Google e Salesforce.com sono stati dati in pole position per l’acquisizione di Twitter ma sono molte le aziende hi-tech che hanno manifestato interesse per il sito di microblogging.
Sulla scia delle nuove indiscrezioni il titolo di Twitter ha segnato un aumento del 21% venerdì e sono in molti i siti specializzati a ipotizzare un prezzo di vendita ben superiore ai 18 miliardi di dollari ipotizzati in un primo momento sulla base di una corretta valutazione finanziaria.
Secondo alcuni analisti, potrebbero volerci all’incirca 30 miliardi per aggiudicarsi il social network, nonostante le evidenti difficoltà del business.
Le indiscrezioni sulla vendita di Twitter – data in sposa di volta in volta a Google, o Facebook e anche a Microsoft si sono rincorse per anni – ma si sono fatte più insistenti dopo l’acquisizione da 26,2 miliardi di LinkedIn da parte di Microsoft.
Finora, il co-fondatore Jack Dorsey, salito di recente al timone per tentare di raddrizzare la rotta del sito, ha sempre giudicato inammissibili le proposte e sembrava rimasto con un poco in mano visto che, come nella migliore delle tradizioni, i pretendenti si sono accasati altrove (Facebook ha comprato Instagram e WhatsApp, Microsoft ha comprato Skype e Google, molto prima, aveva messo le mani su YouTube).
Twitter vale oggi in Borsa poco più di 15 miliardi. Tre anni fa ne valeva 40 miliardi. Le cose non stanno girando benissimo, come dimostra innanzitutto il fatto che mentre gli altri social continuano a crescere, il numero di utenti Twitter nel primo trimestre di quest’anno è cresciuto soltanto del 3% dopo che era rimasto sostanzialmente piatto nel trimestre precedente. In tutto, gli utenti mensili attivi sono stati 310 milioni, 5 milioni in più dei tre mesi precedenti, ma anche 10 milioni in meno della fine del 2015.
Perché allora potrebbe esserci qualcuno disposto a pagare qualcosa come 12 miliardi in più rispetto al valore ‘ragionato’ del social?
Twitter, come LinkedIn, ha dalla sua il fatto di avere un’ampia base utenti e di essere diventato quasi sinonimo di un certo tipo di attività online. Un marchio riconoscibile, dunque, anche se nel mezzo di una crisi d’identità nel mutevolissimo contesto delle mode online.
Più che la sua posizione nel sempre più variegato mondo dei social, ad attrarre i possibili compratori è comunque la gran mole di dati generata dal sito.
Se sei un compratore con molti soldi queste sono opportunità che capitano una volta nella vita e chissà se stavolta Twitter si offrirà.
Certo è che l’aria sembra sia cambiata e, nonostante anche stavolta la vendita sia data come non imminente, il consiglio di amministrazione pare sia desideroso di stringere un accordo. Almeno così dicono fonti vicine all’azienda.
Certo è che gli investitori di Salesforce non l’hanno presa benissimo.
Secondo alcuni osservatori c’è il timore che la smania da acquisizioni del co-fondatore e amministratore delegato Marc Benioff rischi di andare fuori controllo. E così, mentre venerdì il titolo Twitter toccava il picco massimo di crescita giornaliera, quello di Salesforce segnava -6%.
Secondo il sito Recode, la lista dei possibili pretendenti di Twitter è molto lunga e va da Google (la casa madre Alphabet ha generato nell’ultimo trimestre ricavi per 21 miliardi di dollari, più dell’attuale valore di Twitter, ma cosa direbbero le autorità antitrust sia negli Usa che nella Ue?) a Facebook (che potrebbe compensare le sue lacune nella distribuzione di ultime notizie in tempo reale, cosa in cui Twitter eccelle. Ma vale la pena per questo staccare un assegno da almeno 18 miliardi?).
Qualcuno ha anche azzardato il possibile interesse di Microsoft, ma per il gruppo – sempre più orientato verso il segmento enterprise e che già ha comprato Skype e LinkedIn – vale lo stesso discorso di Facebook: ha senso spendere una cifra così importante solo per guadagnare trazione nel mondo dei social, del mobile e della pubblicità?
E se per Apple l’acquisizione avrebbe senso in vista della possibilità di dirottare sui suoi device gli accordi stretti da Twitter per lo streaming live di eventi sportivi, ma non aggiungerebbe nulla di altro, un accordo con Twitter potrebbe forse risultare più proficuo per Verizon – che farebbe la tripletta dopo AOL e Yahoo – o Comcast, o ancora per le grandi media company tradizionali (Disney, News Corp/Fox) o qualche private equity.
Tutti i grandi nomi dell’universo tlc-media-internet, insomma, potrebbero avere interesse a mettere le mani su Twitter, ma ci sarà qualcuno disposto a sborsare una cifra da 18 a 30 miliardi senza far gridare al rischio di una nuova bolla speculativa?