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Tusma, la “riforma delle quote” nel silenzio dei più

Oggi pomeriggio, mercoledì 13 marzo 2024, la Commissione Cultura della Camera – relatore il Presidente Roberto Marti (Lega) – ha manifestato il proprio parere alla Commissione Comunicazioni su quella che qualcuno ha semplicisticamente chiamato “la riforma delle quote”, ovvero le modificazioni dei livelli di investimento nell’ambito degli obblighi che lo Stato assegna alle emittenti televisive ed alle piattaforme audiovisive…

Più precisamente: la Commissione Cultura di Palazzo Madama è stata chiamata a esprimere il proprio parere alla Commissione Comunicazioni sullo schema di decreto legislativo che apporta modificazioni al “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi” (detto “Tusma”, nello slang) in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato, in attuazione della Direttiva (Ue) 2018/1808.

Abbiamo già affrontato questa vicenda, più volte, su queste colonne (si rimanda, da ultimo, al nostro intervento di giovedì scorso: vedi “Key4biz” dell’8 marzo 2024 “Una cappa di nebbia su Tusma, contratto di servizio Rai, commissioni ministeriali cinema e audiovisivo del Mic”; si veda anche “Key4biz” del 30 gennaio 2024, “Quanta ipocrisia sulla Rai e silenzio su obblighi di investimento in audiovisivo indipendente”), ed oggi ci limitiamo a ricordare due questioni essenziali, l’assenza di dati certi ed il deficit di pubblico dibattito

Ancora una volta, si legifera in assenza di analisi di scenario, studi di mercato, dataset adeguati per capire la “vera verità” del sistema

Ancora una volta, si legifera in assenza di analisi di scenario, di studi di mercato, di dataset adeguati per comprendere la “vera verità” del sistema (struttura / sovrastruttura): l’attuale sistema di quote è stato efficace? Ha determinato effetti benefici sull’intero mercato audiovisivo, a livello di incremento delle capacità produttive e di estensione dello spettro del pluralismo espressivo?!

Nessuno purtroppo può dare risposte chiare nette univoche, perché nessuno ha finora mai realizzato uno studio accurato ed indipendente sul tema: né il Ministero della Cultura né l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, anche se l’Agcom, nell’agosto del 2023 ha inviato un parere al Mic segnalando l’opportunità di allentare alcuni vincoli, ritenuti troppo rigidi.

Questo parere Agcom veniva inviato al Ministero nell’economia dell’annunciata riforma del famigerato “tax credit”, ma, anche su quel fronte, si ricordi che non esisteva e non esiste una “valutazione di impatto” che possa consentire di comprendere se e come lo strumento delle agevolazioni tributarie ha funzionato bene o male.

IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale è convinto che il “tax credit” abbia funzionato piuttosto male ed abbia drogato il sistema nel suo complesso, stimolando sì quella “piena occupazione” tanto apprezzata dai sindacati, ma producendo al tempo stesso sacche di inefficienza, rendite di posizione, processi parassitari e finanche malaffare… E si ricordi che, negli ultimi anni, le maggiori società di produzione indipendenti italiane sono passate in mano a multinazionali straniere. Gli effetti perversi della Legge Franceschini sono stati tanti e variegati ed i tempi sono maturi per una correzione di rotta, che però appare ancora avvolta dalle nebbie.

Stupisce l’assenza di dibattito pubblico: oggi solo “il Fatto Quotidiano” accende i riflettori su una questione delicata per l’intera industria culturale italiana. Debole segnale da Anica, appello da Cna

Quel che stupisce è la totale assenza di dibattiti pubblici su queste vicende: caso raro, ma eccezionale, la paginata che oggi ha dedicato alla vicenda Giacomo Salvini sulle colonne del quotidiano “il Fatto Quotidiano”, con un richiamo anche in prima: “Pier Silvio ordina. Giorgia esegue: sconti a Mediaset” propone una titolazione netta. E poi: “Meno serie e film italiani: regalo di Meloni a Mediaset. La destra accoglie le richieste del Biscione anti-Netflix, si abbassa la soglia sugli investimenti e le produzioni nazionali”.

In sintesi, secondo Giacomo Salvini, il Parlamento intende benedire la posizione del Governo: allentare gli obblighi per Mediaset e rafforzarli per Netflix e le altre piattaforme.

Il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia) si sarebbe imposto nel mantenere gli obblighi nei confronti delle piattaforme, contrapponendosi alla posizione più “liberista” assunta dalla Lega, ovvero dalla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (da segnalare che – su questi temi – la leghista non ci risulta si sia mai espressa pubblicamente…).

Nel parere parlamentare che verrà trasmesso all’Esecutivo vengono recepite dai partiti di maggioranza le richieste di maggiore flessibilità su investimenti e programmazione che riguardano film e serie italiane e di nuova uscita… Il primo correttivo riguarda le “quote europee di programmazione e investimento”, ovvero la soglia di investimenti che secondo la legge attuale ogni media diverso dal servizio pubblico deve destinare a produzioni di serie, fiction e film europee e italiane.

Attualmente questa quota per le produzioni indipendenti è fissata al 12,5 %, e Mediaset ha chiesto di calcolare diversamente la soglia: non più in base agli introiti netti annui, ma sulla programmazione. Ed ha richiesto che in questa quota venissero inseriti anche i fondi per l’acquisto di serie e film italiani, per il doppiaggio e per la promozione pubblicitaria… Elasticità è la parola-chiave.

Il parere che viene approvato oggi chiede anche di “valutare una razionalizzazione e rimodulazione in termini di maggiore flessibilità e certezza degli adempimenti posti in capo agli operatori”.

Allentare allentare allentare: si passa da una soglia del 12,5 % al 10 % per l’investimento in film e fiction, ma anche dal 3 all’1,75 % sull’acquisto di opere cinematografiche di produzione italiana?

Viene anche accolto l’abbassamento delle quote di investimento obbligatorio per serie, film e fiction europee e italiane indipendenti. Si tratta di una norma che riguarderà solo le tv private e non le piattaforme: si passa da una soglia del 12,5 % al 10 % per l’investimento in film e fiction, ma anche dal 3 all’1,75 % sull’acquisto di opere cinematografiche di produzione italiana. Incerta la chance di eliminare la “sotto-quota” per i cartoni animati.

L’interpretazione de “il Fatto” è senza dubbio discretamente maliziosa e finanche faziosa, e “naturalmente” anti-governativa ovvero soprattutto anti-Mediaset, ma, al di là della partigianeria (comunque va dato atto che il giornale diretto da Marco Travaglio sia l’unico che affronta oggi la questione), è evidente che l’intenzione del Governo (e quindi del Parlamento) è – in poche parole – allentare “lacci e lacciuoli”.

Quel che è incomprensibile è la carenza di pubblica dialettica, sia a livello politico (non si registra nessuna presa di posizione dai partiti di opposizione: nessuna) sia a livello di “società civile”, ovvero di associazioni rappresentative. Sul tema si ricorda la protesta delle tre associazioni autoriali – 100autori, Anac, Wgi – che qualche giorno fa – come abbiamo ben segnalato su “Key4biz” – lamentavano di non essere nemmeno stati chiamati in audizione dal Parlamento: e ciò basti. Totalmente silente anche la Società Italiana degli Autori e Editori (Siae).

Il tema è essenziale, importante, strategico, per il sistema culturale italiano, ma sembra non interessare quasi nessuno.

Come giudicare altrimenti che, tra ieri ed oggi, siano stati diramati soltanto 2 comunicati due, ripresi dalle agenzie stampa ma completamente ignorati da giornali e media?!

Si registra soltanto una labile presa di posizione dei “produttori indipendenti” di Anica (la confindustriale associazione – si noti – con una pluralità di anime, tra le quali chi rappresenta anche Netflix) ieri pomeriggio e questa mattina una richiesta netta della più pugnace Cna – Cinema e Audiovisivo

Per il resto, tutto passa, sta passando, sotto silenzio

Le due prese di posizione meritano essere comunque rilanciate.

La preoccupata presa di posizione dell’Anica ovvero dei produttor indipendenti, ovvero di una delle “anime” dell’Anica (che rappresenta anche Netflix)

La riforma del “Tusma”, in discussione in Parlamento, preoccupa i produttori indipendenti dell’Anica, che ieri hanno esposto in un documento le proprie perplessità e le proprie richieste alle istituzioni: “oggi le piattaforme devono investire il 20 % in opere di produttori indipendenti. Sono investimenti che le piattaforme – che raccolgono ricavi nel nostro Paese – sono assolutamente in grado di sostenere. Come avviene in altri Paesi europei, tra cui Francia e Germania. La riforma in corso, invece, include la revisione delle quote di investimento in film, serie, documentari italiani ed elimina la norma contenente le tutele verso grandi broadcaster e player globali, con il rischio concreto di lasciare i produttori senza alcuna difesa, a discapito della nostra industria”.

Si domandano i “produttori indipendenti” dell’Anica (da segnalare che la presa di posizione non reca nessuna firma, né l’elenco di queste società: timore forse di ritorsioni?!): “perché? a favore di chi? L’ovvia conseguenza è ridurre il peso dei racconti italiani e favorire le produzioni internazionali. Per i produttori indipendenti italiani la conferma delle attuali regole e la tutela di condizioni negoziali e contrattuali eque è fondamentale, non solo per una crescita dell’industria audiovisiva italiana, ma anche per mantenere il valore dei diritti e la proprietà intellettuale nel nostro paese. Tali regole devono essere mantenute nel Tusma e strettamente coordinate con la regolamentazione relativa al tax credit”.

I produttori chiedono “il mantenimento delle esistenti quote di investimento obbligatorio, il rafforzamento delle sotto-quote Italia e cinema e l’introduzione della sotto-quota animazione”.

Chiedono che “gli obblighi di investimento siano assolti esclusivamente attraverso forme contrattuali che non li rendano meri produttori esecutivi e che non siano calcolate a questo scopo le spese di distribuzione e promozione”.

L’obiettivo è “mantenere e rafforzare i livelli occupazionali raggiunti negli ultimi anni, garantire l’accesso al settore di giovani imprenditori e nuovi talenti, di sostenere la biodiversità dell’industria audiovisiva italiana – composta per lo più da piccole e medie imprese – e di mantenere la titolarità delle idee sulle nostre storie, sviluppate e realizzate in Italia”.

Richieste legittime e condivisibili, ma che acquisirebbero maggiore forza se fossero basate su dati di fatto e non su impressioni superficiali.

Il comunicato stampa Anica di ieri, rilanciato soltanto dall’agenzia specializzata AgCult alle 17.17, non è stato ripreso da nessuna testata giornalistica o web, e questa mattina LabItalia – distribuita nel servizio di aggregazione delle agenzie stampa Telpress – lo ha rilanciato alle 10.42, così intitolando “Audiovisivo. Anica, preoccupati per revisione sistema quote Tusma”.

La presa di posizione di Cna – Cinema e Audiovisivo: forte preoccupazione, si debbono respingere le richieste avanzate dalle piattaforme, bisogna mantenere anzi rafforzare gli obblighi

Alle 13.12, è l’Ansa a rilanciare un comunicato della Cna – Cinema e Audiovisivo (anche questo – si noti – non è firmato), intitolato “Cna, preoccupa molto futuro dell’audiovisivo da revisione quote”. La presa di posizione di Cna è più netta di quella dell’Anica: viene espressa una “forte preoccupazione” sul futuro dell’industria cinematografica e audiovisiva indipendente italiana, alla luce della riforma del “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi” (alias “Tusma”) che include la revisione del sistema di quote di investimento e di programmazione in film, serie, documentari italiani a carico di broadcaster e piattaforme e a favore della produzione indipendente italiana. Cna chiede di respingere fermamente le richieste avanzate dalle piattaforme in Parlamento di una riduzione drastica delle quote di investimento e programmazione, che metterebbe a serio rischio la produzione indipendente italiana”. Per Cna, appare invece fondamentale il ripristino dell’attuale articolo del Tusma, in cui si stabilisce che l’assolvimento degli obblighi di investimento debba avvenire tramite pre-acquisto, acquisto e licenze, escludendo contratti di appalto o di “buy out” di tutti i diritti, nonché la limitazione temporale dei diritti in capo alle emittenti (Smav) e ai broadcaster. Infine, la Confederazione (Cna – Artigiani Imprenditori d’Italia) ribadisce che la regolamentazione a tutela di condizioni negoziali e contrattuali eque tra grandi “broadcaster” e “player” globali e produttori indipendenti è fondamentale non solo per una crescita strutturata dell’industria culturale italiana, ma anche per mantenere il valore dei diritti e la proprietà intellettuale nel nostro paese. “Non solo tali regole devono essere mantenute nel Tusma – sostiene Cna – ma devono essere strettamente coordinate con la regolamentazione relativa al tax credit, a cui la regolamentazione attuativa può essere rinviata con un decreto interministeriale, al fine di garantire coerenza complessiva al sistema e semplificazione in sede applicativa”.

L’appello di Straffi (Rainbow) a difesa del settore dell’animazione, ieri in Commissione Cultura, resterà inascoltato?

Ieri martedì 12 marzo alle ore 11:30, la Commissione Cultura della Camera – in merito all’indagine conoscitiva sull’impatto della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica sui settori di sua competenza – ha svolto l’audizione di Iginio Straffi, fondatore e Presidente di Rainbow, e Presidente di Colorado Film.

Da ricordare che nel 2021 era entrata nel capitale di Rainbow la multinazionale statunitense Viacom, oggi Paramount Global, rilevando le quote dei due soci di Straffi, ovvero il 30 % della società, ma nel gennaio 2023 Paramount ha rivenduto le sue quote a Straffi, consentendo così a Rainbow di tornare pienamente indipendente (Nickelodeon continua ad essere partner dello studio). Il caso di Rainbow merita essere rimarcato, a fronte del saccheggio di molte società di produzione italiane, negli ultimi anni, da parte di multinazionali straniere: in eccellente controtendenza.

Straffi ha lanciato un vero e proprio “appello” a difesa del settore italiano dell’animazione: “siamo ancora in tempo per salvare un comparto che è diventato il secondo in Europa e che esporta in tutto il mondo. La nostra sfida è stata quella di intrattenere i più piccoli senza mai dimenticare la funzione formativa che stavamo svolgendo. Oggi il 72 % dei bimbi tra i 4 ed i 6 anni navigano sulle piattaforme senza la presenza di un genitore… In oltre trenta anni di lavoro nel mondo dell’animazione ho assunto competenze ed informazioni che possono servire a capire meglio l’importanza che questo settore riveste non solo per l’industria dell’intrattenimento, ma soprattutto nella trasmissione di un’identità culturale e valoriale che riguarda i bambini italiani. Nelle nostre produzioni, abbiamo sempre trasferito sia gli elementi identitari della nostra storia e dei nostri costumi, che i valori etici che costituiscono gran parte dell’educazione dei più giovani. La sfida è stata quella di intrattenere i più piccoli senza mai dimenticare la funzione formativa che stavamo svolgendo nel costruire storie in cui i contenuti dovevano prevedere dei forti valori etici… Oggi i genitori hanno infatti perso il controllo della fruizione audiovisiva dei propri figli…”.

Il fondatore di Rainbow ha fatto cenno alla propria storia imprenditoriale, con orgoglio (peccando forse di un eccesso di autocompiacimento): “quasi agli esordi con ‘Tommy & Oscar’ già puntavamo all’importanza dell’altruismo e ad un’universale accettazione della diversità. Con i ‘Gladiatori di Roma’ abbiamo raccontato ai più giovani una divertente storia dell’Antica Roma ma al tempo stesso abbiamo promosso i valori della lealtà sportiva, del rifiuto del doping e della correttezza agonistica. In ‘44 Gatti’, abbiamo portato in tutto il mondo la musica, le canzoni e valori dell’Antoniano. ‘Pinocchio and Friends’ recuperava addirittura la più famosa delle fiabe italiane sia nell’intramontabile storia del passaggio dalla vita bambina a quella adulta che nell’affermazione di quei significati etici che debbono stare alla base della crescita. Le nostre ‘Winx’, protagoniste di un vero e proprio successo mondiale che dura da 20 anni, oltre a portare il messaggio dell’amicizia, dell’altruismo, dell’onestà, del rispetto per il nostro pianeta, rappresentano il nostro “made in Italy” attraverso il loro amore per il bello, per la moda ed il design”.

Al di là dell’autoreferenzialità, questo il punto dolente della sua audizione, alla base del suo appello: “Netflix, Disney+, Paramount+, Amazon prevedono nei prossimi anni miliardi di investimenti in animazione in Europa. Il Paese dove saranno indirizzati questi investimenti sarà solo la Francia. Di conseguenza, per consentirci di partecipare alla spartizione degli investimenti delle piattaforme americane in Europa, abbiamo bisogno della sottoquota animazione. A questo punto, la politica italiana deve decidere se dare alla Francia la vittoria a tavolino o se permettere anche a noi di giocare la partita. Siamo ancora in tempo per salvare un comparto che è diventato il secondo in Europa e che esporta cartoni animati made in Italy in tutto il mondo. Un provvedimento come quello della sottoquota animazione è nell’interesse dell’audiovisivo italiano, a livello industriale, occupazionale e di identità culturale per le giovani generazioni”.

Temiamo che l’appello di Straffi non verrà accolto, se la logica prevalente nel Governo e nel Parlamento resterà “allentare, allentare, allentare”, inchinandosi alle logiche sempre più neo-liberiste, con lo Stato che asseconda il Mercato. Anche in un settore delicato e strategico quel è quello della cultura e dei media.

Viene naturale evocare il neologismo coniato da Chiara Cordelli: anche nel sistema culturale e mediale, assistiamo ad una strisciante e pervasiva “privatocrazia” (come il titolo del suo saggio pubblicato l’anno scorso per i tipi di Mondadori, “Perché privatizzare è un rischio per lo Stato democratico”).

Domani proporremo una lettura critica del parere espresso dalla Commissione Cultura del Senato.

Quel che – ancora una volta – vogliamo ribadire è che si continua a “governare” il sistema culturale italiano senza disporre della adeguata pur minima strumentazione di conoscenza.

Approssimazione e nasometria prevalgono.

Il “gioco” normativo quindi, anche in Parlamento, finisce per essere determinato dalla forza – di volta in volta – dei potentati e delle lobby. E nessuno protesta.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

Nota di aggiornamento ore 16

Ecco gli emendamenti al parere approvati oggi 13 marzo dalla Commissione Cultura del Senato, sul nuovo Tusma.

La Commissione Cultura del Senato ha approvato a maggioranza il parere del relatore Roberto Marti (Lega), presidente della 7a di Palazzo Madama, riguardante lo schema di decreto recante il nuovo Testo Unico dei Servizi di Media audiovisivi (Tusma).

La Commissione ha espresso le seguenti osservazioni tendenti a modificare il testo unico.

All’articolo 3, comma 1, alla lettera vv), siano soppresse le parole: “nell’ambito di un programma o nell’ambito di uno spot” e, alla lettera eee), dopo le parole: “in relazione a programmi” siano inserite le seguenti: “audiovisivi o radiofonici”.

All’articolo 4, comma 2, nel testo modificato dal decreto correttivo in esame, si preveda che spetti al Ministero della istruzione e del merito, d’intesa con il Ministero della cultura, il Ministero delle imprese e del made in Italy e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e sentite le altre amministrazioni interessate ivi elencate, l’attività di promozione dell’alfabetizzazione mediatica e digitale.

All’articolo 35, comma 2, le parole: “Chiunque si ritenga leso nei suoi interessi morali, quali in particolare l’onore e la reputazione, o materiali dalla diffusione di immagini o dalla attribuzione di atti, pensieri, affermazioni o dichiarazioni contrari a verità” siano sostituite con le seguenti: “Ogni persona fisica o ente giuridico i cui diritti, in particolare all’onore e alla reputazione, siano stati lesi a seguito di un’affermazione di fatti non conformi al vero contenuta in un programma televisivo o radiofonico”.

All’articolo 37, si valuti l’opportunità di modificare il comma 10 al fine di stabilire che il Ministro delle imprese e del made in Italy sia tenuto ad acquisire anche l’intesa con il Ministro per la disabilità.

All’articolo 37, al comma 7, si premettano le parole: “Sui canali generalisti lineari” e, al comma 11, si sopprimano le parole: “e radiofonici”. All’articolo 38, comma 2, si sopprimano le parole: “sentito il Ministero che si esprime entro 15 giorni,”.

All’articolo 54, relativo alla promozione della produzione audiovisiva europea e indipendente:

a) al comma 1, dopo la parola: “produzione” si aggiungano le seguenti: “(comprensiva dei costi di edizione italiana e doppiaggio di opere originarie di altri Stati membri dell’Ue e dei costi di promozione di ciascuna opera di espressione originaria italiana ovunque prodotta)” e le parole: “non inferiore al 12,5 per cento” siano sostituite con le seguenti: “non inferiore al 10 per cento” assicurando, al contempo, un adeguato supporto alle opere di espressione originale italiana ovunque prodotte;

b) al fine di assicurare chiarezza nella definizione della base di calcolo degli obblighi di investimento, prevedere che l’Autorità indichi espressamente le voci di costo eleggibili; c) al comma 3, si sostituiscano le parole: “3,5 per cento” con le seguenti: “1,75 per cento”.

All’articolo 55, in materia di obblighi dei fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta:

a) al comma 2, lettera b), si sostituiscano le parole: “20 per cento” con le seguenti: “16 per cento” assicurando, al contempo, un adeguato supporto alle opere di espressione originale italiana ovunque prodotte;

b) al comma 8, si sostituiscano le parole “di cui un quinto” con “di cui un decimo”;

c) al fine di assicurare chiarezza nella definizione della base di calcolo degli obblighi di investimento, prevedere che l’Autorità indichi espressamente le voci di costo eleggibili. Valutare di introdurre misure a tutela e per il rafforzamento del comparto animazione con particolare riferimento alle opere la cui proprietà intellettuale sia in capo a soggetti italiani.

Commento a caldo, in sintesi: allentare allentare allentare…

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