Elon Musk e la “new generation crypto”
Anche quando non lancia i suoi razzi nello spazio (SpaceX) o annuncia nuovi modelli di auto elettriche (Tesla Motors), Elon Musk trova comunque il modo di fare notizia. Oltre ad essere la persona più ricca del mondo (con un patrimonio valutato 185 miliardi di dollari alla fine di Gennaio) riesce ad influenzare anche dettagli insignificanti della nostra vita di ogni giorno. Due settimane fa, aveva inviato un paio di battute scherzose su twitter su Dogecoin e subito le quotazioni della criptovaluta del cane sono raddoppiate.
Quasi ogni settimana, escono annunci di truffatori che si spacciano per Elon Musk promettendo di restituire il doppio di quanto gli viene inviato in Bitcoin o Ethereum, e vengono regolarmente creduti.
Più seriamente, la scorsa settimana il gruppo automobilistico Tesla Motors ha dichiarato al Dipartimento del Tesoro (dichiarazione alla SEC su modulo 10-k) di aver investito in Bitcoin circa l’otto per cento dei suoi 14,9 miliardi di cassa. Non contento, Elon Musk ha dichiarato che in futuro la stessa Tesla Motors potrebbe accettare pagamenti in Bitcoin.
Lo scorso aprile, un Bitcoin valeva poco più di 5.000 dollari, mentre ora ne vale circa 45.000. Dopo prodezze del genere, accostare la propria immagine a Bitcoin è una buona strategia pubblicitaria, ma Elon Musk dovrebbe essere l’ultimo ad averne bisogno. Qualche maligno ha spiegato queste uscite con la necessità di oscurare delle brutte notizie provenienti dal mercato cinese, ma forse esiste una spiegazione meno complicata.
Nonostante l’ostilità di gran parte del settore bancario, un gruppo di imprenditori ritiene che le criptovalute siano una parte integrante dell’economia U.S.A., e non ha paura di difendere anche quella più chiaccherata di tutte: Bitcoin.
La legislazione bancaria
Negli Stati Uniti si alternano due tendenze di base: dopo ogni crisi finanziaria, vengono varate misure per evitare il ripetersi del disastro, successivamente questi nuovi divieti vengono ammorbiditi fino a che non si verifica una nuova crisi, che porterà ad un nuovo irrigidimento della legislazione, e così via…
Ad esempio, la Grande Depressione del 1929 portò al fallimento più di 700 banche. Il sistema della Federal Reserve nacque per creare una rete di pagatori di ultima istanza e per costringere il sistema bancario a finanziarla depositandovi le sue riserve. Nel 1933, il Glass-Steagall Act proibì di condurre contemporaneamente attività di banca commerciale e di banca di investimento, ma le sue disposizioni vennero abrogate dal Gramm-Leach-Billey Act del 1999. Varato come reazione alla dot-com bubble, il Sarbanes-Oxley Act del 2002 portò ad una nuova definizione delle responsabilità delle public company e della loro governance. Ma nel 2012, il Jumpstart Our Business Startups Act ammorbidì nuovamente queste restrizioni, fino ad arrivare all’Ordine Esecutivo 13771 (emesso nel 2017 dal Presidente Trump) che stabiliva che per ogni nuova regolamentazione introdotta ne dovessero essere abrogate altre due.
Criptovalute e stablecoin
Alle tradizionali criptovalute come Bitcoin, che sono libere di fluttuare sul mercato, si sono affiancate le stablecoin, che vantano una parità nominale con il dollaro, in quanto garantite da un deposito pari all’ammontare della moneta emessa (attenzione: si tratta di una riserva di garanzia fruttifera e depositata presso privati). Sebbene siano più volte state presentate come mezzi di pagamento, le stablecoin sono un ottimo affare per chi le emette, che raccoglie nuovo capitale e continua ad incassare gli interessi sulla riserva di garanzia. In nazioni con inflazione a doppia cifra e con rigido controllo sui cambi, molti le considerano un vero e proprio investimento in grado di proteggere i propri risparmi dall’inflazione.
La nuova stablecoin Diem
La nuova stablecoin Diem, attualmente in corso di lancio da un Consorzio inspirato dal gruppo Facebook, è solo una delle 200 varietà di stablecoin presenti su un mercato con una capitalizzazione di circa 30 miliardi di dollari.
Gli scettici sottolineano come dopo ogni fallimento si sia sempre scoperto che il controllo contabile sui fondi di garanzia era praticamente inesistente o colluso. Senza contare il problema della finalità dei pagamenti: nel caso di fallimento di chi emette una stablecoin, quale sarà la sorte dei suoi sfortunati possessori?
Come accaduto per tanti altri argomenti, la normativa sulle stablecoin è diventata terreno di battaglia durante le ultime settimane dell’Amministrazione Trump.
L’attacco dei liberalizzatori
Secondo la Costituzione, monete e banconote possono essere emesse dalla Federal reserve, dalle dodici banche regionali che la compongono, o dalle banche nazionali. In pratica le banconote sono stampate da un’Agenzia del Dipartimento del Tesoro (Bureau of Engraving and Printing) ed emesse dalla Federal Reserve.
Il Governo Federale è tenuto ad accettare la moneta a corso legale come pagamento di ogni tipo di debito, come tariffe, tasse e multe. Però non esiste alcuna legge federale che imponga ad aziende o a privati di accettare le banconote federali come mezzo di pagamento. In mancanza di disposizioni dei singoli stati, questa lacuna nella legislazione federale consente a chiunque la libertà di decidere come voglia essere pagato.
Lo scorso maggio, il Presidente Trump aveva chiamato Brian P. Brooks, in precedenza a capo dell’ufficio legale di Coinbase (uno dei maggiori operatori nel campo delle criptovalute). Appena nominato Acting Comptroller of the Currency, Brooks non aveva esitato a sfruttare le lacune della legislazione federale per emettere disposizioni dichiatamente “di parte”, in modo da costringere il settore bancario a venire a patti con il mondo delle criptovalute:
- obbligo per le banche di concedere ai gestori di criptovalute delle aperture di conto corrente alle stesse condizioni di altri correntisti
- possibilità per le banche di offrire servizi di cambio e di custodia di criptovalute
- possibilità per i clienti di effettuare pagamenti in stablecoin
Il contrattacco del governo federale
La risposta dei federali non si è fatta attendere: all’interno del nuovo Bilancio della Difesa è stata introdotta l’equiparazione delle criptovalute alla moneta tradizionale per quanto riguarda gli adempimenti di antiriciclaggio e di lotta al finanziamento del terrorismo (AML-CFT).
Un’altra proposta di legge, lo STABLE Act, ha tentato l’assimilazione normativa totale tra le criptovalute e la moneta tradizionale. La proposta, ritenuta alquanto ingenua dalla maggioranza degli economisti, avrebbe obbligato gli operatori in criptovalute a richiedere l’autorizzazione all’esercizio bancario, bloccando per anni l’intero settore.
Obiettivo analogo si era data la Financial Crimes Enforcement Network (agenzia del Dipartimento del Tesoro per la lotta ai crimini finanziari) quando aveva preannunciato di voler obbligare gli operatori alla registrazione delle controparti per trasferimenti in criptovalute superiori ai 3.000 dollari.
Fortunatamente, la fine della legislatura ha impedito alle ultime due iniziative di trasformarsi in leggi dello stato. Una delle prime decisioni del Presidente Biden è stata quella di congelare questo guazzabuglio legislativo, in attesa di definire un quadro normativo comune.
La Federal Reserve, pur non avendo alcun potere regolatorio sul sistema bancario, non ha mai nascosto la sua aperta ostilità verso le criptovalute. Ed ora che la sua ex-presidente, Janet Yellen, ha assunto la guida del Dipartimento del Tesoro, è difficile che si verifichino aperture significative.
Per finire, la Securities and Exchange Commission ha rafforzato la sua azione di vigilanza sul mercato degli investimenti e sulla borsa, aprendo procedimenti contro tutte le emissioni di criptovalute in cui ravvisava delle proposte di investimento: ICOBox, Telegram, BitClave, Ripple.
Come nacquero le nostre normative commerciali?
L’analisi storica può chiarire i motivi per cui la legislazione europea si sia sviluppata in maniera differente da quella degli Stati Uniti. I loro principi si sono andati definendo in base ad esigenze specifiche ed in assenza dei moderni mezzi di comunicazione.
Nel Canada Francese del 1700 la scarsità di moneta era tale che spesso si dovevano pagare gli stipendi con le carte da giuoco. In teoria, queste avrebbero dovuto essere cambiate con l’arrivo dei barili di monete provenienti dalla madrepatria. Anche negli Stati Uniti del 1800 non era possibile assicurare la disponibilità di banconote a corso legale: di conseguenza, la legislazione dovette lasciare la libertà nella scelta dei mezzi di pagamento.
Viceversa, già nell’Europa mediterranea dal VI secolo a.C. l’emissione di moneta era considerata prerogativa del sovrano. Da allora, il rifiuto di accettare la moneta a corso legale o la decisione di coniarne un’altra hanno sempre avuto un significato di sfida al potere centrale e sono stati sempre repressi duramente.
Nell’Europa mercantilistica del 1700 una buona rete di comunicazioni era già in grado di supportare il commercio internazionale. Però, potevano passare settimane prima che a Parigi arrivasse notizia del fallimento di una banca di Vienna. La necessità di certezze in materia di pagamento portò a sviluppare l’assunto di finalità per i pagamenti effettuati in valuta nazionale ed infine alla definizione della Banca Centrale come pagatore di ultima istanza.
Una volta accettato che che i pagamenti in valuta nazionale erano comunque al riparo dalla revocatoria fallimentare e che le Banche Centrali non avrebbero mai potuto fallire, gli scambi commerciali potevano avvenire in relativa sicurezza anche se per viaggiare da Vienna a Parigi si impiegavano quattro giorni di diligenza.
La nostra legislazione è anacronistica?
Elon Musk direbbe di sì. A guardare le cose dal suo punto di vista potrebbe pure aver ragione. I più importanti servizi di pagamento (Visa e Mastercard tra i primi) hanno già annunciato la loro intenzione di assicurare pagamenti nativi in criptovaluta, ovvero senza effettuare operazioni di cambio in dollari (come invece accade ancora oggi). In effetti, se fossimo perfettamente informati dello stato di solvibilità di ognuno di noi, potremmo rinunciare alle Banche Centrali ed al concetto di finalità dei pagamenti in moneta. Ma in questo caso, con quali altre istituzioni le potremmo sostituire?
Le criptovalute dovranno attendere ancora per acquisire uno status legale
Pur con i loro errori e le loro contraddizioni, è intuitivo che i banchieri centrali stiano riscuotendo maggior fiducia dei politici o di altri amministratori pubblici. Non è un caso che gli Stati Uniti, l’Europa e l’Italia si affidino proprio ai banchieri centrali per uscire da una crisi che non è solamente economica, ma soprattutto di fiducia nelle istituzioni. E questo significa che le criptovalute dovranno attendere per lo meno la fine della crisi per acquisire uno status legale chiaramente definito.