Siamo nani sulle spalle dei giganti, il noto aforismo di Bernardo da Chartres, il grande bibliofilo del XIII secolo che controllando tutti i manoscritti che circolavano in Europa attraverso la sua copisteria, era ben sicuro che sulle sue spalle non sarebbe salito nessuno e avrebbe potuto continuare a dominare il mercato delle idee in tutto il vecchio Sacro Romano Impero.
Oggi, invece, i nani cominciano a correre ben più velocemente dei giganti che arrancano. Se ne è accorto perfino Google, il gigante digitale che controlla il 70 % dei sistemi di ricerca automatico nel pianeta oltre che il 40 % delle pubblicità personalizzate.
L’IA preoccupa Google
In un resoconto dell’agenzia Bloomberg si rivela che da qualche giorno lo stato maggiore di Mountain View, la sede del gruppo Alphabet, proprietario del motore di ricerca più grande del mondo, è molto preoccupato sul fronte dell’intelligenza artificiale. La causa delle angustie non è la popolarità di ChatGPT, che sta oscurando e trasformando la stessa idea di ricerche online, quanto un fenomeno che rischia di sgretolare il potere delle grandi piattaforme digitali. Così lo spiega Luke Sernau, un ingegnere del vertice di Google nel resoconto di una riunione interna intercettata proprio da Bloomberg “scritto. “Ma la scomoda verità è che non siamo nella posizione per vincere questa corsa agli armamenti e nemmeno OpenAI. Mentre litigavamo, una terza fazione ha tranquillamente consumato il nostro pranzo. Sto parlando, ovviamente, delll’open source”.
Secondo gli osservatori più accreditati, proprio la struttura e la logica dei sistemi di intelligenza artificiale basati sul cosiddetto Pre-Trained, addestramento preventivo, rende difficile e costoso per un apparato proprietario gestire internamente tutte le fasi della progettazione, formattazione, formazione e collaudo di un tale sistema. Mentre la potenza di una rete con milioni di tecnici e di partner che concorrono a parlare e dialogare con il dispositivo intelligente permetterebbe con grande agilità organizzativa e convenienza economica la messa in funzione di sistemi affidabili.
Open source e pluralità di applicazioni specializzate
La considerazione ovviamente non vale solo per Google ma riguarda la stessa OpenAI, proprietaria di ChatGPT, e il gruppo Facebook che sta elaborando un proprio sistema.
La preoccupata constatazione dell’ingegner Sernau non riguarda solo la capacità dell’open source di addestrare più convenientemente i sistemi di intelligenza artificiale, ma anche la struttura e la natura di questi modelli. Infatti, proprio un accesso generalizzato e differenziato , da parte di molti operatori, dei quali ognuno è in grado di dare un certo imprinting al complesso tecnologico intelligente porta ad una segmentazione dei meccanismi. Avremo, spiega il tecnico di Google intercettato da Bloomberg, sempre più una pluralità di applicazioni, ognuna specializzata su un tema, un problema, una comunità o una categoria, rompendo quella forma generalista e monopolista che veniva intravvista con i primi nuovi sistemi sperimentali. E per questo, aggiunge Sernau “La nostra migliore speranza è imparare e collaborare con ciò che gli altri stanno facendo al di fuori di Google”.
Gli sviluppatori di tecnologia open source non sono proprietari e rilasciano il proprio lavoro affinché chiunque possa utilizzarlo, migliorarlo o adattarlo come meglio crede. Esempi storici di lavoro open source includono il sistema operativo Linux e LibreOffice, un’alternativa a Microsoft Office.
Tecnologia di libertà
L’ingegnere citato ha affermato che gli sviluppatori di intelligenza artificiale open source ci stavano “già lambendo”, citando esempi che includono strumenti basati su un modello di linguaggio di grandi dimensioni sviluppato da Meta di Mark Zuckerberg, che è stato reso disponibile dalla società su un “non commerciale” e caso per caso base a febbraio ma è trapelato online poco dopo.
L’elemento che ha reso possibile questa socializzazione dell’innovazione, per molti esperti, sta nella decisione di Facebook di rendere accessibile il proprio sistema linguistico LLaMA che interfaccia il linguaggio naturale gestendo le infinite formule semantiche. Da quel momento tutto cambia e si innesta la magia della miniaturizzazione che rende l’informatica, come diceva Adriano Olivetti, una tecnologia di libertà. Infatti, si spiega proprio con il decentramento dell’accesso a LLaMA si produce un fenomeno per cui “la barriera all’ingresso per lavorare sui modelli di intelligenza artificiale è scesa dalla produzione totale di un’importante organizzazione di ricerca a una persona, una serata e un robusto laptop“.
Un cambio di scena radicale che in poche settimane trasforma completamente lo scenario che sembrava irrimediabilmente destinato ad un duopolio gestito da pochissimi proprietari. A questo punto vanno riviste le considerazione sulle famose cautele che gli stessi vertici dei gruppi che sviluppano intelligenza artificiale, da Elon Musk al CEO di Google Sundar Pichai, hanno fatto circolare. A chi parlavano i proprietari delle grande piattaforme private quando chiedevano di rallentare la ricerca e di regolamentare il sistema tecnologico? Forse chiedevano alle istituzioni di frenare questa straordinaria corsa che sta portando, ancora una volta, la rete a rompere compatibilità e gerarchia, rendendo più articolato il mercato e più trasparenti i prodotti?
La partita dell’Europa
Su questo snodo l’Europa potrebbe giocare realmente la sua partita. Invece di inseguire meccanicamente una impossibile competizione con i giganti americani e cinesi, il Vecchio Continente potrebbe diventare il vero partner dell’open source globale, dando spazio e codificando modelli ed esperienze, a partire dai propri apparati sanitari e universitari, per far crescere queste esperienze e fornire massa critica alle sperimentazioni più interessanti.
Si torna così alle origini del digitale, quando nei primi anni ’60 si giocò la partita del free soft che venne sonoramente persa proprio per la totale assenza dell’Europa che non riuscì a cogliere quell’opportunità che veniva dalle lotte delle comunità californiane. Ora il tram ripassa dal nostro capolinea: l’intelligenza artificiale come fenomeno sociale ci propone una straordinaria idea di aggregazione e di contaminazione del mercato. Chi risponde?