“è solo un pezzo di carta che non ha più nessun valore”, “dopo due anni di didattica online i professori non ci stanno aiutando tanto”, “chissà che ne sarà del mio futuro”, “non ho paura, i miei sono più agitati di me”, voci di corridoio che si intersecano capillarmente con video sulle pagine di Instagram per raccontare storie al mondo là fuori e che vengono postate nel mondo là dentro, con gesti semiautomatici alla ricerca di quel boomerang identitario dello specchio sociale che riflette, immagazzina, conserva in modo indelebile il mio sé in crescita. Un sé giovanile che ricerca consensi, approvazioni, che si scruta e si cerca di individuare nello sguardo dell’altro nell’apparente sicurezza della protezione dello schermo che ingloba un mondo piroettante di foto, video, sondaggi, caricati dalla patina delle modifiche, dei blocchi, dei screen shot che rimbalzano nelle chat di gruppo o degli amici del cuore a cui si chiede di verificare lo stato dell’altro, alla ricerca spasmodica di quel pezzetto identitario che completa finalmente il puzzle del sé che sta maturando e che segnerà il mondo là fuori con la scrittura indelebile del sé là dentro.
Ecco alla che la narrazione, il racconto aneddonico del vivere l’esame di Maturità diventa vivido e realistico nei video realizzati con maestria davanti alla scuola, nella voce corale di un gruppo di giovani che intona le note di “Notte prima degli esami”, in cui si raccoglie il seme della trasmissione intergenerazionale di tanti e lontani vissuti emotivi, e che nell’abbraccio collettivo di giovani che hanno imparato ad unirsi per condividere emozioni, ci traghetta nell’iperconnessione di un gruppo animato dal desiderio di essere riconosciuto e di riconoscerci come adulti consapevoli che cercano di comprendere ed aiutano a comprendere i nuovi linguaggi giovanili. Dinamiche di gruppo, che rimbalzano in rete, sotto la spinta dell’emotività che il bambino impara a gestire grazie alla spinta regolativa del genitore che agisce da primo specchio sociale, dando riconoscimento e valore al primo tassello di puzzle identitario, che da l’incipit alla creazione dell’identità personale posta alla base dell’avventura creativa dell’amalgamare il sé in formazione per renderlo visibile al mondo esterno, dopo il primo debutto avventuroso oggi nelle pagine dei social e di ritorno nei passi timidi rocamboleschi nel mondo esterno che conserva il modem dell’iperconnessione costante dell’e-life.
Oggi allora. Dopo la Didattica a distanza, dopo il ritiro sociale per gestire la pandemia, che lascia esiti emotivi sulle giovani menti che dovremmo necessariamente supportare e riparare, è il tempo degli esami di maturità per tutti quindi, adulti e leve giovanili, che ci permette di essere uniti, società educante e società in crescita, per fare un bilancio e dare ascolto alla scrittura su carta di quel “Che stai pensando” sigillato sulle pagine, ormai iconiche di Zuckenberg, tramutatosi sulle pagine di Instagram nell’impatto visivo di immagini e video, che cercano anche di scomparire, truffando la rete [le storie postate per 24 ore] ma che vengono registrate dai vari utenti per conservarle e condividerle.
Siamo abituati a parlare, a narrare ma lo facciamo maggiormente con le immagini e riusciamo poco con le parole. Allora oggi, ascoltiamoli questi ragazzi, perché il futuro oggi dipende da loro, diamo valore alla loro voce, e cerchiamo di aiutarli a comprendere che il là dentro, magazzino di memoria indelebile conserva tutto, dai primi vagiti che sigillano l’identità digitale prima che il bambino stesso abbia riconosciuta la propria identità visiva allo specchio [il che avviene a 18 mesi di età], e che per delineare autonomamente il puzzle identitario il plauso del gruppo a volte confonde e mescola i tasselli spargendo tutto sulla scrivania personale dove tra libri, video, immagini, like, post, sondaggi, si perde di vista la creazione del sé.
Grazie alle parole e ai pensieri che i maturandi ieri hanno gettato su carta e che ci permetteranno di correggere errori che ancora oggi, nella società digitalizzata, vengono compiuti non tenendo conto delle linee guida nazionali ed internazionali sulla screen education [Volpi, 2014, 2017, 2020], in quanto nella profonda riconfigurazione degli ambienti di vita permeati dalla tecnologia il «ruolo degli adulti» come «fulcro responsabilizzante» di una società digitalizzata, di alto o basso profilo valoriale, è primario ed eticamente necessario. Ascolto, cura, comprensione, per continuare, come diceva Steigler ha prendersi cura della gioventù e delle nuove generazioni.
Grazie ragazzi per la vostra narrazione in un tempo di confusione emotiva.