Come volevasi dimostrare.
Dopo le critiche, sommesse ma insistenti, dei giuristi, ora su certe scelte del precedente Governo nella gestione della pandemia è intervenuta la magistratura.
A parere di qualcuno, già dalla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, disposta con delibera del Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020, senza la preventiva intesa con le Regioni, si è verificato un primo discostamento del Governo rispetto allo schema delineato dal Codice di Protezione Civile che con l’art 25, in ottemperanza al mutato quadro costituzionale scaturito dalla riforma del Titolo V, prevede sempre il coinvolgimento delle Regioni prima di dichiarare lo stato di emergenza nazionale.
Ma è soprattutto sugli strumenti usati dal Governo per gestire l’emergenza che sono state sollevate delle riserve, ed in particolare sul singolare ed inedito utilizzo dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri per comprimere o del tutto precludere l’esercizio di una sfilza di diritti costituzionalmente garantiti, che vanno dalla libertà personale (art. 13 Cost) alla libertà di riunione (art. 17 Cost.); dalla libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) al diritto al lavoro (artt. 4 e 35 ss. Cost.) dal diritto all’istruzione e alla cultura (art. 34 Cost.) alla libertà di culto(art. 19 Cost.).
In questo anno abbiamo assistito, infatti, all’ adozione, in rapida successione, e con un crescendo di intensità, collegato all’aggravarsi del contagio da Covid 19, di provvedimenti che hanno chiuso scuole, università, uffici, attività produttive e commerciali, musei e chiese, incidendo sulla vita di tutti noi come mai prima era avvenuto, neanche durante la guerra.
Ma ciò è accaduto per affrontare una situazione di emergenza, si è detto.
DPCM e Decreto-Legge: le differenze
È stato eccepito, tuttavia, che lo strumento che il nostro l’ordinamento costituzionale prevede per fronteggiare un evento imprevisto (ad esempio i terremoti o altre calamità naturali) e salvaguardare diritti, beni e interessi costituzionalmente garantiti messi in serio pericolo dall’evento, non fronteggiabile con gli strumenti ordinari, è il Decreto-Legge.
Il Decreto-Legge, disciplinato dall’art 77 della Costituzione, è un provvedimenti provvisorio con forza di legge, adottato dell’esecutivo in caso di necessità ed urgenza, e presidiato da garanzie costituzionali, perché deve essere convertito, a pena di decadenza, in legge entro 60 giorni dal Parlamento, che può apporre emendamenti modificativi o aggiuntivi, anche con il coinvolgimento dell’opposizione, che, altrimenti, non potrebbe partecipare alla formazione di decisioni della massima importanza per il Paese. Inoltre è sottoposto al controllo della Corte Costituzionale.
Per affrontare l’emergenza pandemica da Covid 19, invece, il Governo ha adottato il D.L. 23 febbraio 2020, n. 6, che all’art.1 contiene un elenco, del tutto esemplificativo, delle misure restrittive da adottare eventualmente per limitare il contagio al verificarsi di determinate condizioni, ma ha stabilito, all’art.3, che in concreto quelle misure, o altre maggiormente restrittive, sarebbero state disposte con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il Decreto-Legge quindi ha assunto una funzione diversa: non è stato utilizzato tanto per affrontare direttamente la situazione di emergenza, quanto per fornire la base legale per l’esercizio del potere di decretazione del Presidente del Consiglio dei Ministri ad intervenire, per limitare la diffusione della pandemia, su materie però che nella Costituzione sono coperte da riserva di legge.
In molti si sono chiesti se tale impostazione fosse legittima sotto il profilo costituzionale.
Il giudice di Reggio Emilia
Ora è intervenuto nel merito un pronunciamento giurisdizionale: quello di un giudice a Reggio Emilia, chiamato a giudicare sul comportamento di una coppia che, sorpresa fuori casa dai Carabinieri in violazione del DPCM dell’8 marzo 2020 che prevedeva il lockdown, aveva fornito ai militari un’autocertificazione non veritiera.
Rinviati a giudizio per falso, i due coniugi sono stati assolti dal giudice che ha definito un “falso inutile” quello da loro commesso per giustificare il loro allontanamento dal domicilio in quanto tale fatto non costituisce reato, per l’illegittimità del DPCM che lo ha disposto in violazione dell’art.13 della Costituzione, che stabilisce che la libertà personale è inviolabile.
Secondo quanto ha motivato il giudice, il DPCM “stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio” e non in altri casi.
Le restrizioni previste nel DPCM non possono neanche qualificarsi come legittime limitazioni alla libertà di circolazione secondo l’articolo 16 della Costituzione e non della libertà personale, perché “come ha chiarito la Corte Costituzionale, la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare”. Quando invece “il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone, allora la limitazione si configura come una vera e propria limitazione della libertà personale”.
Ma il Giudice reggino non si è limitato ad affermare che “un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge”, ma che ciò non avrebbe potuto avvenire neanche con un Decreto Legge in quanto “neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini, posto che l’articolo 13 della Costituzione postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto”.
C’è da aggiungere a margine, però, che ove le misure limitative di diritti costituzionali della generalità dei cittadini fossero state disposte da un Decreto-Legge, il giudice avrebbe dovuto limitarsi a sospendere il giudizio ed adire la Corte Costituzionale mentre trattandosi di un Decreto del Presidente del Consiglio, quindi di un atto amministrativo, il giudice ordinario non deve rimettere la questione dì legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale, ma procede, direttamente, alla disapplicazione dell’atto illegittimo.
E così è avvenuto.
Fortunatamente l’attuale Governo in questo ambito ha deciso di adottare un diverso orientamento, annunciando l’adozione di misure limitative del contagio ma all’interno di un Decreto-Legge, scelta più rispettosa del dettato costituzionale e che certamente consente decisioni altrettanto rapide quanto il Decreto del Presidente del Consiglio, ma sotto il controllo parlamentare.