La super inchiesta che inchioda i lobbisti di Uber e i politici compiacenti
“Uber Leaks”, “Uber Files”, qualcuno ha anche usato il vecchio “Uber Gate”, insomma, la super inchiesta sul gigante tecnologico Uber è stata ormai resa pubblica tramite il The Guardian e altre grandi testate e sono 124 mila i documenti sensibili presi in esame e relativi alle politiche aggressive dell’azienda per garantirsi il lascia passare dei Governi di decine di Paesi in tutto il mondo.
La fuga dei file, che riguardano decine di migliaia di email, messaggi di Whatsapp e di iMessage, inviati tra il 2013 ed il 2017, ha permesso di scoprire le spregiudicate azioni di lobby su Capi di Stato, ministri, sottosegretari e politici chiave di almeno 40 Paesi, tra cui Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, Germania, Svezia, Spagna, Turchia, India, Sud Africa e Russia.
In particolare è stato proprio Emmanuel Macron, attuale Presidente della Francia, a favorire fortemente l’ingresso di Uber nel settore del servizio taxi nazionale, scatenando la rivolta dei tassisti, in alcuni casi anche molto violenta.
Idem in Gran Bretagna, dove George Osborne, all’epoca cancelliere del Regno Unito, si è prodigato in prima persona per supportare l’ascesa di Uber nel Paese (si menzionano anche incontri riservati con sei ministri del gabinetto Tory).
Ovviamente, i nomi eccellenti sono molti di più, perché gli incontri “faccia a faccia” tra esponenti della Big Tech e le massime cariche istituzionali di decine di nazioni sono stati tanti, spesso in occasione di grandi summit come il World Economic Forum di Davos.
Si leggono i nomi di Joe Biden, all’epoca vice presidente e attuale presidente degli Stati Uniti, ma anche del Primo ministro irlandese, Enda Kenny, del Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e anche con l’allora sindaco di Amburgo, oggi Premier tedesco, Olaf Scholz, che però respinse le pressioni al mittente a quanto si legge nei leaks.
Gli accordi con Macron e l’ex commissaria Ue Neelie Kroes
Al centro di questi documenti c’è soprattutto l’operato del co-fondatore di Uber, Travis Kalanick, che sembrerebbe l’artefice di una politica aggressiva dell’azienda, condotta tramite azioni di lobbying rivolte ai Governi di tutto il mondo e in particolare alle amministrazioni delle città più grandi e affollate, con l’obiettivo di “convincere” i politici a favorire il sistema di trasporto che tramite un’app mobile di ride sharing mette a diretto contatto il passeggero con l’autista privato, definendo tariffa, percorso e punti di imbarco (una specie di noleggio auto con conducente tutto gestito online, via smartphone).
Ogni giorno Uber effettua qualcosa come 20 milioni di viaggi, mentre l’azienda è valutata 43 miliardi di dollari.
A quanto pare sono stati messi a budget più di 90 milioni di dollari per quest’azione di pressione più o meno indebita sulla politica e solo per l’anno 2016.
In Francia, il ministro dell’Economia del tempo e oggi Presidente del Paese, Emmanuel Macron, sembra si prodigò in maniera particolarmente convinta per decretare il successo di Uber e della gig economy a scapito dei tassisti tradizionali.
Addirittura gli scontri con le forze dell’ordine, che si manifestarono in diverse città, furono definite da Uber come una grande occasione per rendere più rapido il suo inserimento nel mercato interno francese del trasporto pubblico.
La stessa cosa accadde con la Commissaria digitale per l’Ue, Neelie Kroes, che prima della fine del suo mandato fece grandi pressioni sui politici olandesi e di altri Paesi per favorire Uber e il suo servizio in città.
Nei prossimi giorni ulteriori pubblicazioni
L’indagine, come detto, è stata condotta a livello mondiale dalla celebre testate britannica The Guardian e i dati sono stati condivisi con altri giornali di massimo livello tramite l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), a cui aderiscono più di 180 giornalisti di 40 organi di stampa internazionali, tra cui Le Monde, il Washington Post e la BBC, che pubblicheranno nei prossimi giorni un’ulteriore serie di rapporti investigativi sul colosso tecnologico.
Un paio di mesi fa, nel nostro Paese, sono state comminate due sanzioni di 2 milioni e 120mila euro ciascuna dal Garante privacy a Uber B.V. (UBV), con sede legale ad Amsterdam, e a Uber Technologies Inc (UTI), con sede legale a San Francisco, ritenute entrambe responsabili delle violazioni commesse nei confronti di oltre 1 milione e mezzo di utenti italiani, tra autisti e passeggeri.
Uber ha già ammesso che qualcosa di sbagliato è stato fatto in passato, evidenziando “errori e passi falsi” nella condotta di Kalanick, ma che ora, grazie alla guida del nuovo amministratore delegato, Dara Khosrowshahi, certe cose non accadranno più: “I comportamenti passati non sono in linea con i nostri valori, chiediamo al pubblico di giudicarci da ora in avanti per ciò che facciamo, per il servizio che offriamo e per quello che continueremo a fare di buono nel futuro”.
Un portavoce di Kalanick ha infine fatto sapere che l’ex manager non ha mai autorizzato o diretto alcuna condotta illegale negli sforzi di espansione di Uber in tutto il mondo, rispendendo le accuse ai mittenti. Tutto ciò che è stato fatto, ha spiegato il portavoce, è sempre stato condiviso con il management di Uber.