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Ultrabroadband: obiettivi irraggiungibili senza investimenti privati

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Molto animato il confronto sul Piano per la banda ultra larga approvato dal Governo martedì scorso.

Le misure previste dal governo saranno sufficienti per realizzare gli obiettivi fissati dall’Agenda digitale europea?

Con quale intensità le imprese private collaboreranno?

Si ragiona su neutralità tecnologica, divisione in cluster, copertura uniforme per tutti le aree urbane, cercando di leggere tra le righe del documento licenziato dal CDM per capire se, in quale misura e con quali incentivi, consentirà di portare l’internet super veloce in tutte le parti d’Italia.

Gli obiettivi del Governo sono molto ambiziosi: arrivare all’85% della popolazione coperta con 100 mbps entro il 2020, oltre quindi il target del 50% della popolazione fissato dall’Agenda digitale europea.

Per far questo lo Stato stanzia 6 miliardi di euro di fondi.

Il resto lo chiede alle aziende private. Senza di loro sarà difficile portare a compimento questo Piano.

L’esecutivo del Premier Renzi non pensa di chiedere un grosso sacrificio ai privati che dovranno mettere a disposizione un contributo massimo del 50% rispetto a quello dello Stato.

Per portare la banda ultralarga in tutta Italia il Governo parla di neutralità tecnologica ma, in linea con quanto prevede la Commissione europea secondo la quale per i servizi ultrabroadband al momento non esistono reti alternative, sceglie di puntare sulla fibra ottica. Alle altre tecnologie, come il satellite, si fa riferimento per i servizi di base.

Il territorio italiano viene diviso in quattro cluster – A, B, C, D – per definire gli interventi e, come spiega il Governo, “massimizzare l’efficacia dell’intervento pubblico rispetto alle risorse economiche disponibili”.

Cluster A – migliore rapporto costi-benefici, dove è più probabile l’interesse degli operatori privati a investire.

Cluster B – aree in cui gli operatori hanno realizzato o realizzeranno reti con collegamenti ad almeno 30 Mbps, ma le condizioni di mercato non sono sufficienti a garantire ritorni accettabili a condizioni di solo mercato per investire in reti a 100 Mbps.

Cluster C – aree marginali attualmente a fallimento di mercato, incluse aree rurali, per le quali si stima che gli operatori possano maturare l’interesse a investire in reti con più di 100 Mbps soltanto grazie a un sostegno statale.

Cluster D – aree tipicamente a fallimento di mercato per le quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a più di 30 Mbps.

Il Governo spiega che l’infrastruttura che si vuole realizzare è ad almeno 100 Mbps nei cluster A e B (probabilmente in parte) e ad almeno 30 Mbps nel cluster C e D in neutralità tecnologica (fisso, mobile, accesso fisso-wireless, satellite) per la totalità di popolazione di ciascuna sotto-area.

Può però succedere che in alcune grosse città – che rientrano nel cluster A – ci siano interi quartieri dove la banda ultralarga non arriva – Cluster C -, come risolvere questo nodo?

Per questi casi si parla di salto di qualità della banda. Per meglio dire, la banda larga c’è già in questi quartieri, il problema è che non c’è l’internet super veloce.

L’obiettivo del Governo è di portare le connessioni da 100 Mbps all’85% della popolazione, ovviamente con il contributo dei finanziamenti privati, resta quindi escluso il 15% delle persone che possono trovarsi nelle frazioni di grandi Comuni.

Questi avranno una connessione da 30 Mbps.

Per questa gente il Governo si affida all’azione dei privati. Lo Stato non può andare oltre gli stanziamenti previsti, il resto delle risorse dovrà arrivare dalle aziende.

L’85% resta quindi per il Governo l’orizzonte massimo. L’auspicio è di coprire gran parte del territorio ma è ovvio che gran parte dei risultati dipenderanno dalle imprese private.

Quelli contenuti nel piano sono obiettivi di massima, per parlare di progetti bisognerà aspettare le mosse degli operatori.

Cosa faranno? In quale misura contribuiranno?

Intanto il Governo ha previsto nel piano una suddivisione in 94.000 aree. Si tratta di accorpamenti di zone censuarie Istat, per capire quanti quartieri sono coperti.

L’esecutivo ha operato questa divisione per avere un quadro completo della copertura per quartieri. Sono connessi? Tutti, in parte?

Per avere una risposta precisa serve, infatti, una micro segmentazione della copertura degli operatori, in modo da correggere eventualmente gli interventi pubblici.

Sulle aree non coperte, si interviene con le misure indicate nel Piano BUL, ovvero con modelli a contributo, agevolazione fiscale, aggregazione della domanda…

Questo Piano consentirà di raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale europea?

Il Governo ne è convinto ma i Piani si valutano alla fine, nell’implementazione pratica, quando saranno completati.

Molto dipenderà dagli operatori privati, se contribuiranno al finanziamento. Non è, infatti scontato che lo facciano con l’intensità domandata dal Governo Renzi.

Per misurare i risultati di questo Piano bisognerà aspettare, fare dei ‘tagliandi’ annuali per vedere se si procede bene o c’è da correggere qualcosa.

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