L’attentato di Butler in Pennsylvania a Trump ha accelerato fortemente il ” cambio” di comunicazione da entrambi i lati del contendere. Dal lato repubblicano rafforzando la campagna attorno alla persona di Trump che va all’ostensione del corpo ferito visto sia nei tragici attimi successivi al colpo sparato dal giovane squilibrato amante di armi che come “incoronazione del Re” che si è poi configurata a Milwuakee nella acclamante convention repubblicana con l’orecchio bendato a là Van Gogh in vistosa evidenza. Qui la trasmutazione comunicativa nella campagna della destra. Che rende Trump ancora più imprevedibile “sganciandolo” dai suoi fan trasformati ormai in “fedeli” e che chiede la “grazia” anche per i fatti del 6 gennaio dell’invasione intimidatoria di Capitol Hill.
Dall’altra parte, quella democratica, e dopo il “disastro” del primo match con Trump, la comunicazione di Biden non potrà più utilizzare le parole forti usate finora, attenuando i toni più aggressivi, in un sostanziale congelamento che rischia di diventare paralizzante. Dovendo cioè riposizionare la stessa traiettoria comunicativa su posizioni più “difensive” e ritrasformando il “nemico pericoloso” in avversario depurandolo dai toni più delegittimanti riducendo le già forti asimmetrie e dunque riaffermando valori comuni e civici condivisi per l’unità degli americani nonostante le differenze.
Delegittimazione che invece sembra permanere con Trump verso Biden anche dopo le prime ore dall’attentato con richiami “ad una lotta senza confini” che richiama iconicamente la “Frontiera dell’Ovest” sotto la bandiera a stelle e strisce. Anche perché va ricordato che il tycoon non ha mai riconosciuto l’elezione di Biden sempre definito un usurpatore e non avendo mai condannato l’azione del 6 gennaio e per la quale è sotto indagine.
A Milwuakee rivediamo infatti un Trump ancora più aggressivo anche perchè si mostra entrato in contatto diretto con una “mistica comunicativa” richiamando il “Dio protettore” che lo ha “salvato” e dunque “elevandolo a prescelto”. Allora Trump diventa il “grande connettore” tra la pancia profonda dell’America e il destino ora con una aureola da “Santone” spostando la sua candidatura su un piano mistico-religioso e messianico.
Rinforzata dalla nomina di J.D.Vance quale ideologo della destra estrema americana e del quale gli europei dovrebbero preoccuparsi, avendo attaccato Starmer (neo Prime Minister UK) accusandolo di “portare il Regno Unito verso il primo stato islamista con bomba atomica”.
La Convention di Milwaukee vibra dunque in un salto di scala dalla nomina di un Sovrano verso la “Incoronazione di un Santo indicato dal Signore” che la comunicazione democratica farà fatica a contrastare se non tornando ai temi concreti, economici, sociali e geostrategici soprattutto con la critica all’ “isolazionismo radicale” da un lato e all'”anti-globalismo” dall’altro senza sbocchi rimanendo chiusi in una irrealistica autosufficienza. Denunciando l’uso di un linguaggio violento in una campagna di una America con uno stato di estrema allerta con minacce interne oltre che esterne (inquinamento social dai russi e “manovre iraniane” seppure subito smentite) come segnala l’FBI.
Dunque con una comunicazione infuocata da polarizzazione estrema, minacce emergenti (interne ed esterne) e totale assenza di quella “cultura liberale, del rispetto e della responsabilità” che avevamo conosciuto con l’Orizzonte Kennediano ora fratturato da comportamenti estremi e di criminalizzazione di ogni avversario politico come nemico e che ha visto normalizzare l’uso di linguaggi violenti nella comunicazione politica mescolata alle tesi degli “opposti complottismi”. Linguaggio che indica negli stessi giornalisti e testate giornalistiche non acclamanti i tanti “nemici da abbattere” così come l’“incapace femminista” a capo dei Servizi che non lo hanno protetto.
La democrazia americana dunque è dilaniata e scossa nelle sue carni profonde e la comunicazione ne segue le tragiche traiettorie tra populismi estremi e nazionalismo isolazionista nonostante gli ottimi risultati economici di Biden (se escludiamo alcune tensioni inflazionistiche). Ma certo la democrazia dovrà migliorare la propria funzione di equilibrio equitativo e di inclusione riaffermando il perimetro di diritti economici e sociali con la diffusione di una forte responsabilità civica, sociale e ambientale. Tutto offuscato da troll e fake news dove realtà, finzione e fideismo si mescolano inestricabilmente (in totale assenza di fact s checking) e a cui dovremo fare sempre più attenzione.
Una comunicazione incandescente soffiata su (e da) “tifoserie” di destra e di sinistra che si attaccano per distruggere un nemico senza rispetto e legittimazione dell’avversario dove le parole di moderazione sono schiacciate dalla forza di onde tempestose e le parole liberal – di rispetto e responsabilità – sono trascinate nella labirintica forza dell’inarrestabile che tutto travolge.
C’è da chiedersi se siamo alla crisi della leadership americana dell’ ultimo ‘900 (vista la lunga serie di attentati intervenuta negli ultimi 100 anni) oppure alla prima lunga crisi di visione del secolo in corso che dovrebbe viaggiare verso un nuovo multilateralismo ed evitando quei muri che già abbiamo sperimentato e che possono riportarci verso una nuova “guerra fredda” nonostante la speranza iniettata dal 1989 di Berlino. Riposizionando la stessa natura della (de)globalizzazione verso “arcipelaghi geostrategici” tra Atlantico, Pacifico e Mediterraneo (Europa e est UE; Mercosur USA e Sudamerica/ Nordamerica; Asia, Taiwan, Singapore, Sud-Corea ecc.) capaci di assorbire i movimenti tettonici ai quali stiamo assistendo, almeno in parte per evitare che possano diventare distruttivi con una democrazia più inclusiva e giusta, oltre che con un capitalismo più redistributivo e partecipativo e non richiuso nelle torri eburnee delle tecnoscienze e ora dell’AI salvaguardando concorrenza e trasparenza utili al continuo allargamento dei commerci mondiali.
Cominciando da una comunicazione consapevole che ha attraversato pre-modernità e modernità e ora ci porta dentro la post modernità con un cambiamento radicale di strumenti (crisi dei media tradizionali concentrati a favore di quelli social decentrati ?; analisi di profilazione con big data, deep learning e digital scoring con AI ?) e di stili per raggiungere elettori finora esclusi anche dalle crisi ricorrenti e confluenti degli ultimi 30 anni.
Dall’illusione di una globalizzazione post ’89 alla (de) globalizzazione successiva a Lehman Brothers e che ha “prosciugato” le classi medie allargando diseguaglianze e le tante povertà (economiche, educative, energetiche, ambientali, e dunque culturali e valoriali) pur riducendo la povertà assoluta, fino alla crisi energetica innescata dalla crisi Ucraina.
Lo stesso mix tra comunicazione verbale, non verbale e meta-verbale si saldano in un mix complesso dove, corpo, immagine e parola sono usate per “costruire una verità” tra le tante possibili. Che muta inesorabilmente la stessa natura del giornalismo e della cronaca fatta di immagini sincopate e transgeniche, non più connesse con la realtà e/o con una verità obiettiva riconosciuta come tale ma solo “probabile” nel fiume limaccioso di verità e fake news, di racconto realistico e distorsione sistematica dei fatti e dove bugie replicate in continuo trans-mutano in “quasi verità” o “verità probabili”. Una comunicazione che frantuma e frammenta le opinioni rendendole fluide e vaganti, dall’irrealtà all’iper-realtà alla post realtà.
Costruendone la “coda lunga” dove “tutto coesiste con il contrario di tutto” in un frammentario racconto interno a grumi di micro-cellule che non comunicano e non si parlano ma semplicemente si auto-confermano. Come la lezione Covid-19 ci ha insegnato tra eroismi e rifiuti, tra no vax , no tax, no climate change e no science. Cosi come la guerra in Ucraina dove la comunicazione divide ormai filo-russi da anti-russi, filo americani da anti-americanismo, filo Nato e anti Nato, europeisti da anti-europeisti… verso “fluide distopie” che annebbiano il quadro d’insieme. Oppure quella a Gaza tra filo israeliani e fino palestinesi, sulla lama di un rasoio di Occam trasversale che sta squarciando carni vive di intere popolazioni chiuse in lembi di terra senza scampo verso la riemersione di pericolosissimi fumi antisemiti riaccesi dall’orrore del 7 ottobre.
In un continuum melmoso di verità, non verità o post verità che è sempre più difficile distinguere e districare, che certo mina le basi antiche della democrazia come campo condiviso e di destino comuni in un campo sempre più “conteso” tra bande di vinti e di vincitori dove la base elettorale è sempre più distante e disinteressata in un silente astensionismo. Facendo vincere chi la sa risvegliare con i metodi più populisti a prescindere da programmi, visioni e diritti e come Trump (e Berlusconi prima di lui) seppure quest’ultimo limitandosi al campo dei moderati come ponte tra le destre, mentre il primo ha scelto di parlare alla pancia dell’estremismo più radicale e anti-sistema.
Traiettoria ben compresa dai tanti populismi e populisti emergenti (di destra e sinistra) in America (come in tutto l’Occidente e non solo) del tutto sganciati da obiettivi connessi con il bene comune e l’interesse pubblico, come peraltro in Europa e ora anche in Francia (con Melenchon ? e con il prima dei 5* in Italia?) e dai quali tuttavia provare a ripartire ricostruendo una nuova narrazione riformista, civica, di comunità e di territori concreti. Una strada che va dunque ricompresa di fronte a questa generale fragilità dell’Occidente con una comunicazione di realtà e di verità, inclusiva e dialogante attorno ad una visione d’insieme di lungo periodo che impone nuove leadership (giovani e donne in particolare).
Cosi negli USA in questi ultimi mesi di campagna elettorale si dovrebbe recuperare uno stato di comunicazione di verità e realtà, includendo e dialogando con un equilibrato mix di linguaggio preverbale, verbale e meta-verbale componendo al meglio per focalizzazione spot pubblicitari, comizi e dibattiti attraverso un uso intelligente del data-driven per la governance delle campagne (primi esempi ne vediamo all’opera nel 2012 con la campagna di Obama).
Sia Biden che Trump hanno via via dovuto adattare la loro comunicazione tenendo conto di questo complesso ecosistema comunicativo in continua evoluzione e in un esercizio di focalizzazione personalizzata scavando in profondità nelle viscere più estreme dell’umano e adattandovi la comunicazione e che i grandi media possono seguire solo in parte se non a loro volta ibridandosi e contaminandosi e – forse – anche perdendosi (X o Fox News?). Strumento perfettamente utilizzato da Trump al servizio di un populismo iper-nazionalista e isolazionista sincopato nel MAGA-Make America Grate Again nel vuoto di proposte e progetti per un mondo più giusto e unito nel valore delle diversità a difesa del proprio particulare incardinato in una libertà radicalmente individualistica, senza lacci lacciuoli.
Difficile se non impossibile per i democratici “inseguire” questa narrazione identitaria isolazionista e iperliberista appoggiata su “teorie etniche di sostituzione” sui temi delle migrazioni in chiave selettivo-difensiva di cui J.D. Vance (neo candidato Vice President uscito da Milwaukee) oggi accusa lo stesso Regno Unito di Starmer con una inversione ad U carpiata e raggruppata di storia, società, economia, ma anche di sensibilità diffuse, di umanità e visione condivisa.
Ecco perché serve una ricerca di nuove leadership acconce alla complessità emergente e alla socio-diversità nel quadro dei diritti umani e dei 17 DSGs delle UN e con uno sguardo lungo sul futuro per indicare una via d’uscita da questa tragica situazione di permacrisi che non potrà che essere multilaterale “oltre” il ‘900. Un nuovo largo perimetro con al centro un diverso ruolo di una Europa più larga, autorevole, concreta e autonoma a partire dal Green Deal , dalla difesa e da una politica estera capace di un piano industriale e di innovazione, anche per una regolazione accogliente di migrazioni e di gestione demografica (invecchiamento popolazione) nel quadro Mediterraneo come ponte tra Atlantico e Pacifico non rinunciando al supporto al popolo ucraino nella ricerca continua di una pace giusta oltre che condivisa quale barriera antivirale ad “infiammazioni abrasive irreversibili”.
Con una comunicazione trasparente e consapevole di leader non egotici e non autoreferenziali cioè capaci di dialogo, di ascolto e interazione, meno autosufficienti e costruttori di team e network aperti per apprendere ad apprendere da territori e comunità attive, competenze e conoscenze utili a promuovere un multiculturalismo sapiente e virtuoso nella tolleranza come bene comune di una Umanitas Nova.
Lo possiamo fare, lo dobbiamo fare con l’Europa nuova del cambiamento e della crescita per rinvigorire il suo modello sociale e della quale andiamo ad eleggere la squadra di governance per i prossimi 5 anni perchè continui ad essere soprattutto europeista con la Confederazione dell’oggi che evolve nella forte Federazione di domani e continuare ad essere la culla del nostro comune destino oltre tutti i nazionalismi, i populismi e i sovranismi divisivi. Di esempio e supporto anche per i leader che l’America andrà ad eleggere a novembre con le sole armi della politica facendo tacere quelle di una comunicazione violenta e irresponsabile.
Allora il contro-salto comunicativo necessario ai democratici americani per “compensare” la mistica trumpiana è un tuffo nella realtà e nel realismo con un volo nella storia per Biden aprendo la via ad una candidata 50enne al comando e magari con una vice altrettanto donna.
Una squadra che può competere alla pari con la mistica ideologica e pan religiosa dell’individualismo egoistico trumpiano. Insomma un dono di Biden alla sua America come leader post globale e un immenso atto di generosità verso il mondo con una immersione nella realtà verso una società aperta, libera e inclusiva da opporre a quella di cartapesta del trumpismo al servizio del futuro probabile e non solo possibile e con questo passare alla “storia dei giusti”.