Il nuovo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, è la volta del petrolio
Dopo il carbone, a quanto pare, sarà la volta dell’oro nero, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato stamattina davanti la Plenaria del Parlamento europeo che l’Unione taglierà a zero l’importazione di petrolio e dei prodotti derivati entro i prossimi 6-8 mesi.
“Elimineremo gradualmente la fornitura russa di petrolio greggio entro sei mesi e di prodotti raffinati entro la fine dell’anno”, ha detto la Presidente a Strasburgo.
In realtà ci saranno delle deroghe, perché alcuni Paesi come Ungheria e Svolacchia, ma non solo, potrebbero avere dei seri problemi ad interrompere troppo rapidamente le forniture russe, quindi per loro la chiusura dei rubinetti dovrebbe esser fissata per gennaio o febbraio del 2023.
Ovviamente non potrà essere una mossa rapida e indolore e questo la Commissione lo sa bene: “Il petrolio russo sarà eliminato gradualmente, in maniera ordinata, per consentire a noi e i nostri partner di attivare linee di approvvigionamento alternative, così da ridurre al minimo i disagi, anche a livello globale”, ha spiegato la von der Leyen.
“Per aiutare l’Ucraina abbiamo bisogno che la nostra economia rimanga forte”, ha precisato la Presidente della Commissione europea.
L’era dei combustibili fossili non è ancora finita, quanto valgono per Mosca gas e petrolio?
Sorge spontanea una domanda, perché si è preferito mettere al bando solo il petrolio russo e non anche il gas? L’Europa importa dalla Russia il 40% del gas e il 26% del petrolio. Sembra quasi ovvio che colpire il primo combustibile fossile, invece che il secondo, comporti più danni per Mosca, ma non è così.
La mossa di Bruxelles potrebbe essere calcolata, oltre che obbligata (è molto più difficile fare a meno di tutta questa gran quantità di gas e trovare nuove linee di approvvigionamento), perché la ricerca di forniture alternative di greggio è relativamente più facile e anche perché, secondo dati della Banda mondiale, Mosca guadagna tre volte di più dalla vendita del suo petrolio rispetto al gas.
In numero assoluti, la Russia incassa 179 miliardi di dollari l’anno (quasi 500 milioni di dollari al giorno) dalla vendita di petrolio, di cui 104 miliardi arrivano da Regno Unito e Unione europea.
Nel 2021 la Russia ha incassato da tutto il suo export di prodotti circa 330 miliardi di dollari, la metà derivati dall’industria dei combustibili fossili (gas, petrolio, carbone).
Secondo lo studio, Mosca potrebbe addirittura aumentare i propri guadagni in quest’ambito, anche sotto embargo europeo e americano, perché la guerra farà salire i prezzi di questi beni fossili e anche la domanda, tanto che petrolio, gas e carbone potrebbero fruttare alla Russia circa 350 miliardi di dollari nel solo 2022, tanto quanto incassato dall’export degli ultimi due anni.
Una situazione questa che vede da un alto crescere sempre di più la domanda di petrolio e dall’altro aumentare anche il prezzo dell’oro nero, anche perché le scorte stanno diminuendo a livello mondiale e l’offerta non aumenta per il momento.
Diminuiscono le riserve di petrolio globali, ma che fa l’Opec+?
Secondo la Reuters, la scorsa settimana si è registrata una diminuzione di 800 mila barili delle scorte di greggio a livello mondiale.
In questi giorni, l’Opec+ ha annunciato di non esser riuscita a centrare i suoi obiettivi di produzione, evidenziando la mancanza sul mercato di 1,45 milioni di barili al giorno.
L’Opec, l’Organization of Petrol Exporting Countries, lo ricordiamo è un cartello di 13 Paesi produttori di petrolio che controlla direttamente l’80% delle riserve petrolifere mondiali.
Al momento il prezzo del greggio si aggira attorno ai 105 dollari per barile, ma rimane molto volatile e molto sensibile alle realtà locali. Ad esempio, l’Iraq ha aumentato la sua produzione giornaliera, mentre Libia e Nigeria l’hanno tagliata, così come la Bielorussia, che ha tarato la sua produzione di barili per il solo fabbisogno nazionale, riducendone le esportazioni solo verso alcuni Paesi (non certo europei).
Prezzi così elevati non fanno altro che alimentare l’inflazione, che a sua volta avrà effetti deleteri sull’economia mondiale, soprattutto a livello locale, minacciando la crescita e la ripresa dopo due anni di pandemia da Covid-19.
Ulteriori rincari potrebbero anche avere effetti negativi sulla fiscalità generale, perché i Governi, come quello italiano, potrebbero essere tentati di ridurre ulteriormente le accise e il peso delle imposte per non peggiorare la situazione economica delle imprese e delle famiglie.
Dalla guerra alla crisi energetica, addio alla transizione ecologica?
Il punto è, come riusciremo a sostituire le forniture russe di petrolio entro sei mesi? La transizione ecologica e il Green Deal europeo sono percorsi accidentati, rallentati da una certa politica affaristica, dalla burocrazia e da interessi particolari attorno ai combustibili fossili (su cui investiamo ancora troppi miliardi di euro), manca insomma una visione generale e condivisa del problema.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), la crisi petrolifera è iniziata molto prima che i tank russi invadessero l’Ucraina. Alla fine di gennaio l’Ocse avvertiva che le scorte di petrolio erano scese a 335 milioni di barili, ben al di sotto della media degli ultimi cinque anni e ai minimi storici rispetto alla media degli ultimi otto anni.
La domanda mondiale di petrolio dovrebbe crescere mediamente di 2,1 milioni di barili al giorno secondo stime IEA per il 2022. Ma l’Opec ha appena pubblicato un nuovo studio in cui si stima tale domanda attorno ai 3,7 milioni di barili al giorno.
Questo potrebbe però essere solo un risultato temporaneo di una congiuntura negativa del mercato del greggio legata alle sanzioni contro la Russia, al riaccendersi della pandemia di Covid-19 in Cina e alla fase più o meno lunga di ricerca e avviamento di forniture alternative a quelle di Mosca da parte di molti Paesi occidentali e non.
Poi, tutti prospettano una nuova impennata della domanda mondiale di petrolio, con buona pace di chi ha creduto, anche solo per un attimo, ad una strada alternativa a quella dei combustibili fossili per la crescita e il benessere collettivi.