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Vorticidigitali. Vi è uguaglianza di genere nel mondo delle vendite? Intervista ad Anna Raffaelli (The Vortex)

Da formatore, incontro spessissimo figure di vendita in virtù degli spazi che si sono aperti sul fronte dell’uso dei social media come personal branding e social selling.

Per questo motivo, ho trovato molto interessante lo spunto che Anna Raffaelli, consulente e collaboratrice di The Vortex, mi ha dato e la sensibilità che sta dimostrando nel ricercare e nel comprendere lo stato dell’arte quanto alle pari opportunità fra uomo e donna nel mondo della vendita.

Andrea Boscaro. Anna, come ti è venuta l’idea di affrontare questo tema?

Anna Raffaelli. La dimensione di genere è spesso oggetto di studi e ricerche, soprattutto in un Paese come l’Italia che sul piano delle pari opportunità ha ancora molta strada da fare, in termini di salari, mansioni, atteggiamenti, in ottica di empowerment e leadership al femminile, e di lotta contro le discriminazioni di genere. E’ un terreno inesplorato invece quello di un’analisi legata a una figura di linea quale quella della vendita. Chi vende è il tramite tra l’azienda e il cliente, è chi praticamente converte la produzione in fatturato: è ovviamente scopo di un’azienda avere venditori efficaci, e metterli in condizione di svolgere al meglio il proprio lavoro e incrementare le performance.

Ma siamo sicuri che i metri e le misure utilizzati vadano bene per tutti? E nello specifico, sia per uomini che per donne?

Andrea Boscaro. Credo che una ricerca possa in effetti rivelare dati interessanti. Quale è la tua opinione sulla base delle esperienze che hai maturato?

Anna Raffaelli. La vendita per linguaggio, impostazione, metafore, è ancora un mondo molto maschile. Le metafore usate sono maschili (guerra, frontiera, sport di scontro fisico, conquista). Il linguaggio, il gergo, i paragoni, seguono questo filone. C’è discriminazione per settori: alcuni sono molto femminili e altri molto maschili, spesso in modo stereotipato: quante venditrici vediamo in settori quali automotive o edilizia? Eppure magari in azienda ci sono giovani donne cresciute nel servizio clienti che avrebbero tutte le competenze e le carte per svolgere un ottimo lavoro, ma restano appunto – per immaginario collettivo per cui la donna è accogliente e l’uomo guerriero – relegate al customer care.

Andrea Boscaro. Considerando i ritmi della vita di un venditore (e di una venditrice), pensi che ci possa essere una discriminazione “oggettiva”?

Anna Raffaelli. Per orari e ritmi del mondo commerciale è frequente che dopo alcuni anni in questo ruolo una donna cambi mansione in azienda, scegliendo ruoli più “da ufficio” con orari e sede fissa. I ritmi infatti non tengono conto di eventuali famiglie e figli, con trasferte da clienti e attività extra-lavoro connaturate al mondo vendita (cene o pranzi con il cliente) che vanno oltre un canonico orario da ufficio. Questo spostamento ovviamente fa perdere know-how all’azienda e impone di ricominciare da capo.

Andrea Boscaro. La differenza uomo – donna nel mestiere della vendita può essere anche un’opportunità?

Anna Raffaelli. Non siamo uguali, è innegabile, e la differenza dovrebbe essere proprio quell’elemento che porta valore aggiunto, prospettive diverse, sensibilità diverse, percezioni diverse, modi di interagire e relazionarsi diversi: tuttavia, spesso un appiattimento di metodi e indicatori, che non tenga conto delle differenze, rischia di azzerare questo potenziale vantaggio, trattando tutti nello stesso modo, e nella fattispecie equiparando le donne a uomini, non considerando alcuni aspetti cruciali che però, appunto, non debbono tradursi in una discriminazione.

Andrea Boscaro. La vendita attiene certamente, più di altri ambiti, alla persuasione e, per certi versi, alla seduzione. Il rischio di fraintendimenti è in effetti un grande ostacolo ad un approccio  professionale proficuo. Cosa ne pensi?

Anna Raffaelli. Il rischio di oltrepassare le linee tra confidenza professionale e attenzioni extra professionali (tema tristemente sotto i riflettori in questi giorni con il caso Weinstein, dove la merce di scambio per la carriera è ben altro rispetto alla professionalità) esiste: non c’è dubbio.

Questo tipo di linea di demarcazione è molto delicata nel mondo della relazione venditore-cliente.

La vendita è un corteggiamento, un processo dove il cliente viene fatto innamorare del prodotto e dell’azienda, e quando si svolge tra uomo e donna se la cultura e la mentalità non sono libere da pregiudizi si corre il rischio di attriti o situazioni spiacevoli sia per le persone coinvolte che per l’esito della trattativa stessa (es: battute, apprezzamenti, dare per scontato che una donna non sappia cose tecniche, ….). Come posso continuare a stare seduta al tavolo delle trattative con un cliente che “ci prova”? Cosa fare se quella che dovrebbe essere una giusta distanza professionale viene trasformata in distacco sul piano personale per autodifesa e autotutela, uccidendo quindi qualsiasi forma di empatia e danneggiando irreparabilmente la trattativa e la vendita?

Cose naturali per un venditore uomo non lo sono per la venditrice donna: accettare o fare inviti a cena, accettare o fare “regali” con gadget aziendali sono prassi tra uomini ma rischiano di creare situazioni imbarazzanti o equivoche se le due parti sono di sessi diversi e l’approccio non è paritario.

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