L’acquisizione della catena di prodotti alimentari biologici Whole Foods da parte di Amazon non è che l’ultimo dei segnali che mostrano come la parola “eCommerce” – nata in contrapposizione con il retail tradizionale – debba essere abbandonata visto che è chiaro come, man mano che le generazioni passano e vivono senza soluzione di continuità il confine fra online e offline – anche i protagonisti della Rete adottano strategie omnicanale così da favorire la shopping experience e l’esercizio del diritto di recesso: Amazon e del resto anche i grandi eCommerce cinesi fanno leva sulla liquidità generata dal loro business per accrescere la fiducia legata ai loro brand e rafforzare la quota di mercato di cui godono.
Tutti questi operatori sono però non solo retailer, ma anche e soprattutto marketplace ed è interessante notare come la scelta di consentire alle aziende non solo di vendere a se stessi, ma di avvalersi della loro infrastruttura per vendere ai consumatori finali sia stato il fattore di svolta della loro crescita grazie ad un assortimento maggiore e ad una capacità maggiore di attivare economie di scala.
Per limitarci ad Amazon infatti, ciascuna azienda ha tre possibilità, a patto che la categoria merceologica, sia già stata aperta:
- vendere i propri prodotti ad Amazon (modello “vendor“);
- vendere i propri prodotti attraverso Amazon (modello “merchant“);
- diventare un merchant di Amazon avvalendosi della sua soluzione logistica per gestire le consegne (“FBA” o “Fullfilled by Amazon“).
Sul piano strategico, la soluzione “vendor” comporta il minore degli operi per l’impresa perchè Amazon agisce in questo caso come qualunque operatore della grande distribuzione, ma non offre nessuna visibilità sulle analytics legate alla vendita online e quindi non consente forme di ottimizzazione della presenza del brand e dei prodotti. Il punto di partenza è entrare in contatto con un buyer di Amazon e intraprendere una trattativa commerciale.
La soluzione “merchant” al contrario permette a qualunque azienda – anche a quelle che non sarebbero riuscite a stipulare un contratto come vendor – di caricare le proprie offerte attraverso l’interfaccia – rigida, ma chiara – che Amazon mette a disposizione ed ha massima visibilità sui dati (visualizzazioni dell’offerta, presenza nella pagina di “prima scelta” di Amazon, la cosiddetta “Buy Box”, tasso di conversione in vendite, …), ma anche oneri sul piano delle responsabilità non solo legate alla gestione dell’ordine, ma anche alla ottimizzazione della visibilità delle offerte grazie ad iniziative editoriali, promozionali e pubblicitarie.
L’uso di “FBA” può considerarsi una terza via perchè permette di lasciare ad Amazon il compito di consegnare la merce al consumatore finale e gestire customer care e resi – il che per un’azienda b2b può essere molto importante – accrescendo la possibilità di vedere i propri prodotti finire nel paniere di Amazon Prime e potendo contare sull’effetto fiducia dettato dalla comunicazione agli utenti che tali consegne sarebbero effettuate dal gigante di Seattle.
Di fronte a queste tre scelte, è compito delle aziende produttrici e commerciali mappare l’attuale presenza dei loro prodotti su Amazon per comprendere eventuali tentativi di contraffazione e porvi mano e, di seguito, valutare se vi siano spazi per intraprendere una strada che le porti ad avvalersi delle soluzioni che abbiano visto.
Da non escludere la strada cooperativa per la quale un’azienda produttrice possa collaborare con uno o più distributori nei diversi mercati per cogliere al pieno i vantaggi legati alle vendite senza creare alcun conflitto di canale con i propri partner.