Rientra a gamba tesa Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera, sulla questione web company e fisco che in Italia attende ancora una soluzione politica.
Dopo il caso Apple, si è riacceso in Europa il dibattito sulla necessità di intervenire in maniera incisiva e rapida per evitare che le multinazionali continuino allegramente a bypassare il fisco, traghettando i propri profitti nei paradisi fiscali, spesso Irlanda e Lussemburgo.
L’Italia ha aspettato troppo e adesso si trova in una situazione ancora più spinosa e complicata dopo la nomina di Diego Piacentini, Senior Vice Presidente di Amazon, a Commissario straordinario per il digitale del governo.
Boccia, che per primo aveva fortemente caldeggiato l’introduzione di una Web Tax nel nostro Paese già a partire dal 2013, si è visto fortemente osteggiato anche da esponenti del suo partito, il Pd, con il risultato di rinviare continuamente la soluzione anche quando ormai i fatti davano ragione al presidente della Commissione Bilancio sulla necessità di una legge che regolamentasse una volta per tutte la materia.
Il risultato è stato che la Web Tax voluta da Boccia è entrata in vigore il primo gennaio del 2014, ma solo per la parte riguardante la tracciabilità della pubblicità online.
Le disposizioni sono state osteggiate perché il governo riteneva necessario che se ne dovesse occupare l’Europa.
Il risultato?
Da allora nulla.
Perché l’Italia non ha ancora una legge su web e fisco?
Il governo aveva promesso che si sarebbe occupato della questione durante il semestre di presidenza della Ue.
Così non è stato.
Esattamente un anno fa poi il premier Matteo Renzi in Tv durante una puntata di Otto e mezzo aveva rilanciato, dicendo: dal 1° gennaio 2017 partirà la digitale tax, se la Ue non dovesse prendere un provvedimento concreto nei confronti delle web company che eludono il fisco.
Ci siamo, no?
Cosa aspetta Renzi, visto che adesso a chiedere di intervenire non è solo Boccia ma anche, tra gli altri, il Viceministro dell’Economia Enrico Zanetti e il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi?
Ma non solo.
Guardia di Finanza e Magistratura stanno facendo un eccellente lavoro che ha fatto dell’Italia, il Paese apripista in Europa sul fronte web company e fisco.
Il 2016 è, infatti, iniziato con l’accordo da 318 milioni di euro tra Apple e l’Erario per definire un contenzioso inerente un’evasione contestata di circa 879 milioni di euro; subito dopo, a febbraio, la Guardia di Finanza ha notificato a Google un verbale di accertamento per una presunta evasione da 227 milioni di euro e successivamente la Procura di Milano ha chiuso le indagini sulla compagnia americana con il possibile rinvio a giudizio dei manager indagati per frode fiscale; ora, secondo indiscrezioni, nel mirino della Procura milanese sarebbe finita anche Amazon dopo una verifica fiscale condotta dalla GdF.
La magistratura, come ha giustamente sempre sostenuto Boccia, “si è sostituita a un legislatore assente”.
Perché Renzi non interviene?
In un’intervista su Hi-Tech Magazine, Boccia ha raccontato tutti i retroscena sulla Web Tax, prima che venisse bloccata dall’allora neo premier Renzi.
“Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva detto che con una Web Tax saremmo partiti, se l’Europa non avesse fatto nulla, dal primo gennaio 2017. Siamo arrivati a quel punto”, ha indicato Boccia.
“Io ero partito nel 2013 perché sapevo che l’Europa non avrebbe fatto niente. Questa Europa. Fatta di politici che guardano il mondo con gli occhi del secolo scorso. Dunque ha senso andare avanti. E dal momento che conosco colleghi del parlamento francese, o spagnolo, che condividono il mio pensiero – ha sottolineato Boccia – sono convinto che il primo Paese che parte si trascinerà dietro tutti gli altri”.
Il pressing di Francia e Germania, il silenzio della Ue
Dopo l’intervento Ue su Apple, Spagna e Austria sono scesi in campo per reclamare la loro fetta di tasse che il gigante americano non ha pagato.
Anche se i più tenaci sul fronte web e fisco sono sicuramente Francia e Germania che più volte hanno richiamato la Ue, chiedendo interventi più drastici contro i ‘furbetti’ del fisco.
Ottenendo però ben poco.
Per Boccia, la vicenda della multa della Ue ad Apple è, infatti, un “chiaro esempio di fallimento della politica perché è evidente che se da un lato un pezzo della Commissione europea, a partire dal Commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha ritenuto il comportamento di Apple sanzionabile, dall’altro è imbarazzante il silenzio di chi si occupa di politiche fiscali. Sul tempo perso Jean-Claude Juncker e Manuel Barroso, gli ultimi due presidenti della commissione Ue, hanno pesanti responsabilità“.
“Il modello di tassazione indiretta su cui poggiava la Web Tax – ha precisato Boccia – era coerente allora e lo è ancora. Il digitale ha mandato in soffitta tutti i punti di riferimento degli studi di business administration dei venticinque anni precedenti”.
L’Italia e il caso Piacentini
Altra situazione spinosa è la nomina di Diego Piacentini, Senior Vice Presidente di Amazon, a Commissario straordinario per il digitale da parte del governo.
Una nomina che imbarazza.
“Ritengo che Diego Piacentini sia un manager eccellente”, ha detto Boccia ma, ha puntualizzato, “penso anche che se ha ancora interessi diretti in Amazon, non abbia i requisiti per svolgere il suo ruolo di Commissario per il Digitale”.
“Le spiegazioni fornite, in tal senso, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, non mi convincono: non è che il tipo di conflitto d’interesse cambia se il soggetto si chiama Berlusconi, Confalonieri, De Benedetti o, invece, Piacentini”.
Nei giorni scorsi, rispondendo a un’interrogazione di Sel sull’argomento, De Vincenti ha dichiarato: “Il valore delle azioni di un’azienda globale come Amazon non potrebbe in nessun modo essere influenzato dalle attività del commissario in Italia, che comunque non avrà alcun compito negli affidamenti dei servizi per le Pubbliche amministrazioni“. Diego Piacentini, ha ribadito il Sottosegretario, “non sarà né centrale di committenza né stazione appaltante“.
Eppure i dubbi restano e sono tanti specie dopo che in Italia è stata aperta un’indagine a carico di Amazon.
“Leggo – ha osservato Boccia – che il numero di azioni di Amazon ancora in possesso di Piacentini è dello zero virgola qualcosa. Forse andava spiegato in valori assoluti, in alcuni decine e decine di milioni di dollari, e non nelle percentuali di azioni rispetto al totale. Stiamo parlando di Amazon, un’azienda che vale più di Borsa Milano. Dobbiamo pensare a Eni, Enel, Finmeccanica, Telecom e tutte le altre società quotate che abbiamo, e che messe assieme non fanno Amazon. Chi lavora per la Repubblica Italiana non deve avere alcun vincolo con imprese che abbiano queste dimensioni e caratteristiche”.
Renzi ha sottovalutato la importante rivoluzione del capitalismo degli ultimi 150 anni
Il presidente della Commissione Bilancio ripercorre la storia della Web Tax: “Quando nel 2013 proposi la Web Tax, secondo un modello di tassazione indiretta che difendo ancora oggi, ci fu una reazione durissima da parte di un certo mondo politico. Nel 2013 gli Over-The-Top si illudevano ancora di poter eludere tutto. Nei due-tre anni successivi è cambiato il mondo, e tutti si sono resi conto che l’alternativa alla mia proposta era il ‘modello Cameron’, e cioè che ognuno ti tassa come vuole, e a quel punto il fisco diventa una giungla”.
“La scelta, all’epoca, del Consiglio dei ministri fu un grave errore di valutazione di Matteo Renzi che – ha dichiarato ancora Boccia – sottovalutò lo stravolgimento di questa rivoluzione connessa ai cambiamenti dei modelli economici attraverso il digitale. Ci fu uno scontro molto duro tra me e il premier, che definì l’iniziativa una ‘sorta di nuvola di Fantozzi’ che provava a ‘fermare il vento con le mani’. Io risposi che era gravissimo che il mio segretario di partito, che era anche Presidente del Consiglio, facesse una valutazione così superficiale in merito alla più importante rivoluzione del capitalismo degli ultimi centocinquant’anni. La quarta, ma ancora più profonda dell’energia a vapore e dei telai, dell’elettricità, e dei computer, perché fa saltare anche i confini tra gli Stati nazionali e fa della concentrazione della ricchezza una distorsione. E dissi che per essere moderni non bastava mettere i Google Glass, ma era necessario studiare i fenomeni economici. Gli anni successivi mi hanno dato ragione“.