Se c’è una cosa che ho capito in diciott’anni di lavoro con le mani in pasta nel marketing digitale è che i click e le conversioni non combaciano mai ovvero quando si vanno ad analizzare i rendimenti delle diverse campagne pubblicitarie – e più in generale quando si va ad osservare l’impatto sul sito di tutte le iniziative di web marketing – si osserva come i numeri che vengono indicati dai diversi pannelli di controllo degli strumenti dei canali di web marketing non sono mai identici.
Il mancato allineamento fra i numeri presentati dai report dei diversi canali utilizzati e i valori indicati dai software di web analytics – ed in particolare dal più diffuso Google Analytics – è spiegato da almeno tre ragioni.
La prima ragione è ovviamente determinata dagli utenti “dispettosi” che cliccano su un annuncio pubblicitario, ma poi non attendono il debito caricamento della pagina di destinazione e quindi creano la prima fonte di divergenza fra i numeri a monte e a valle del click: ovviamente ho utilizzato in modo ironico il termine “dispettosi” perché è chiaro che più facciamo campagne pubblicitarie con formati che distolgono l’utente della sua normale navigazione più il click prodotto non sarà autentico e, quand’anche tracciato, presenterà un’elevata frequenza di rimbalzo.
La seconda ragione che spiega la divergenza tra i click è la diversa definizione che ne danno gli strumenti: Google Analytics ad esempio non misura i click, ma le “sessioni” e considera “sessione” un accesso al sito nello spazio dei 30 minuti: è evidente pertanto che si vi sono stati più accessi da parte dello stesso navigatore nello spazio di 30 minuti, questi vengono da Google Analytics considerati come un’unica sessione: è necessario pertanto normalizzare questi elementi attraverso l’indicazione dei costi e dei ricavi delle attività pubblicitarie anche quando non vi siano delle entrate economiche vere proprie grazie all’attribuzione di un valore fittizio, il più possibile coerente con il compimento dell’obiettivo desiderato (invio di una richiesta di contatto, iscrizione ad una newsletter, …).
La terza ragione per la quale i conti non tornano deriva dalle difficoltà da parte di Google Analytics di riconoscere la sorgente di traffico: in tali casi, Google Analytics aggrega i relativi accessi nella voce onnicomprensiva del “Traffico diretto”. In particolare sono difficilmente riconosciuti gli accessi cross-device, quelli frutto del passaggio da https ad htpp ed infine quelli derivanti da app e da codici qr. Per questo motivo è opportuno parametrizzare i link grazie ai diversi strumenti come lo URL builder di Google Analytics.
Ancor più complessa è il tentativo di far combaciare le conversioni per attribuirle correttamente alla sorgente di traffico che le ha fatte scaturire. In particolare Facebook data la conversione nel giorno in cui si è prodotto il click e se attribuisce il merito 24 ore dopo la visualizzazione dell’annuncio o 28 giorni dopo il click, Google Analytics quando effettivamente la conversione ha avuto luogo e in riferimento all’ultimo click diretto offrendo un rapporto specifico per analizzare le Conversioni Indirette.
Da conoscere pertanto e da utilizzare per poter allineare al meglio l’analisi delle attività di web-marketing rispetto ai loro rendimenti è la funzione di personalizzazione dei modelli di attribuzione di Google Analytics così da rispecchiare al meglio le definizioni del canale più utilizzato. Google ha annunciato una funzionalità avanzata che si avvarrà delle tecniche di machine learning per automatizzare il processo di attribuzione, ma sarà una funzione a pagamento.