L'accusa

Uber sotto accusa a Londra per aver evaso 20 milioni di sterline. Accordo Governo-taxi in Italia

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L’economia dei lavoretti online sotto la lente del fisco britannico. Un avvocato londinese chiama in causa l’azienda californiana per evasione. In Italia il Governo raggiunge un accordo provvisorio con i tassisti in rivolta.

Giornata ad altissima tensione quella di ieri, con Uber protagonista in Italia per le proteste dei tassisti in piazza nel centro di Roma, contro il Milleproroghe e l’emendamento Lanzillotta, che a detta dei lavoratori del settore favoriva i tradizionali Ncc (noleggio auto con conducente), gli abusivi e la nuova categoria dei lavoratori autonomi di internet.

L’azienda californiana, fornitrice di un servizio di trasporto privato con conducente tramite un’applicazione mobile che mette in contatto passeggeri e autisti, proprio ieri è stata chiamata in causa anche a Londra da un avvocato fiscalista, Jolyon Maugham, con l’accusa di aver evaso 20 milioni di sterline di tasse nel 2015. L’azienda americana ha replicato subito che non si tratta affatto di evasione o elusione, perchè il modello di business è molto semplice e trasparente: “I nostri autisti sono dei lavoratori autonomi, sono loro che devono preoccuparsi di pagare l’Iva”.

La difesa è stata affidata direttamente a Jo Bertram, general manager di Uber in Gran Bretagna: “Chi utilizza il nostro servizio deve pagare le tasse come qualsiasi altro freelance del settore, ma noi siamo solo una piattaforma digitale che fa incontrare domanda e offerta, non forniamo un servizio di trasporto pubblico locale”.

Si tratta di 40 mila autisti self-employed come li definisce Uber, che lavorano in tutto il Regno Unito. Si tratta della nuova manovalanza dell’internet economy e della gig economy. Un esercito crescente di lavoratori senza diritti, che proprio a fine ottobre dell’anno scorso ha trovato posto sulle prime pagine dei giornali britannici grazie alla sentenza del Central London Employment Tribunal, che di fatto ha riconosciuto Uber come un datore di lavoro vero e proprio.

E questo ribalta completamente la posizione espressa da Bertram, perché significa che Uber impiega forza lavoro come qualsiasi altra impresa e che quindi deve riconoscere ai suoi 40 mila dipendenti dei diritti basilari (salario minimo, ferie pagate, malattia), pagando le tasse a fine anno.

Il tribunale londinese sentenziava chiaramente che trovata “ridicolo” immaginare Uber come una semplice piattaforma che connette in tempo reale 40 mila piccole imprese, evidenziando inoltre l’utilizzo di un linguaggio inappropriato nei contratti che dava l’impressione di “un’amministrazione creativa”.

Una questione di non poco conto che, unita alla denuncia dell’avvocato londinese relative all’accusa di evasione fiscale sul suolo britannico, apre di nuovo una riflessione urgente sull’impatto negativo che queste aziende hanno sul welfare stesso di un Paese, visto che si parla di diritti dei lavoratori, tasse, servizi, salari, pensioni.

In Italia la protesta dei tassisti per il momento è stata sospesa e con essa anche lo sciopero. Dopo una lunga trattativa tra il Ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, e le 21 sigle sindacali del settore taxi, hanno trovato un’intesa di massima con due possibili decreti: uno per il riordino del settore e l’altro per un giro di vite più forte a danno dell’abusivismo. Il tavolo di confronto aperto ieri si chiderà entro un mese con i testi finali per un accordo definitivo tra Governo e rappresentanti dei tassisti.

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