto che gli accordi fiscali fra Apple e Dublino siglati nel 1991 non siano mai stati rivisti per un periodo di 15 anni. Secondo la Commissione Ue lo stesso trattamento di favore non sarebbe garantito ad altre aziende con sede in Irlanda, suffragando così l’accusa di trattamento anticoncorrenziale.
La tesi di Apple è che il trattamento fiscale di cui gode in Irlanda è lo stesso garantito a tutte le multinazionali che operano in quel paese, dove il prelievo per le aziende è fissato al 12,5%. Ma Apple lascerebbe in Irlanda appena il 2% degli utili.
Cosa fare?
Secondo lo Studio ‘Gafanomics’ di FaberNovel nel 2020, anche grazie ai loro sistemi furbetti, Google, Apple, Facebook e Amazon saranno la prima potenza economica mondiale.
Gli operatori tlc chiedono da tempo norme più severe nei confronti dei giganti del web come Google, Apple, Facebook e Netflix che usano le infrastrutture sviluppate dalle telco senza partecipare agli oneri finanziari.
Al centro del dibattito a Montpellier anche la neutralità della rete.
Alcuni provvedimenti sono già stati adottati dalla Ue a fine ottobre ma non sono tali da soddisfare pienamente gli operatori che denunciano il forte divario tra le regole a cui sono sottoposte le telco e quelle che si applicano invece alle web company.
“Noi siamo quelli che rendono possibile lo sviluppo dell’ecosistema digitale“, ha ricordato al DigiWorld Summit Didier Casas, segretario generale di Bouygues Telecom, che ha aggiunto: “Senza reti non ci sarebbero tutti i servizi internet”.
Sébastien Soriano, presidente dell’Autorità francese delle tlc, Arcep, ha osservato. “Abbiamo di fronte a noi multinazionali di grande taglia, con modelli economici nuovi. Dobbiamo inventare nuovi mezzi, pensare alla regolamentazione in maniera differente rispetto a quanto facciamo con le telco. Non possiamo regolamentare Google così come facciamo con Orange”.
“La regolamentazione dei barbari (coloro che disturbano i modelli esistenti, ndr) passerà attraverso un imbarbarimento delle regole“, dice da tempo Soriano.
Serve prudenza?
“Ma bisogna davvero cercare di applicare delle regole a tutti i costi al mondo in pieno boom di internet?”, si domanda il presidente dell’Antitrust francese Bruno Lasserre, che invita ad agire con prudenza.
“Non conosciamo bene i modelli di business di questi player. Sono ancora un’incognita. Se regoliamo il settore troppo presto potremmo commettere un errore“, ha sottolineato Lasserre, che pensa sia invece più opportuno cercare di intervenire prima con gli strumenti esistenti, in particolare con le norme antitrust.
“Chiediamoci prima perché vogliamo intervenire con delle regole. Se le attuali norme antitrust, che hanno il vantaggio di essere applicabili per tutti, funzionano, perché inventarne di nuove?”.
Il dibattito è aperto e siamo ancora solo all’inizio.