L'INTERVISTA

TV Locali: ‘Un settore tra illusione e futuro’. Intervista a Raffaele Lorusso (FNSI)

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E' l'opinione del segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, tra i protagonisti del Convegno sull'emittenza locale che si tiene stamani a Roma.

In Italia sono oltre 2.000 i giornalisti impiegati nel settore radiotelevisivo locale. Un numero superiore a quelli in forza alla Rai, che risultano circa 1.900. Sono gli ultimi dati dell’INPGI (l’istituto di previdenza di categoria) riferiti alla fine del 2014. Dati su cui si è soffermato il segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Raffaele Lorusso, tra i protagonisti dell’odierna Conferenza Nazionale delle TV Locali organizzata a Roma dal mensile Millecanali che lo ha intervistato.

Lorusso, come leggere questo dato?

C’è dentro di tutto. Bisogna capire quanti di questi giornalisti stanno ancora usufruendo degli ammortizzatori sociali e soprattuto quanti di questi vengono pagati ogni mese. Perché la criticità del sistema dell’emittenza locale è proprio questa: in molte aziende i posti di lavoro vengono tenuti in piedi soltanto al fine di accumulare più punteggio per poi accedere ai contributi pubblici. In realtà sono poche le realtà dove si percepisce lo stipendio ogni mese. In molte aziende vengono versati i contributi previdenziali, perché senza la correttezza contributiva non si accede ai contributi. Però molto spesso c’è gente che aspetta lo stipendio anche da un anno.

La capillarità sul territorio di questi giornalisti è un patrimonio interessante.

Il patrimonio è interessante. Però dobbiamo capire che il pluralismo non è soltanto una questione di quantità. E’ soprattuto un problema di qualità dell’informazione. Credo che di qualità dell’informazione, in questo Paese, non solo nel settore dell’emittenza locale, se ne sia parlato molto poco. Anzi per niente.

 

Cosa proponete per il rilancio del settore dell’emittenza locale?

Innanzi tutto nessuno pensa di sottrarre risorse. Anzi possibilmente andrebbero incrementate. Tuttavia, bisogna passare da una logica – quella del passato che ha dato tutto a tutti, anche con criteri non abbastanza rigorosi – ad un sistema in cui il sostegno viene dato a chi crea occupazione vera. E sottolineo vera. E quindi a quanti non solo rispettano l’obbligo di versare i contributi previdenziali ma pagano gli stipendi ogni mese. Ecco da questo punto di vista si potrebbe introdurre l’obbligo della tracciabilità dei pagamenti.

 

Altre soluzioni?

E’ necessario stabilire dei principi che vadano nella direzione di premiare l’informazione di qualità. E mi rendo conto che questo è molto difficile soprattutto in un Paese nel quale non si riesce ancora a stabilire per Legge cosa sia servizio pubblico e cosa non lo sia. Però è uno sforzo che bisogna fare e che ovviamente non riguarda solo l’emittenza locale, ma il settore nel suo complesso. Bisogna ripartire dai contributi; rimettere mano alla Legge Gasparri e ridefinire il cosiddetto SIC; regolare i conflitti di interesse e il mercato pubblicitario che oggi non lo è assolutamente. Se prima non si mette mano al sistema difficilmente si potrà affrontare in modo concreto i problemi specifici.

 

In questi giorni è tornata in auge la proposta di stornare risorse dal Canone Rai da destinare al comparto locale. Cosa ne pensa?

Questo è già previsto dalla legge 422 del 1993 che istituiva un fondo mai realmente attivato. Infatti, nel 1999, con la Legge 488, arrivò il primo stanziamento per le emittenti locali che successivamente è stato sempre rifinanziato ogni anno. Il principio, quindi, è già stato affermato nel 1993. Il problema, però, è questo: se pensiamo di destinare all’emittenza locale una parte del canone Rai che serve a far funzionare il servizio pubblico, è necessario prima stabilire cosa è servizio pubblico. Pensiamo davvero destinare parte del canone Rai a chi nell’80 per cento del proprio palinsesto include televendite?

Quindi?

Prima occorre una profonda revisione delle Leggi del sistema, facendo una distinzione tra buona e cattiva informazione e tra buona e cattiva occupazione. Non è possibile dare tutto a tutti, come dicevo prima. Invece bisogna premiare i soggetti virtuosi.

 

Comunque il principio è giusto?

Ritengo giusto il principio di assicurare delle provvidenze al settore dell’emittenza locale. Però bisogna capire che cosa è questo settore, cosa si fa e chi sono i player. Perché anni e anni di questo principio della contribuzione pubblica hanno alimentato delle illusioni che stanno velocemente scomparendo.

 

In che senso?

E’ vero che c’è la libertà di impresa. Però la libertà di impresa si deve reggere sul mercato a prescindere dal contributo pubblico. D’altro canto tocca allo Stato regolare il mercato. E purtroppo il mercato in questo Paese non è regolato.

 

Se ne parla da 20 anni. Ne usciremo?

Per uscirne ci vuole la volontà politica. Il problema del duopolio non è mai stato affrontato. Rai e Mediaset assieme drenano più del 28 per cento di risorse della raccolta pubblicitaria. Vogliamo parlare di questo? E non significa criminalizzare nessuno. Significa soltanto creare per Legge dei meccanismi che consentano una diversa presenza dei vari attori del sistema imponendo anche dei tetti, come succede in altri Paesi d’Europa.

 

Tornando alle locali, si parla del rinnovo del contratto Aeranti-Corallo?

Certo che se ne parla. Per noi il contratto deve essere rinnovato. Spero che Aeranti-Corallo vada oltre le volontà annunciate più volte in occasioni pubbliche e si sieda al tavolo per affrontare assieme quelle che sono le criticità del sistema ma anche la necessaria fase di rinnovo del contratto stesso.

Su quali aspetti puntate?

Bisogna rafforzare le tutele. Non possiamo immaginare di ridurre i costi, che sono già minimi. Quello era uno strumento di emersione che ha consentito a tanti giornalisti del comparto di ottenere un contratto e un’assistenza sanitaria. Però sotto quella soglia economica non si può andare.

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