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#vadoalmuseo, come i musei italiani si sono evoluti con la pandemia

Si sa che per quanto riguarda l’arte e la cultura, l’Italia è considerata il principale polo d’attrazione a livello mondiale, tant’è che più volte nella classifica ‘Best countries’ stilata da US news & world report, si posiziona al primo posto per Influenza ed Eredità Culturale, una miniera di capolavori, frutto di secoli e secoli di storia, che è custodita in più di 4.900 tra musei, aree archeologiche e monumenti.

Ma d’altro canto, siamo molto ben lontani dalla vetta di tutte quelle classifiche che riguardano la digitalizzazione, le tecnologie interattive e l’accessibilità. “Sono solo il 10% le strutture che dispongono di un catalogo scientifico digitale del proprio patrimonio”, e ancora non si arriva a registrare il 50% di strutture che utilizzino strumenti innovativi e digitali per completare l’esperienza del visitatore (dati ISTAT).                          

Che il Digital oggi permei le nostre vite in ogni aspetto è evidente, tant’è che si parla di ‘rivoluzione digitale 4.0’ di conseguenza questa consapevolezza deve tradursi sul piano pratico anche per il panorama culturale; uno dei compiti primari del museo è la comunicazione ed è soprattutto questo aspetto che deve essere ripensato e messo al centro delle nuove necessità, non è più sufficiente avere un sito web (una dotazione minima che riguarda solo il 35 % di essi), ma si deve riflettere su quanto sia cambiato il modo di ricezione del pubblico, e colmare le distanze tra i fruitori e gli enti. Sdoganare definitivamente la concezione di ‘museo reliquia’, fatto per una ricezione passiva e voyeuristica di pochi eletti, per creare un sistema di ampio respiro, proattivo nei confronti di questa mutata realtà. Un cambio di rotta che sembra essersi innescato con la legge Franceschini, che conferisce maggiore autonomia scientifica e finanziaria e che rivede la struttura della gestione dei musei. Sicuramente il lato positivo è che c’è un terreno estremamente fertile per l’innesto di questo cambio ‘epocale’.

Ma come hanno reagito i musei con la Pandemia?

Come abbiamo visto, la situazione museale italiana riguardo il digitale appariva depressa ben prima della drammatica emergenza sanitaria, e ovviamente tutto il settore culturale e museale con essa ne ha pesantemente risentito; ma di contro questa crisi ha portato ad una rapida accelerazione della digitalizzazione dei contenuti, ha rotto la formalità del museo e fatto riflettere sulla necessità di cambiare il proprio registro comunicativo dove i social l’hanno fatta un po’ da padrona perché sono diventati sostanzialmente il modo di tenere aperto e raccontare il museo.

Qualche dato

L’ICOM Italia, acronimo di International Council Of Museum, ha svolto due indagini a supporto della comunità museale in ambito digitale per monitorare l’impatto della crisi, per prendere coscienza della situazione analizzando la transizione al digitale, dopo il primo lockdown e in autunno.

Partiamo da un dato purtroppo non incoraggiante, prima della crisi solo il 34% degli italiani frequentava i luoghi di cultura.

Nei rapporti ICOM si legge che:

Altrettanto rivelatori sono i dati riportati dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano, dove si è visto che solo un museo su quattro (24%) ha un piano strategico per l’innovazione digitale.

Sembra incredibile, ma si è addirittura registrato che il 51% dei musei non è dotato di Wi-Fi, ma almeno l’85% ha un sito web.

A ben pensare questo dato non sorprende se in una ottica più ampia pensiamo che l’UNESCO, nel proprio rapporto sottolinea di come meno del 60% della popolazione mondiale disponga di un accesso a internet, e quindi la possibilità di usufruire di contenuti online non è affatto omogenea e così scontata.

Qualche esempio

Nonostante i dati testimonino una situazione difficoltosa per i musei italiani, non sono mancate iniziative ed esempi di successo, dall’attivazione di canali social, gli ‘apericom’ dell’ICOM, incontri sul digitale e i musei, nel momento dell’aperitivo, e poi ancora, non solo siti web ma creazione di veri e proprie piattaforme dedicate, approfondimenti, tour virtuali, con l’utilizzo di alte tecnologie, la visione di mostre attraverso le viewing room, pensiamo solo a Google Arts&Culture, laboratori e attività per i più piccoli, conferenze e convegni, il tutto trasposto sui molteplici canali social.

Contestualmente sono stati lanciati degli hashtag subito diventati virali: #museichiusimuseiaperti, in risposta a quello internazionale #MuseumfromHome, e tanti altri sotto i quali sono stati raccolti un grandissimo numero di contenuti, anche di qualità, che hanno permesso di poter continuare, anche se in modo diverso, a fruire della cultura, che sicuramente ha svolto un ruolo di consolazione in un periodo tanto critico.

Mentre dopo la riapertura di maggio si è notato un incremento della presenza degli Influencer in visita, sicuramente non un fenomeno nuovo, ma che anche questo ha subito una forte accelerazione, esplodendo questa estate nel caso della Ferragni agli Uffizi. Tutti meccanismi che hanno registrato riscontri molto positivi.

I musei italiani

Sicuramente tra le istituzioni più attive in ambito digitale ci sono i Musei Vaticani, i Capitolini, il Maxxi e l’Explora, il museo dei bambini a Roma; il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea che ha lanciato COSMO DIGITALE, nuova sede virtuale del museo.

Mentre la Pinacoteca di Brera vanta una straordinaria opera di digitalizzazione, così come il GAM La Galleria d’Arte Moderna .

Allo stesso modo il Museo Egizio di Torino aveva da tempo investito dei fondi nella digitalizzazione completa della collezione repertuale, archivistica e fotografica, e quindi nel momento della chiusura ha avuto modo di comunicare ed essere presente su tutti i canali; ha proposto ad esempio le ‘passeggiate del direttore’, una guida d’eccezione per raccontare i capolavori della galleria.

Vari ed importanti eventi si sono subito adattati, come la Triennale di Milano, che si è svolta interamente online e continua ad essere accessibile sui canali e le piattaforme digitali, o solo per citarne una su tutte, l’attesissima mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale, inaugurata il 5 marzo dal Presidente della Repubblica in onore del cinquecentenario della morte del genio urbinate, che con solo 3 giorni di chiusura è stata in grado di andare online. 

Sicuramente da annoverare tra le istituzioni più proiettate in ambito social e digital, ci sono le Gallerie degli Uffizi di Firenze, una delle poche realtà del bel paese che già prima della pandemia si erano correttamente attivate per la creazione di una corposa ed efficace strategia digitale e social, ciò ha permesso di saper rispondere alla crisi in tempi celeri e performanti, aprendo il 12 marzo la pagina FB e a luglio, pensando ad un pubblico più giovane la pagina su Tik Tok, raggiungendo numeri altissimi che testimoniano anche la voglia dei più giovani di avvicinarsi al mondo della cultura, percepita ancora in maniera ancora troppo ingessata.

Proponendo la rubrica ‘Uffizi Decameron’, in una chiara metafora, hanno comunicato che il museo può e deve essere visto come un luogo sicuro dove rifocillare l’anima, come lo era stata la campagna per i giovani fiorentini in fuga dalla peste.

Cosa si può trarre dalle difficoltà che ha innescato la pandemia?

Jeffrey Schnapp, designer e storico americano, direttore del MetaLab di Harvard, un istituto di ricerca tra i più importanti, che fa dell’integrazione tra mondo digitale e cultura umanistica il suo credo fondamentale, ha puntualizzato che nel suo centro non si parla più di ‘Digital’, è un concetto considerato ormai ‘scontato’, al quale i suoi colleghi britannici tendono a sostituire la parola ‘experience’, definendosi prima di tutto creativi. 

Forse è proprio questa visione il punto di partenza per ripensare il sistema museale: l’integrazione e la cooperazione di mondi  considerati in maniera sterile troppo lontani.

Questo cortocircuito tra realtà, diventi la strada da percorrere invece di rimanere staticamente arroccati nell’alta torre di avorio d’istituzioni gerontocratiche, in cui l’ombra di quello che fu, immobilizza il sistema museo in un mondo sempre più ‘smart’.

Percorrendo questa via siamo dinanzi ad infinite possibilità, dato che il digitale nel museo non è solo comunicazione, ma anche branding, digitalizzazione, ricerca, collaborazione tra enti diversi, User Experience, ecc…; ma non ci può essere questo tipo di comunicazione se non c’è materiale digitale, e questa è la prima necessità da ovviare.

Sicuramente al sistema museale si chiede in questo momento storico di operare una trasformazione epocale, che lo porti ad essere Forum, e non più Tempio, un luogo di contatto e scambio, che sfrutti la cassa di risonanza del digitale e dei social – l’indiscutibile palcoscenico in cui chiunque può esprimere la propria voce – che si muove proprio in questa direzione.

Musei ed user experience

Di fatto #iorestoacasa ha dato modo, anche se ancora ad una minoranza di interessati, di fruire di contenuti culturali rimanendo a casa e dall’altra parte ha permesso ai musei e alle istituzioni più capaci di poter compiere una profonda riflessione, ascoltando e analizzando le mutate esigenze del pubblico, e quindi di trasformarsi in una entità sempre più dinamica e attiva della comunità.

Ora dobbiamo concepire il digital come parte integrante del complesso ecosistema museo e non più semplice mezzo. Bisogna imparare a confrontarsi con diversi pubblici e con diverse missions, saper modulare i contenuti dinanzi alle nuove generazioni, a visitatori in presenza e non.

Quindi Digital? Sì, grazie! Ma non va neanche inteso come la panacea a tutti i ‘mali’; anche perché, come sappiamo, il settore della cultura, e del turismo di conseguenza, costituiscono una grande fetta dell’economia italiana, ed è facile immaginare che il risvolto economico di quest’anno pandemico sia stato catastrofico, e necessariamente questi mancati introiti andranno riequilibrati. È imperante sotto ogni aspetto la necessità di ripensare il sistema museale italiano a lungo raggio.

Mettendo in questa sede da parte il discorso economico, si provi ad intendere il museo come spazio Smart, dove l’unica chiave di lettura possibile è la contaminazione.

È utopistico pensare che qualcuno da solo riesca ad affrontare l’annosa questione, rimanendo tra le fila del proprio recinto, bisogna invece agire sotto l’egida della creatività per l’attuazione di una strategia ibrida tra umanisti ed innovatori digitali.

Mondi paralleli, forse, ma che in realtà hanno in comune la continua voglia dell’uomo di proiettarsi in avanti.  È ora di smettere di pensare il mondo della cultura come leziosamente accademico ed elitario, e allo stesso tempo dimenticarsi dell’accezione quasi negativa dei social, visti spesso come mezzo frivolo di comunicazione dediti al semplice svago, e considerarli un legante tra istituzioni e pubblico.

Musei e professioni digitali

Purtroppo però non esiste ancora a livello universitario una formazione specifica museologica e culturale così proiettata in ambito digitale, quindi i tentativi effettuati e i conseguenti dati che si stanno raccogliendo in questo periodo di pandemia sono fondamentali per gli sviluppi futuri. 

Se pur già esistono, anche se in maniera eterogenea e in poche realtà, figure quali il Responsabile di Comunicazione, il Social Media Manager, il Digital Officer si può pensare ad una lunga lista di nuove e più complete professionalità, allo stesso modo presenti e cooperanti insieme, quali: Digital Curator, Social Media Editor, Web Designer, Web Developer, Graphic Designer, Video Maker, Mediatore Digitale, Digital Media Curator e tante altre.

Non perdiamo di vista gli ampi scenari di sviluppi possibili che questa crisi ha messo in luce, di questi terribili momenti si colgano le opportunità, più che inventare qualcosa ci si deve aprire ad un dialogo costruttivo, potenziando le competenze trasversali, investendo nella formazione di figure sempre più ibride, il che non vuol dire concentrare in un’unica figura uno specialista di Fenici e un programmatore esperto di linguaggi HTML ad esempio, ma qualcuno che con una più ampia visione d’insieme sappia capire e comunicare le nuove esigenze, creare contenuti di valore, sapendo dialogare ed interfacciarsi con diverse professionalità.

In questo si inseriscono scuole come Digital Coach, con diversi corsi di digital marketing, possono avvicinare determinate professioni al futuro sempre più vicino.

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