Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
La sezione “Outlook of the video games sector”, nell’ultimo report Media Industry Outlook della Commissione europea, inizia con un’affermazione perentoria: «I giorni nei quali i videogame venivano considerati un hobby per pochi sono finiti da tempo». E sono i dati sostengono quest’affermazione, visto che circa metà della popolazione europea si dedica ai videogiochi, ormai «una forma mainstream di espressione culturale». E poi i numeri: nel 2022, ricorda report, il mercato globale vale la cifra di 179 miliardi di euro, in crescita del 5,4% rispetto all’anno scorso; la previsione per il 2024 è di 196,4 miliardi.
E il mercato europeo? Cresce, ma il problema è che la sua percentuale globale è in discesa. Nel 2022, il valore del settore era pari a 23,48 miliardi, ed entro il 2026 si ipotizzano 33 miliardi, ma la quota sul totale è scesa dall’8,7% (nel 2017) al 7,7% (nel 2021), a causa soprattutto della rapidissima crescita dei mercati asiatici. Nel 2025, questo valore sarà probabilmente pari al 7,3%.
Anche in Europa domina il mobile gaming
Quali sono i Paesi che si comportano meglio nel vecchio continente? La Francia, la Germania, l’Italia, la Spagna e il Regno Unito, che messi insieme arrivano al 75% della produzione europea; il loro fatturato, durante il Covid, è cresciuto del 22% su base annua, ma bisogna tenere conto che anche il “mezzo” conta. Ora, in seguito all’affermarsi globale degli smartphone e delle tariffe per Internet mobile a basso prezzo (su SOStariffe.it si possono mettere a confronto le migliori offerte di questi mesi), tutto passa dal mobile gaming. Questa modalità ha surclassato le console e gli arcade e ora ha la fetta più grossa sia per quanto riguarda il fatturato (51% per cento del mercato, contro il 29% delle console e il 20% del PC) che per il numero dei giocatori; in questo l’Unione europea non differisce dal resto del mondo (stanno invece ormai estinguendosi i giochi da browser, che hanno perso il 16,9% solo dal 2021 al 2022). In totale, sono in Europa, il fatturato sul mercato dei giochi per smartphone è pari a 12,31 miliardi, ma non solo: il mobile gaming è quello col miglior fatturato per utente, 172,3 euro a testa, più del quadruplo di quanto generino i giochi online o scaricabili su console e su PC; le previsioni prevedono che questo gap continui ad allargarsi.
I colossi? Tutti USA e Asia
Ma, quindi, come si colloca l’Europa su questo mercato? I giocatori, per prima cosa, sono tanti: 124,8 milioni, secondo le stime del 2021, e di tutte le età. Più del 70% nella fascia dai 6 ai 24 anni gioca, e la percentuale rimane sul 60% tra chi ha da 25 a 34 anni; siamo comunque sulla metà tra i 35 e i 44 e un terzo sopra i 45 anni. Per quanto riguarda i sessi, non c’è disparità: il 47,8% dei giocatori è di genere femminile, con una predilezione per il gioco mobile.
In questa situazione, non si può fare a meno di notare come la classifica dei maggiori produttori parli inglese (ma d’oltreoceano), giapponese e cinese, per le prime dieci posizioni. Queste vedono al primo posto la “mamma” della PlayStation, Sony (con un fatturato di 17,04 miliardi), seguita da Tencent, la società cinese dietro successi come League of Legends e PUBG: Mobile (15,20 miliardi, ma è la prima al mondo per investimenti), Nintendo, Microsoft, la cinese NetEase, il trio statunitense Activision Blizzard, Electronic Arts e Take-Two, Bandai Namco e Square Enix, entrambe giapponesi. Per trovare un po’ d’Europa bisogna aspettare la tredicesima posizione (con la francese Ubisoft, 1,35 miliardi di fatturato) o la diciannovesima (lo svedese Embracer Group, 300 milioni).
Una questione di microimprese (anche nel gaming)
Tutto questo significa anche che per il tessuto del gaming continentale è basato soprattutto su piccole e microimprese (4.600 in totale, secondo le stime, la maggior parte delle quali con meno di 10 dipendenti), il che impedisce – è un fenomeno ben noto anche in Italia – di poter competere davvero con i colossi del settore, quelli che sviluppano i cosiddetti titoli AAA, che richiedono investimenti enormi e anni di lavoro. Visto che ormai il lavoro per produrre giochi di ampio respiro è pari, se non superiore, a quello per un blockbuster cinematografico, la grande tendenza del mercato è quella del consolidamento, tanto che nel solo 2021 ci sono stati circa 400 annunci di acquisizioni nel settore del gaming; in questo settore, è notizia freschissima il sospirato sì dell’Unione europea all’accordo Microsoft-Activision Blizzard, osteggiatissimo dai concorrenti proprio per il rischio di un dominio incontrastato nel campo del cloud gaming, con Microsoft che a questo punto avrebbe davvero in mano quasi tutti gli assi nella distribuzione dei contenuti più utilizzata nel presente e, di certo, nel futuro.
Il futuro passa per le IP
A tutto questo si aggiunge il fatto che le più grandi compagnie tech – da Apple a Netflix, passando per Amazon e Meta – stanno investendo nel settore, e che quindi è assai probabile che diventi sempre di più una questione di “big player”. E sì che esempi di eccellenza ce ne sono: su tutti The Witcher, il gioiello del 2019 realizzato dalla polacca CD Projekt Red (che ha tentato di bissare, con meno fortuna, con Cyberpunk: 2077), diventato poi una serie per Netflix. Anche qui, infatti, come accade ormai da tempo nel cinema, il segreto del successo non è tanto nel singolo titolo capace di vendere milioni di copie, ma nelle IP, le intellectual property che possono far scaturire una pletora di prodotti multimediali ispirati a quello originale. In questo senso va interpretata la scelta di Embracer Group, che ha da poco acquisito i diritti per creazioni ambientate nel mondo del Signore degli anelli. Anche qui qualche numero: dal 2021 al 2022, a livello globale, gli adattamenti di videogame in altri prodotti sono aumentati del 47%, e in questo inizio del 2023 ci sono già 60 produzioni basate sui giochi in sviluppo (il successo televisivo di The last of us, che è stato salutato come una delle migliori serie dell’anno se non la migliore in assoluto, fa scuola).