Cosa è una sandbox? Perchè deve essere europea?
Lo scorso 19 giugno, Ursula von der Leyen (presidente della Commissione Europea) ha dichiarato che le tecnologie digitali e l’ambiente sono i punti di forza del nuovo programma di finanziamenti europei Next Generation EU.
Ma cosa fare quando le norme esistenti ostacolano questi obiettivi di innovazione e lo sviluppo tecnologico? E cosa succede quando un’azienda ha la forza sufficiente per sottrarsi alle normative esistenti, mostrando che esse sono di ostacolo agli stessi obiettivi comunitari?
Quando si lascia una regolamentazione obsoleta a presidiare un settore chiave come il turismo può accadere di tutto. L’espansione europea di Uber e di Airbnb ha causato le “rivolte” dei tassisti ed una lettera accorata delle associazioni nazionali degli albergatori. Un modo per risolvere tutti questi problemi è di creare una sandbox.
Un safe-harbor definisce un limitato periodo di tempo durante il quale i progetti di innovazione possono offrire servizi ai consumatori al di fuori della regolamentazione esistente. Con maggiori limitazioni, una sandbox consente ai progetti di offrire servizi solo a determinate categorie di clienti. Nel linguaggio Fintech i due termini sono ormai diventati sinonimi.
Proposto un safe-harbor triennale
Lo scorso febbraio, Hester M. Peirce, della U.S. Securities and Exchange Commission (SEC) aveva proposto un safe-harbor di durata triennale, in modo da permettere ai progetti di consolidarsi tecnicamente prima di doversi preoccupare degli aspetti legali.
In Italia il D.L. n. 34/2019, convertito nella L. 28 giugno 2019 n. 58, ha previsto l’istituzione di una sandbox per il settore Fintech, sotto la guida del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Iniziative analoghe sono state varate da altre nazioni dell’Unione, come Danimarca, Polonia, Lituania, Regno Unito ed Olanda. Il governo tedesco ha deciso di non concedere una sandbox, ma sta realizzando dei Reallabore (laboratori pratici) con obiettivi analoghi.
Questa frammentazione normativa confonde i consumatori ed ostacola lo sviluppo di soluzioni a livello europeo. La definizione di una sandbox a livello europeo consentirebbe di sperimentare nuove soluzioni su vasta scala, oltre a permettere l’integrazione di nuove energie nel settore finanziario.
Le grandi società tecnologiche entreranno nel settore finanziario?
L’innovazione tecnologica sta spingendo il settore Fintech verso uno sviluppo incontrollato.
In una economia di mercato, la concorrenza avrebbe il compito di garantire la crescita ordinata del settore, mentre le autorità di controllo del mercato dovrebbero impedire la formazione di posizioni dominanti.
In realtà, l’incertezza normativa ha favorito le grandi società tecnologiche. Si tratta di organizzazioni in grado di mantenere un ufficio legale di dimensioni ragguardevoli, che non hanno difficoltà a sviluppare strategie elusive, e che possono sostenere lunghe vertenze con le autorità di controllo del mercato. Tutte queste tattiche non sono alla portata dei player di minori dimensioni. Anche le distorsioni in materia di tassazione delle imprese ostacolano lo sviluppo di un Fintech europeo. Ancora una volta, solo chi è presente in molte nazioni europee ha la possibilità di indirizzare i propri flussi finanziari verso la giurisdizione che offre la tassazione più favorevole.
Il problema della sovranità digitale
Esiste il pericolo che l’Unione Europea perda la sua sovranità digitale nel settore fintech?
Occorre chiarire la situazione con un esempio: molti osservatori concordano nell’indicare nei servizi internazionali di pagamento al dettaglio il maggior punto debole dell’economia UE. Le banche commerciali hanno accettato da tempo un ruolo subordinato: la maggior parte si contenta di distribuire i prodotti esistenti. I protagonisti del settore hanno un posto di rilievo anche nelle iniziative internazionali: Mastercard fa parte del consorzio P27 per un sistema di pagamento nell’Europa Settentrionale.
Un anno fa, Benoît Cœuré (ora con la Banca dei regolamenti Internazionali, a capo della nuova struttura Innovation Hub) ha espresso il suo rammarico per lo stato dell’offerta europea delle carte di pagamento. Ben dieci nazioni hanno una loro carta di pagamento, ma non accettano quelle delle nazioni confinanti, pur condividendo la stessa valuta europea.
Probabilmente, il concetto di sovranità digitale non è il modo migliore di descrivere questa situazione. Dovremmo ricordare che la maggior parte di questa tecnologia viene sviluppata al di fuori dell’Europa, e che abbiamo tutto l’interesse a condividere questi risultati. D’altra parte, i protagonisti del mercato mondiale dovrebbero accettare che non si possono imporre soluzioni prefabbricate sulla struttura sociale europea.
Il Fintech, il brutto, il cattivo
Lo scorso anno, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) ha fatto chiudere 117 siti web che effettuavano raccolta di risparmio senza alcuna autorizzazione. Ovviamente, quasi nessuno dei protagonisti del web opera come intermediario finanziario, però alcuni di essi potrebbero fornire servizi ai margini del settore finanziario, quali pubblicità ingannevole o raccogliere informazioni sul credito in maniera non regolamentata. I mercati hanno bisogno dei dati, ed i dati sono una merce pericolosa che si può conservare e riutilizzare in mille modi diversi.
I costi sociali della rivoluzione fintech
Gli analisti concordano sul fatto che (almeno in alcuni segmenti di mercato) le banche europee godano ancora di un buon margine operativo. Questo, però, non ci giustifica quando vediamo solo le conseguenze positive della disintermediazione bancaria, intesa come lo spostamento dei servizi dalle banche commerciali alle nuove entità fintech.
Nel settore dei finanziamenti alle PMI, le banche UE iniziano a lamentare la concorrenza delle nuove aziende fintech. Nel breve termine, le piccole e medie imprese e le famiglie potrebbero trarre vantaggio da questo allargamento dell’offerta. L’intero settore potrebbe trarre vantaggio da una maggiore ripartizione del rischio ed una maggiore disponibilità di capitali.
Però un’analisi completa dovrebbe estendersi anche agli aspetti non monetari del problema.
Il sistema bancario europeo si è da sempre accollato alcuni servizi per la collettività: la movimentazione fisica di monete e banconote, il servizio di cassa e tesoreria per gli enti pubblici, il mantenimento di sportelli bancari in località disagiate. I colossi tecnologici non hanno alcuna intenzione di fornire servizi di questo tipo. Con l’inasprimento della concorrenza, le stesse banche saranno tentate di interrompere questi servizi, danneggiando in questo modo le fasce più deboli della collettività. In definitiva, l’arrivo delle aziende tecnologiche sul mercato finanziario potrebbe aumentare le discriminazioni sociali.
Le iniziative fintech a livello regionale hanno bisogno di flessibilità
I regolamenti dell’Unione applicano il principio generale per cui “attività associate a rischi analoghi vanno regolamentate nello stesso modo”. Però sarebbe richiesta maggiore flessibilità nell’applicazione di questo principio, quanto meno nel caso di iniziative in ambito regionale e con un chiaro scopo sociale. Due esempi di tali attività:
Riduzione del rischio idrogeologico: di solito i rimborsi per danni da calamità naturali e l’implementazione di opere di riassetto idrogeologico sono coperti da stanziamenti differenti. Le due attività (che sono per natura in alternativa tra loro) potrebbero essere coperte da un’operazione di project-financing, a capitale decrescente.
Recupero delle aree industriali: a causa della recessione, intere aree di territorio sono coperte da fabbricati soggetti a procedura fallimentare o a pignoramento da parte delle banche. Per evitare il degrado del territorio, i cespiti potrebbero essere acquisiti a basso prezzo da una società veicolo che si impegna a presidiarli e che in tempi migliori potrà cercare di rivenderli a terzi.
Da un punto di vista esclusivamente finanziario, entrambe le attività sono in perdita prima ancora di partire. Ammettendo che questo passivo venga ripianato con fondi statali (regione, comunità montana o comune) appare difficile negare loro una qualche forma di tutela regolamentare.
Strategie legislative per un framework fintech
Una volta definiti i vari segmenti di mercato, un framework per il settore fintech potrebbe basarsi su alcune strategie di intervento:
Sandbox: consentire la sperimentazione di prodotti innovativi nell’economia reale, introducendo gradualmente la loro disciplina giuridica e la loro regolamentazione.
Legislazione per obiettivi: assegnare obiettivi ragionevoli e misurabili ai servizi offerti, senza prescrivere le esatte modalità tecniche per raggiungerli. In questo modo gli operatori del mercato hanno maggiore libertà nella scelta delle tecnologie.
Clausole a termine: stabilire in anticipo l’entrata in vigore o la decadenza di una normativa entro un termine assegnato, in modo da facilitare agli operatori del settore la pianificazione degli investimenti.
Valutazione di alternative: gli operatori che richiedono le concessioni devono giustificare le loro proposte presentando una valutazione tra un certo numero di possibili alternative.
Approccio “top-runner”: per stimolare l’innovazione tecnologica, occorre orientare gli standard di servizio verso quelli offerti dai migliori operatori presenti sul mercato.
La situazione italiana
Sono passati quasi due anni da quando (il 28 settembre 2018) il Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE) pubblicò un invito per la costituzione di un gruppo di esperti sulla tecnologia blockchain. Il lavoro pionieristico di tale gruppo ha contribuito a stabilire i concetti fondamentali nel D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, successivamente convertito nella L. 11 febbraio 2019, n. 12.
Il 29 maggio scorso, Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, ha annunciato la costituzione di una struttura specifica all’interno della Banca “allo scopo di promuovere e coordinare lo sviluppo del settore Fintech in Italia”. Tale struttura si affiancherà all’Innovation Hub in modo da segnare un passo fondamentale nel processo di apertura della Banca all’innovazione ed al mercato.
Il 16 giugno scorso, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) ha reso pubblica la sua “lettera al mercato” concludendo che “sarebbe utile, anzi doveroso, costituire una Consulta pubblica, composta da studiosi e operatori dotati di conoscenze teoriche e professionali elevate, a cui affidare il compito di definire entro l’anno un documento operativo per dare vita a una nuova architettura istituzionale meglio capace di proteggere il risparmio e incanalarlo verso l’attività produttiva … Con l’occasione si dovrebbe incorporare nella proposta l’obiettivo di raggiungere la frontiera più avanzata della tecnologia, tenendo conto degli equilibri geopolitici che si vanno formando”.
Infine, il 18 giugno scorso, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) ha annunciato la disponibilità delle banche italiane a partecipare alle sperimentazioni di Central Bank Digital Currency (CBDC) in corso presso la Banca Centrale Europea (BCE). A questo proposito, l’associazione ha sottolineato il successo del Progetto Spunta, una iniziativa blockchain per l’automazione delle riconciliazioni interbancarie.