L’automotive una zavorra per l’export italiano, secondo Urso un vero e proprio “handicap”
Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), relativi all’anno 2023, l’Italia occupa la sesta posizione per esportazioni a livello globale, con 670 miliardi di dollari. In realtà, però, potremmo addirittura raggiungere il quarto posto al mondo per export, se non fosse che il settore automotive sta vivendo una fase piuttosto critica, quasi in grado di zavorrare la nostra capacità industriale.
Oggi, in occasione del Comitato Leonardo “Innovare con l’Intelligenza Artificiale Generativa: gli impatti per il Made in Italy”, rilanciando il dato sull’export del Wto, confermato anche dall’Istat, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha sottolineato con decisione questo elemento negativo, dichiarando che “se non ci fosse l’handicap delle auto poco performanti, settore che ha più difficoltà rispetto ad altri, saremmo quarto esportatore, superando anche il Giappone, che ha qualche abitante più di noi”.
“L’Italia cresce più delle altre grandi potenze europee, in questa prima parte dell’anno più di Francia e Germania. Le esportazioni italiani sono cresciute del 48% negli ultimi anni e continuano a crescere, abbiamo superato la Corea del Sud come quinto esportatore mondiale”, ha proseguito Urso, secondo una nota diffusa da Radiocor.
Una riflessione forse giusta, anche se inappropriata nel linguaggio (si può etichettare con “handicap” l’intero settore automotive nazionale?). Inoltre, il ministro Urso sei mesi fa insediava un tavolo tecnico con tutti i principali attori del mercato nazionale, in particolare Stellantis, con cui si voleva raggiungere un milione di auto prodotte nel Paese.
Obiettivo ambizioso e non raggiunto, soprattutto perchè servivano e servirebbero molte più risorse per il comparto e la stessa Stellantis ha fatto una lista della spesa: “Investimenti in ricerca e innovazione, accompagnare la riconversione delle aziende di componentistica, agevolare la formazione alle nuove professioni necessarie, ad esempio, per l’auto elettrica“.
Il comparto automotive pesa per tra il 10 ed il 15% nelle esportazioni di potenze come la Germania, la Corea del Sud e il Giappone. A livello di export globale, comunque, l’automotive pesa per un 3% circa.
Stando alle considerazioni fatte in un articolo pubblicato su Il Foglio, “l’Italia è addirittura il quarto esportatore nel restante 97% del commercio internazionale, in virtù di una specializzazione merceologica estremamente diversificata e non legata a pochi macrosettori dominanti”. Da qui le considerazioni di Urso. A conti fatti, escludendo le auto, l’export italiano (657 miliardi di dollari) è ampiamente superiore anche a quello del Giappone (607 miliardi).
In Italia poche imprese di dimensioni adeguate all’export?
Quindi non siamo un’economia in declino, come spesso ci dipingono e ci consideriamo, ma certo non tutto è rosa e fiori. Se interroghiamo l’anagrafe delle imprese in Italia, nei primi quattro mesi del 2024 il bilancio tra aperture e chiusure di attività economiche si è attestato a -10.951 unità, un valore più elevato rispetto allo stesso trimestre degli ultimi tre anni ma ancora ben al di sotto della media dell’ultimo decennio (-14mila imprese), secondo l’ultimo Report diffuso da Movimprese, su dati del Registro delle Imprese.
Il saldo del trimestre riflette, da un lato, l’accelerazione delle cancellazioni (117.832 pari al 7,9% in più rispetto allo stesso periodo del 2023) e, dall’altro, una moderata crescita delle iscrizioni (106.881, il 5% in più dell’anno precedente). Nel complesso, entrambi i flussi di aperture e chiusure di imprese restano comunque ancora al di sotto della media del periodo pre-pandemia. Crescono le società di capitali di 12.112 unità nei primi tre mesi dell’anno (+0,65%).
Un quadro che, secondo il quotidiano, “distorce” il dato molto positivo dell’export: “La nostra forza risiede in un nucleo di circa 9 mila aziende esportatrici medie, medio-grandi e grandi con 50-1.999 addetti, che realizzano i tre quarti del nostro export manifatturiero, nonché in un ulteriore ristretto gruppo di una quarantina di imprese con oltre 2 mila occupati, che esportano un altro 12 per cento circa”.
Secondo il Wto siamo quindi forti o fortissimi in settori tradizionali come “Fashion”, “Food, wine and tobacco” e “Furniture and building materials”, ma ci stiamo posizionando molto bene in altri quali “Metal products”, “Machinery”, “Motor yachts and other transport equipment”, “Medicaments and personal care products”.
L’export italiano (in calo) di automobili e componentistica
Tornando all’automotive, ci sono i dati Anfia appena usciti su gennaio 2024, che ci consentono di delineare un quadro generale su cui ragionare, secondo cui “l’export in valore risulta in aumento rispetto a quello del primo mese del 2023, +5,2%, grazie al valore dei veicoli industriali, il quale, nel mese di gennaio incrementa del 93,0%”; al contrario, le autovetture esportate sono in calo del -15,4%.
“Il saldo è negativo per circa 1,6 miliardi di euro per le autovetture e positivo di circa 80 milioni per i veicoli industriali”, si legge nel Report.
L’export con destinazione Europa rappresenta, nel gennaio del 2024, il 66,5% del totale. Tra i paesi di destinazione extra europei, gli Stati Uniti rimangono il primo mercato (17,3%), seguiti da Giappone (2,9%) e Cina (1,3%).
Per quanto riguarda il comparto della componentistica, nel periodo analizzato, incrementa l’export del +3,0%, con un saldo positivo di circa 0,6 miliardi di euro (era di 0,4 milioni nello stesso periodo del 2023). L’Europa rappresenta l’81,7% del valore dell’export, con la Germania primo Paese di destinazione. Al di fuori del continente europeo, la prima macroarea di destinazione dell’export è il Nord America: 8,3% del totale.
C’è sicuramente da lavorare per incrementare la produzione nazionale di automobili e quindi il dato delle esportazioni, ma è anche vero che le sfide sono molte e gli obiettivi di decarbonizzazione pesano come un macigno, soprattutto se il Paese e le sue imprese non si sono ancora preparate ad una competizione globale sempre più forte.