Di fronte alla resistenza degli operatori privati, il Governo punta al modello diretto per realizzare la rete a 30 mega nelle aree a cosiddetto fallimento di mercato del Cluster D (e a 100 mega in parte del Cluster C), dove non è garantito un ritorno economico adeguato.
Sul piatto, ha spiegato il sottosegretario Claudio De Vincenti, un investimento da 4 miliardi di euro per un piano che – secondo le indicazioni del Comitato Banda Ultralarga (Cobul) – accelererebbe la posa della fibra bypassando eventuali paletti della Ue, trattandosi non di aiuto di Stato ma di un investimento per una rete che resterebbe pubblica a tutti gli effetti senza escludere in seconda istanza le partnership con soggetti privati.
A Infratel, la società in-house del Mise e incaricata di attuare i Piani Banda Larga e Ultra Larga del Governo, il compito di bandire una gara per affidare l’onere della realizzazione (non ancora della gestione) della rete, che sarebbe poi affittata agli operatori con tariffe fissate dall’Agcom.
Enel che sembra essere il candidato privilegiato, visto il piano della società per portare la fibra ottica nelle case tramite l’aggiornamento dei contatori elettrici, ma potrebbero entrare in corsa anche altre società (come ad esempio Sirti o Sielte) , per una rete che comunque resterà pubblica, a differenza di quanto avverrebbe con un modello a incentivo.
L’intervento diretto sarebbe limitato a una parte del Cluster C (per le quali si stima che gli operatori possano maturare l’interesse a investire in reti con più di 100 Mbps soltanto grazie a un sostegno statale) e al Cluster D (aree tipicamente a fallimento di mercato per le quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbps).
Per quest’ultimo, in particolare, che include 4.300 comuni dove risiedono circa 9,4 milioni di persone (il 15% della popolazione) il piano elaborato dal Governo prevedeva una forma di incentivo pubblico concesso in misura maggiore a fondo perduto, “considerando le infrastrutture a banda ultralarga strategiche ai fini delle politiche di coesione per lo sviluppo dei territori particolarmente disagiati, con un PIL pro capite inferiore al 75% della media UE-27 (17 mila euro)”.
Incentivi – quali ad esempio le partnership pubblico-privato o la defiscalizzazione – che però non hanno ancora ricevuto il via libera dalla Ue e per i quali mancano comunque ancora i necessari bandi di gara. Per accelerare, e anche per evitare l’erogazione di risorse a fondo perduto agli operatori (che potrebbero essere bloccati dalla Ue perchè considerati aiuti di Stato), il Governo ha deciso di giocare la carta del modello diretto che è stato scelto proprio perché è il più immediato, anche se economicamente meno vantaggioso, visto che esclude completamente il privato ed è comunque limitato ad aree scarsamente remunerative.
Quanto alla parte privata, gli operatori si sono impegnati a investire nelle aree più remunerative (Cluster A, B e parte del C), con Telecom che lo scorso 7 dicembre ha annunciato l’estensione del suo Piano di Copertura in Fibra ad altri 1146 comuni, quasi tutti nei Cluster C e D, con orizzonte temporale al primo trimestre 2018.
Quello pubblico, quindi, è un progetto pro-futuro, che potrebbe avere un senso se anche tutto il resto del Paese potesse contare già su un’infrastruttura ubiqua: scenario ben lontano dalla realtà visto che in Italia, la copertura delle cosiddette reti next-generation-access (NGA) è ancora ferma al 36%, contro il 43% della Francia e l’81% della Germania.
Nei principali paesi Ue, tra l’altro, i Governi hanno puntato su modelli di incentivo diversi, più incentrati sul versante consumer, prevedendo ad esempio dei voucher che incentivano gli utenti ad acquistare abbonamenti a 100 mega, innescando dunque un circolo virtuoso che spinge gli operatori a investire.
Complessivamente, la Strategia per la banda ultralarga messa a punto dal Governo, ha stimato in 12,4 miliardi la cifra per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea, pari al 100% della popolazione collegato a 30 Mbps e il 50% a 100 Mbps entro il 2020. Il contributo privato è stato stimato in 5 miliardi.
Secondo una recente consultazione condotta da Infratel, sulle quasi 95 mila aree in cui è stato suddiviso il paese, gli operatori ne hanno snobbato 83 mila: senza investimenti pubblici, dunque, circa un terzo delle unità abitative (il 36,3%) collocate nelle aree più marginali del paese risulterebbe sfornito di banda ultralarga da qui al 2018.
Resta poi da capire se il Governo manterrà questo modello d’intervento o cambierà in corsa appena la Ue darà il suo via libera ad altri modelli e se le Regioni sceglieranno di affidarsi a un soggetto che agisce su scala nazionale o alle loro società in-house.