La moltiplicazione di dispositivi con i quali ci connettiamo ad Internet e il loro uso costante nel corso della nostra giornata, anche in modalità “second screen” con altri mezzi di comunicazione (TV, radio, outdoor) rappresenta sia un’opportunità che una minaccia per chi si occupa di comunicazione.
Sono aumentate le opportunità di contatto fra le marche e i consumatori, si sviluppa la tecnologia per far sì che esse dialoghino (es. l’addressable TV), ma si è anche alzata l’asticella per chi ha come compito accrescere la notorietà di un brand e la relazione necessaria ad aumentarne la consideration.
Il problema della viewability assume risvolti continuamente nuovi:
- attiene in modo più pertinente all’addebito – da parte di chi vende pubblicità a chi l’acquista – di un’impression non in quanto erogata dall’ad-server, ma in quanto “viewable” ovvero mostrata all’utente per un certo tempo e con un certo suo spazio a seconda dei formati pianificati e degli standard definiti dallo IAB;
- si confronta con la crescente adozione di software di ad-blocking da parte degli utenti ed ancor più da parte di alcuni browser;
- richiede una comunicazione capace di accrescere la sua rilevanza grazie ad una più granulare profilazione – favorita dalle tecniche di programmatic advertising – e ad una creatività in grado di rispondere al meglio al micro-momento in cui si ingaggia l’utente ed anch’essa gestibile in forme dinamiche e data-driven;
- necessita di un approccio in cui il contenuto – editoriale o relazionale (es. le chatbot) – assume un ruolo centrale ed apre nuovi spazi al branded content ed al branded entertainment.
Dati migliori ed una migliore pubblicità sono pertanto alleati per rispondere nel modo più adeguato allo scenario di maggiore complessità che il digitale di oggi presenta alle aziende.