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Vendita di beni o servizi digitali: come la direttiva UE771/2019 disciplina alcuni aspetti contrattuali

Come anticipato qualche settimana fa, nel 2019 il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno emanato due direttive il cui recepimento nei singoli paesi dell’Unione è destinato ad avere importanti ripercussioni nel mercato dei servizi e della vendita di beni digitali o a “contenuto digitale”. Nell’alveo della strategia europea per il mercato unico, l’intento comunitario è duplice nella direttiva in esame (Dir. UE 771/2019): armonizzare aspetti essenziali del diritto contrattuale dei consumatori, rendendo più facile alle imprese offrire i prodotti in altri Stati e, insieme, ottenere “un livello elevato di protezione e miglioramenti in termini di benessere” (Considerando n. 10).

Oggetto e finalità

Scopo precipuo della Direttiva è stabilire norme comuni in relazione ad alcuni aspetti dei contratti tra consumatori e venditori per quanto riguarda la conformità di beni e servizi a contenuto digitale e, segnatamente, di beni materiali che incorporino o siano interconnessi con essi, di modo che l’eventuale mancanza, impedendo lo “svolgimento delle funzioni del bene”, li renderebbe non conformi (v. le Definizioni, all’art. 2 della Direttiva).

Tra gli esempi il Considerando n. 15 della Direttiva fa riferimento ad una smart TV: “Se, ad esempio, nella pubblicità di una smart TV si è fatto riferimento alla presenza di una particolare applicazione video, tale applicazione dovrebbe essere considerata quale facente parte del contratto di vendita. Ciò si dovrebbe applicare indipendentemente dal fatto che il contenuto digitale o il servizio digitale sia preinstallato nel bene stesso o debba essere successivamente scaricato su un altro dispositivo e sia soltanto interconnesso con il bene in questione.

L’intento è, evidentemente, quello di regolamentare la vendita B2C ogni qualvolta un bene o un servizio consenta al consumatore di creare, trasformare, memorizzare i dati o accedervi in formato digitale, oppure consenta la condivisione di dati caricati o creati dal consumatore o da altri utenti, così come la capacità del bene di funzionare con hardware o software con cui sono normalmente utilizzati i beni del medesimo tipo, senza che sia necessario convertire i beni, l’hardware o il software.

Appaiono rilevanti, in tale contesto, sia il concetto di “funzionalità” del bene, ossia la capacità di svolgere tutte le funzioni in considerazione del suo scopo, sia quello di “interoperabilità”, ossia la capacità di funzionare con hardware o software diversi da quelli con cui sono normalmente utilizzati i beni dello stesso tipo.

La Direttiva impone al venditore di consegnare al consumatore beni che siano conformi al contratto (art. 5), suddividendo i requisiti in soggettivi e oggettivi.

Requisiti soggettivi di conformità di vendita

Per essere conforme al contratto di vendita, il bene deve:

La previsione del necessario aggiornamento, anche in termini di sicurezza, consente di evidenziare come il provvedimento ponga particolare importanza anche alla sicurezza informatica dei “beni” venduti, necessaria per assicurarne la “conformità nell’arco di un periodo di tempo”[1].

Requisiti oggettivi di conformità

Oltre a rispettare i requisiti soggettivi di conformità, il bene deve:

Responsabilità del venditore e onere della prova

Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene e che si manifesti entro due anni. Nel caso di beni con elementi digitali, quando il contratto di vendita preveda la fornitura continuativa del contenuto o del servizio digitale per un periodo di tempo, il venditore è responsabile anche per qualsiasi difetto di conformità che si verifichi o manifesti entro due anni dal momento della consegna dei beni (art. 10).

Quanto alla ripartizione degli oneri probatori (art. 11), la Direttiva prevede che qualsiasi difetto di conformità che si manifesti entro un anno dal momento in cui il bene è stato consegnato, si presume fosse sussistente al momento della consegna del bene, salvo prova contraria (o che la presunzione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità).

Gli Stati avranno peraltro la facoltà di introdurre un periodo maggiore, di due anni dalla consegna, in relazione a tale aspetto della normativa.

I diritti del consumatore

In ipotesi il bene non sia conforme il consumatore ha, innanzitutto, diritto alla riparazione o alla sostituzione del bene. Le disposizioni al riguardo ripropongono, sostanzialmente, quelle europee trasfuse nel Codice del Consumo (art. 130).

In relazione alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto, la Direttiva prevede che tali rimedi possano essere applicati:

Vale la pena evidenziare, al riguardo, che il consumatore non ha, però, il diritto di risolvere il contratto se il difetto di conformità è di lieve entità (con onere in capo al venditore di dimostrare l’entità del difetto).

Per concludere può rilevarsi come anche nel caso della Direttiva in esame (si veda l’articolo sulla Direttiva 770/2019) una notevole rilevanza avranno le specifiche campagne pubblicitarie di beni e servizi a contenuto digitale. Le aziende dovranno infatti tenere ben in conto quanto il consumatore si aspetterà in relazione alla pubblicità, alle caratteristiche e alle specifiche dei beni che gli sono stati “proposti”: le strategie aziendali di profilazione e targhettizzazione dei contenuti dovranno certamente fare i conti anche con le novità in arrivo.


[1] Si veda G. Capilli, Le direttive 2019/770/UE, 2019/771/UE e 2019/2161: verso l’unificazione (salvo deroghe) della disciplina sulla tutela dei consumatori nel mercato digitale

Andrea Broglia, Avvocato – esperto in privacy e ICT Law– componente del D&L NET

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