Poco più di un anno fa il mondo assisteva allo “scontro” tra il governo degli Stati Uniti, rappresentato dall’FBI, e Apple, l’azienda di Cupertino che ha rivoluzionato il mondo con il suo iPhone.
Oggetto della diatriba era la richiesta, da parte delle autorità statunitensi, di decriptare i dati presenti sull’iPhone di uno dei responsabili dell’attacco terroristico di San Bernardino in cui persero la vita 14 persone.
L’argomento di Apple, allora, era che violando la criptazione di anche un solo telefono si sarebbero consegnate al governo le chiavi per accedere a qualunque dispositivo, violando il diritto alla riservatezza dei dati personali di miliardi di utenti.
Gli algoritmi di criptazione rendono illeggibili i dati presenti su un dispositivo per chi non possiede la password di decriptazione; è noto, però, che una volta svelata la fattorizzazione (cioè il calcolo complesso che permette di offuscare i dati), i sistemi di criptazione perdono la loro validità poiché chi ne conosce il principio “ordinatore” sarà in grado di decriptare ogni messaggio senza bisogno di conoscere la password dell’utente.
Il caso dell’iPhone di San Bernardino, ampiamente pubblicizzato dai media, veniva rappresentato come lo scontro tra l’idea di libertà, propugnata e difesa dalla Sillicon Valley, contro la pretesa di un’autorità governativa di poter accedere ai dati privati di un utente, fosse anche un terrorista.
Alla fine, l’FBI decise di rinunciare alla richiesta e, secondo quanto riportato dai media, riuscì ad ottenere l’accesso al telefono con altri metodi. Una vittoria della libertà, si disse.
Un po’ più in silenzio, invece, si è consumato nei giorni scorsi un altro scontro; quello che vede alleati Apple e il governo della Cina popolare contro la libertà di informazione di circa un miliardo e mezzo di persone.
A seguito della diffusione di Internet, il governo cinese ha sviluppato un complesso sistema di filtri che non permettono l’accesso a siti e informazioni non gradite all’esecutivo di Pechino. Il sistema è conosciuto come “The Great Firewall”, metafora cibernetica de “The Great Wall”, la Grande Muraglia.
Attivisti, dissidenti, giornalisti e comuni cittadini riescono ad aggirare i blocchi grazie a delle VPN, delle applicazioni che permettono di creare un “tunnel” criptato di dati, irriconoscibile ai filtri, che riesce ad aggirare il blocco raggiungendo i siti desiderati.
Le VPN erano disponibili sull’App Store di Apple.
Almeno fino a pochi giorni fa quando Apple, in accordo con Pechino, ha ritirato unilateralmente le VPN “illegali”, cioè quelle che non forniscono al governo una porta di accesso per monitorare e controllare il traffico.
Apple, dunque, in barba alla retorica Silicon Valley, diventa connivente e collaboratore attivo della censura. Non è del resto la prima volta che accade: qualche anno fa, per poter accedere all’immenso mercato cinese, Google aveva accettato di modificare il proprio algoritmo di ricerca filtrando alcuni risultati ritenuti scomodi dal governo cinese.
Per chi osserva dall’Europa, l’episodio rappresenta un’opportunità in più di riflettere sull’importanza della partita in atto in merito al controllo del cyberspazio: sa da un lato la Silicon Valley ha il merito di aver commercializzato le tecnologie digitali, dall’altro è inopportuno cadere nella narrazione di libertà e sviluppo che nasconde solo una banale strategia di marketing.
Come Apple e Google non si battono per la libertà di informazione dei cinesi, così non si batteranno per lo sviluppo del continente europeo. Amazon non farà gli interessi dei consumatori, ma manterrà la sua astuta politica di prezzi al ribasso per colonizzare interi mercati, presentando il conto quando non lo si potrà più rifiutare.
Sono aziende che, giustamente, fanno i loro interessi. Sacrosanto.
Così come sacrosanto è notare che la “rivoluzione digitale”, per sua stessa natura, ha riguardato la creazione di un’infrastruttura tecnologica che regola tutti gli aspetti della vita sociale e, pertanto, va al di là delle normali logiche di concorrenza privata, ma abbraccia la sfera pubblica e politica.
Il caso Cina rivela chiaramente quanto la presunta superiorità morale della Silicon Valley sia solo un mito, alimentato per favorire un’enorme operazione commerciale.
Speriamo non diventi mai politica.