Usa, il presidente Trump nega di aver mai interferito con le indagini dell’Fbi
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha negato d’aver mai chiesto all’ex direttore del Federal Bureau of Investigation, James Comey, di interrompere le indagini in merito alla presunta collusione tra la Russia e membri del suo staff, e in particolare con l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn. Trump, che ieri ha tenuto personalmente una conferenza stampa alla Casa Bianca, ha smentito con decisione l’interpretazione fornita dal “New York Times” al resoconto di una conversazione intercorsa tra lo stesso presidente e Comey, lo scorso febbraio. Stando al quotidiano, che non ha potuto consultare direttamente il documento, ma ha raccolto la testimonianza di fonti anonime che lo avrebbero letto, Trump sottolineo’ a Comey di avere fiducia nell’onesta’ di Flynn: “E’ un buon uomo. Spero ve ne renderete conto, e deciderete di lasciar perdere (le indagini)”, avrebbe detto Trump al direttore dell’Fbi. Trump ha ribadito con forza di non aver mai richiesto l’interruzione delle indagini o esercitato qualunque forma di pressione sui presunti “contatti” con la Russia. Nel frattempo, pero’, la stampa Usa fornisce nuovi dettagli per avvalorare l’esistenza del presunto “dossier” di Comey. L’ex direttore dell’Fbi, sostiene la “Washington Post”, si preparava a fondo alla vigilia di ogni sua conversazione con il presidente Usa, “nel timore che il presidente non avrebbe rispettato i vincoli etici e legali che governano i rispettivi ruoli”. A sostenerlo, scrive il quotidiano, e’ un “ex collaboratore di Flynn” all’Fbi. La fonte sostiene che Comey preparasse a fondo le risposte da fornire alle eventuali richieste di Trump prima di ogni incontro, e che poi trascrivesse le loro conversazioni in auto, all’uscita dalla Casa Bianca. Flynn, insomma, non nutriva alcuna fiducia nel presidente, che a suo parere lo spronava ad anteporre la lealta’ all’indipendenza del suo ruolo. Dei presunti resoconti citati dal quotidiano si sa ancora poco o nulla: la stampa stessa non ha consultato direttamente nessuno di questi documenti, che si suppone siano in possesso dell’Fbi, dal momento che le indiscrezioni anonime, al solito, provengono dai ranghi dell’agenzia. Le stesse parole attribuite a Trump sono opinabili: come sottolineato dai consulenti legali interpellati dagli stessi quotidiani, da parte del presidente non pare esserci alcuna richiesta diretta o una qualche forma di intimidazione: attribuire a Trump una qualche ostruzione della giustizia, anche ammesso che la ricostruzione del dialogo con Flynn sia accurata, appare quantomeno difficile. Ce n’e’ comunque abbastanza per mantenere il presidente sulla graticola sul piano mediatico. Stando alla fonte citata dalla “Washington Post”, Comey era sotto pressione, perche’ “riteneva” che il presidente “non comprendesse o non apprezzasse l’indipendenza del direttore dell’Fbi, e volesse spronarlo a piegare le regole per il suo tornaconto”. Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca, ha ribadito ieri che “la testimonianza sotto giuramento” resa di fronte al Congresso sia da Comey, sia dal suo vice, Andrew McCabe, “chiariscono senza ombra di dubbio che non c’e’ mai stato nessun tentativo (da parte dell’amministrazione presidenziale) di interferire nelle indagini”. Nel frattempo, le indagini a carico del generale Flynn, al centro della polemica, hanno subito una accelerazione: il “Wall Street Journal” riferisce che una corte ha emesso una richiesta di accesso agli atti in relazione alle accuse mosse a Flynn di aver agito su pagamento come promotore degli interessi della Turchia, dichiarando i suoi legami con soggetti di quel paese soltanto una settimana prima delle sue dimissioni da consigliere per la sicurezza nazionale.
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Usa, Trump contesta la nomina del procuratore speciale per le indagini sulla Russia: “E’ una caccia alle streghe”
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha tenuto personalmente una conferenza stampa ieri, all’indomani delle gravissime accuse rivoltegli dalla stampa in merito alle presunte influenze russe sull’amministrazione. Il presidente ha commentato in particolare la decisione del vice procuratore generale, Rod J. Rosenstein, di affidare le indagini sulle presunte interferenze russe a un “procuratore speciale”, l’ex direttore dell’Fbi Robert Mueller. La decisione di ricorrere a un procuratore speciale, nonostante Trump non sia formalmente indagato, ne’ esista alcun elemento concreto a sostegno delle accuse di collusione con la Russia, “nuoce terribilmente al paese”, ha detto ieri Trump. “Dimostra che siamo un paese diviso, confuso (…) E’ uno sviluppo davvero molto, molto negativo”. Le parole di Trump contrastano nettamente con quelle del vice procuratore generale Rosenstein, che invece aveva dipinto la nomina di Mueller come uno sviluppo positivo: “Dissiperemo la cortina di fumo e verificheremo finalmente quali siano i fatti”, aveva commentato ieri Rosenstein. “Credo che la nomina di un procuratore speciale trasmessa un senso di calma e fiducia al popola americano, ed e’ una cosa incredibilmente importante”. Di tutt’altro avviso Trump, che ieri ha affermato: “Rispetto la decisione, ma quest’intera faccenda non e’ altro che una caccia alle streghe”. “Sono tranquillo qualunque cosa si scelga di fare. Ma ora e’ necessario tornare ad occuparci del paese”. Come da sua controversa abitudine, Trump non ha resistito, nella serata di ieri, a commentare la vicenda anche tramite il suo profilo twitter: “Questa e’ la piu’ grande caccia alle streghe nella storia della politica americana!”, ha tuonato il presidente. “Nonostante tutti gli atti illegali che hanno costellato la campagna di Clinton e l’amministrazione Obama, non si e’ mai giunti alla nomina di un procuratore speciale”. Tra quanti hanno commentato positivamente la nomina, pero’, spicca anche il presidente repubblicano della Camera, Paul Ryan, che pure era contrario, sino a pochi giorni fa, all’avvio di una indagine indipendente a fianco di quelle di Fbi e Congresso. La nomina di Mueller, ha detto Ryan ieri, “aiuta a rassicurare il popolo americano che il dipartimento di Giustizia e’ determinato a svolgere il proprio lavoro in maniera indipendente e rigorosa”.
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Brasile: la giustizia incalza sul presidente Temer, la Borsa crolla e torna il fantasma dell’impeachment
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Un anno dopo, torna il fantasma dell’impeachement. Il Supremo Tribunal federal (Stf), il massimo organo giudiziario del Brasile, ha deciso di aprire un’inchiesta per verificare se il presidente Michel Temer ha tentato di ostacolare la giustizia. Il capo di Stato promette battaglia e annuncia che non si dimettera’, ma il Parlamento sembra pronto a sfilargli l’incarico che prese un anno fa, quando – da vicepresidente – prese il posto di Dilma Rousseff, accusata per aver falsificato il bilancio pubblico. Il caso si centra sulla registrazione che l’imprenditore Joesley Batista ha fatto, di nascosto, di una conversazione con lo stesso Temer. Proprietario di una potente industria alimentare – nonche’ robusto finanziatore di campagne elettorali – Batista dice al capo di Stato che sta pagando mensilmente una quota all’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, in carcere, perche’ questi non riveli dettagli scomodi alla giustizia. “Devi continuare, d’accordo?”, e’ la risposta del capo di Stato nella conversazione anticipata 48 ore fa dal quotidiano “O Globo” e da ieri disponibile in audio pubblicati ovunque sui media locali. “Non ho nulla da nascondere” ha detto Temer in una dichiarazione alla stampa in cui nega ogni addebito chiedendo una indagine rapida ed esaustiva dei fatti. E segnalando che tutto quanto il governo sta facendo per far uscire il paese dalla recessione rischia di essere vanificato da una crisi “di proporzioni politiche ancora non misurate”. Le minacce alla stabilita’ del governo non sono poche. Le prove esibite da Batista in cambio di sconti sulla pena si allungano su Aecio Neves, gia’ sfidante di Rousseff alle presidenziali del 2014 e oggi elemento importante nel sostegno a Temer. Il Supremo gli ha revocato l’incarico di senatore e lui si e’ sfilato dalla guida del Partito socialdemocratico brasiliano (Psdb), dando la stura a una pattuglia parlamentare di chiedere le dimissioni del capo di Stato. E la potenziale eco dello scandalo spinge i ministri delle Citta’ Bruno Araujo e della Cultura Roberto Freire, a lasciare l’incarico. In Parlamento sono state gia’ presentate sette richieste di impeachement, nelle piazze crescono i momenti di protesta e in Borsa si vivono momenti di panico: la piazza di San Paolo ha chiuso venti minuti dopo l’apertura, dopo aver registrato un calo dell’8,8 per cento.
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Venezuela, la denuncia in un audio: dai militari ordini di uccidere i manifestanti
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Quando i cittadini “cominciano a vedere morti, tutti gli altri rimangono a casa”. E’ uno dei tanti passaggi che si ascolta in un lungo audio che il quotidiano spagnolo “Abc” presenta come colloquio svolto all’interno della Fuerza Armada Nacional de Venezuela (Fan), in preparazione degli interventi decisi per controllare i cortei di protesta contro il governo di Nicolas Maduro. Il documento, registrato il 22 aprile da uno dei militari presenti, dimostrerebbe l’esistenza di un ordine preciso di uccidere i manifestanti con franchi tiratori. Una scelta di cui gli stessi protagonisti della riunione sembrano conoscere i rischi: “E’ necessario neutralizzare, non e’ necessario scriverlo”, spiega un generale avvertendo che i cecchini non devono neanche mettersi dietro le truppe “perche’ gli stessi oppositori scattano le foto”, col rischio che si possano aprire procedure nei confronti dei militari. Gli elementi individuati per l’azione, riconosciuta come incostituzionale dai partecipanti alla riunione, devono sostenere “un esame psicologico che ci assicuri a noi comandanti che sono nella pienezza delle loro facolta’ mentali” e che possano “controllare le situazioni critiche”. Uno degli interlocutori segnala al proposito la possibilita’ di tenere un corso per formare gli stessi franchi tiratori.
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Regno Unito, May lancia un nuovo conservatorismo
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – In primo piano sulla stampa britannica il programma di governo del Partito conservatore del Regno Unito, lanciato ieri dalla leader e premier, Theresa May, a tre settimane dalle elezioni politiche dell’8 giugno. In uno dei passaggi piu’ significativi del discorso tenuto a Halifax, uno dei collegi che i Tory puntano a strappare ai laboristi, May ha dichiarato: “Non crediamo nei liberi mercati incontrollati. Respingiamo il culto dell’individualismo egoista. Aborriamo la divisione sociale, l’ingiustizia, l’iniquita’ e la disuguaglianza. Consideriamo i rigidi dogmi e ideologie non solo inutili ma pericolosi”. Riguardo ai contenuti, sintetizza il quotidiano “The Guardian”, sulla Brexit si ribadisce che “nessun accordo e’ meglio di un cattivo accordo” e si annuncia un disegno per abrogare la legge che ha incorporato il diritto comunitario nell’ordinamento nazionale; si conferma, inoltre, l’obiettivo di ridurre il saldo migratorio sotto quota centomila. In materia fiscale viene promesso l’innalzamento della soglia di esenzione dalle imposte sul reddito, cosi’ come di quella dell’aliquota massima. La spesa per il servizio sanitario nazionale dovrebbe aumentare di otto miliardi di sterline in termini reali nei prossimi cinque anni. La “tripla tutela” per le pensioni sara’ sostituita da una “doppia tutela”: la rivalutazione continuera’ a essere in linea con l’andamento dei salari e dell’inflazione, ma non sara’ piu’ garantito l’aumento minimo del 2,5 per cento. Gli anziani dovranno pagare di piu’ per l’assistenza sociale domiciliare. Molto ricche le pagine dei commenti. Gli editoriali non firmati, attribuibili alle direzioni, con valutazioni diverse, vedono la fine del thatcherismo e l’inizio del “maysmo”. Per il “Financial Times” non ci sono dubbi sul tipo di paese che May vuole costruire: insieme a quella liberista di Margaret Thatcher sono state respinte tutte le ideologie, nel chiaro tentativo di occupare il centro: una risposta alle divisioni sociali evidenziate dal referendum sull’appartenenza all’Unione Europea, ma anche allo spostamento a sinistra del Labour. Il suo approccio e’ piu’ interventista rispetto ai predecessori conservatori sia nell’economia che negli affari sociali. In alcune aree, pero’, sulla Brexit in particolare, si chiede agli elettori di firmare un assegno in bianco; inoltre, la mancanza di simpatia per le imprese stride col proposito di rendere piu’ forte l’economia. Per “The Guardian” e’ nato “un nuovo conservatorismo”: Theresa May, come il laborista Tony Blair nel 1997, e’ in sintonia con la maggioranza degli elettori, a sinistra sull’economia e a destra sulle questioni sociali. Cavalcare questo clima, tuttavia, comporta il rischio di chiudere la societa’ invece di aprirla. “The Times” giudica il programma “economicamente cauto, ma politicamente audace” e si aspetta che influenzera’ in modo determinante le politiche di centro dei prossimi anni, anche perche’ il Labour non e’ in grado di offrire un’alternativa. E’ possibile parlare di “maysmo”: una visione politica distinta, a sinistra del thatcherismo, che assegna un grande ruolo allo Stato come forza positiva. “The Independent” vede nel programma un chiaro tentativo di riposizionamento del partito intorno alla visione della sua leader e riconosce alcuni elementi di novita’ accanto a tradizionali assunti conservatori; e’ critico sulla vaghezza riguardante la Brexit e sottolinea che il destino del paese e’ piu’ nelle mani dell’Ue che in quelle di May. Per “The Telegraph” e’ “insieme” la parola chiave del programma (il cui slogan e’, appunto, “Avanti insieme”), che si rivolge a chi si sente lasciato indietro e che ha come scopo principale unire un paese diviso, un obiettivo che richiede l’enfasi sul pragmatismo piuttosto che sull’ideologia. Secondo il commento non viene respinto il conservatorismo in se’, ma i suoi cliche’s, anche se e’ vero che la Brexit ha innescato un processo di riallineamento nella politica. Non crede all’autenticita’ del cambiamento il “Mirror”, per il quale dietro le promesse di equita’ c’e’ la vecchia sostanza conservatrice, dalla quale non c’e’ da aspettarsi benefici per il paese, ma al contrario danni. Il settimanale “The Economist”, infine, si sofferma sul ruolo dello Stato piu’ invadente, una “minaccia” presente anche nei programmi di altri partiti, e sul probabile aumento delle tasse. Boccia l’idea di ripristinare le “grammar school”, i licei pubblici selettivi e critica l’obiettivo di ridurre il saldo migratorio sotto quota centomila, perche’ il mercato del lavoro sarebbe privato di risorse necessarie, e il piano per l’assistenza sociale, in cui il contributo a carico degli assistiti, eventualmente recuperabile post mortem, e’ determinato anche dal valore degli immobili di cui sono proprietari: “una tassa sulla morte sotto un altro nome”.
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Perche’ Israele ha bisogno di uno Stato palestinese
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Il tema di copertina dell’ultimo numero del settimanale britannico “The Economist” e’ l’eredita’ della Guerra dei sei giorni, nel cinquantesimo anniversario. Con una vittoria rapida e assoluta contro gli eserciti arabi, Israele conquisto’ i luoghi santi di Gerusalemme e delle storie bibliche. Tuttavia, insieme alla terra c’erano anche molti palestinesi, che non potevano essere ne’ espulsi ne’ assorbiti. Negli ultimi cinquant’anni Israele ha costruito insediamenti e tenuto i palestinesi sotto un’occupazione militare. I palestinesi hanno danneggiato la loro causa con decenni di violenza indiscriminata. Eppure l’espropriazione e’ un demerito di Israele, che si considera un modello di democrazia. Uno Stato palestinese e’ necessario da molto tempo. Invece di opporre resistenza, Israele dovrebbe promuoverlo: non solo perche’ il conflitto israelo-palestinese e’ il peggiore del Medio Oriente e la principale causa di instabilita’ dell’area, ma per preservare la propria democrazia. Inaspettatamente potrebbe aprirsi una nuova opportunita’ per la pace: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che sara’ in visita ufficiale in Israele il 22 e 23, ha detto di volere “l’accordo finale” e ha esortato il governo israeliano a frenare la costruzione degli insediamenti; ha promesso di trasferire l’ambasciata Usa a Gerusalemme, ma dovrebbe aspettare fino al riconoscimento della Palestina. I contorni dell’accordo di pace sono noti: i palestinesi dovrebbero accettare lo Stato israeliano, che in cambio dovrebbe acconsentire alla creazione di uno Stato palestinese nei territori occupati, che dovrebbero accogliere la maggioranza dei profughi palestinesi; Gerusalemme dovrebbe essere condivisa. E’ probabile, tuttavia, che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente palestinese, Mahmud Abbas, cercheranno di allungare il processo e di attribuire l’uno all’altro la responsabilita’ del fallimento. Trump, distratto da altre questioni, potrebbe perdere interesse. Netanyahu, al centro di diverse inchieste, potrebbe perdere il potere e Abbas, che ha 82 anni, morire. La creazione di uno Stato palestinese e’ la seconda meta’ della promessa della comunita’ internazionale di far nascere nell’ex protettorato britannico due Stati, promessa non mantenuta per decenni a causa degli estremisti di entrambe le parti. Anche oggi la maggior parte degli israeliani non sembra avere fretta: la sicurezza e’ migliorata, l’economia e’ in espansione e alcuni Stati arabi corteggiano Israele in chiave anti-iraniana. I palestinesi, invece, sono deboli e divisi e il moderato Abbas e’ impopolare. Eppure l’assoggettamento infinito dei palestinesi finira’ per erodere la posizione di Israele all’estero e danneggera’ la sua democrazia in patria. I suoi politici si stanno orientando verso uno “sciovinismo etnico-religioso”, cercando di emarginare gli arabi e gli ebrei di sinistra, compresi gli attivisti per i diritti umani. Mentre Israele si arricchisce, l’impoverimento dei palestinesi diventa sempre piu’ disturbante. Per salvare la democrazia ed evitare la deriva verso il razzismo o addirittura l’apartheid, Israele deve rinunciare alle terre occupate: uno Stato palestinese e’ vitale per il suo futuro; solo quando sara’ nata la Palestina la vittoria del 1967 sara’ completa.
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Francia, niente “luna di miele” per il governo Macron-Philippe
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Contrariamente alla tradizione, il neo presidente Emmanuel Macron ed il suo primo ministro Edouard Philippe non godranno di un periodo di “luna di miele” presso l’opinione pubblica francese: lo sostiene un sondaggio realizzato dalla societa’ di rilevazioni statistiche Elabe pubblicato dal quotidiano conservatore “Le Figaro”. Secondo il sondaggio, realizzato tra il 16 ed il 17 maggio intervistando un campione di 999 cittadini, il 45 per cento dei francesi “ha fiducia” in Macron, ma il 46 per cento “non si fida” ed il 9 per cento non si e’ fatta un’opinione su di lui; Francois Hollande all’inizio del suo quinquennato nel 2012 godeva della fiducia del 58 per cento degli elettori, il suo predecessore Nicolas Sarkozy del 59 per cento e Jacques Chirac del 61 per cento nel 1995. Non va meglio per il neo primo ministro Edouard Philippe, che paga la sua scarsa notorieta’ a livello nazionale: solo il 36 per cento degli intervistati dice di avere fiducia in lui ed il 26 per cento si dicono “senza opinione”; il premier Jean-Marc Ayrault al suo arrivo a Matignon nel 2012 godeva della fiducia del 56 per cento dei francesi. Il sondaggio suona come un campanello d’allarme Macron e Philppe, una doccia fredda sugli entusiasmi pressoche’ unanimi espressi dai mass media per la coppia di governo che ha scombussolato con la sua novita’ la politica francese. Il tasso di popolarita’ relativamente basso, tuttavia, secondo un altro sondaggio realizzato dal 15 al 17 maggio dalla societa’ Harris Interactive su un campione di 5.015 persone non impedira’ a molti elettori di votare alle elezioni parlamentari dell’11 e 18 giungo prossimo a favore dei candidati presentati dal partito del neo presidente, La Re’publique en Marche (Lrem, “La Repubblica in Marcia”; ndr): il 32 per cento degli intervistati si dice intenzionato a farlo, in aumento rispetto alle precedenti rilevazioni e soprattutto ben 8 punti percentuali aldisopra del risultato ottenuto da Macron al primo turno delle elezioni presidenziali il 23 aprile scorso. Secondo questo sondaggio, i partiti del centro-destra (I Repubblicani e l’Udi) sarebbero in calo al 19 per cento, come pure il Front national; la lista di estrema sinistra “France insoumise” (“Francia non-sottomessa”, ndr) di Jean-Luc Me’lenchon sarebbe invece in leggera ascesa al 15 per cento delle intenzioni di voto; mentre infine il Partito socialista proseguirebbe la sua discesa all’inferno con appena il 6 per cento.
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Germania-Turchia, ministro Esteri turco Cavusoglu su permanenza contingente tedesco: “Se ne vadano pure”
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha gettato un guanto di sfida alla Germania, spronandola a ritirare il proprio contingente militare dalla base aerea turca di Incirlik. “Se vogliono andare, questo e’ affar loro. Noi non chiediamo l’elemosina”, ha dichiarato il ministro al canale turco “Ntv”. “Sono stati loro a voler venire, e noi abbiamo acconsentito. Se vogliono andare, daremo loro l’arrivederci”. In Germania aumentano le richieste politiche di ritirare il contingente militare schierato in Turchia a sostegno della coalizione internazionale contro lo Stato islamico, dopo l’ennesimo divieto opposto da Ankara alla visita di una delegazione parlamentare tedesca presso la base. Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, sara’ in Giordania questo venerdi’: la visita e’ programmata da mesi, ma potrebbe costituire l’occasione per valutare con Amman il trasferimento del contingente tedesco in quel paese. A Washington, il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel ha chiesto agli Stati Uniti di tutelare gli interessi tedeschi nei confronti della Turchia. Gabriel ha minacciato il ritiro del contingente tedesco dalla base turca della Nato di Incirlik, e in particolare il ritiro dei velivoli Awacs per il controllo e l’allarme aereo. Il ritiro dei velivoli tedeschi per la sorveglianza dello spazio aereo comporterebbe un significativo problema logistico per il coordinamento della campagna aerea multinazionale contro lo Stato islamico. Il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha rifiutato di entrare nel merito della controversia che oppone i due paesi alleati, ed ha chiesto che la questione sia risolta a livello bilaterale. Il ministro degli Esteri tedesco non ha apprezzato la posizione di Stoltenberg: “Penso che sia molto piu’ di un problema bilaterale”, ha dichiarato, aggiungendo che il vertice della Nato della prossima settimana sarebbe una “opportunita’ ideale” per risolvere la questione. Il governo turco accusa la Germania, che ha recentemente concesso l’asilo politico a 400 titolari di passaporti diplomatici turchi, di dare appoggio ai responsabili del colpo di Stato fallito dello scorso luglio.
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Siria, la Germania declina la responsabilita’ per le vittime civili dei raid Usa
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – I Tornado tedeschi impegnati in missioni di ricognizione aerea contro lo Stato islamico forniscono foto e mappe dei territori siriano ed iracheno da un anno e mezzo. Due deputati dei Verdi, Katja Keul e Omid Nouripour hanno presentato alcune settimane fa un’interrogazione parlamentare in merito a un attacco aereo statunitense effettuato in Siria il 21 marzo scorso, di cui sono rimasti vittime oltre 30 civili. Il raid era stato effettuato sulla base delle informazioni raccolte dai ricognitori tedeschi: gli aerei partiti dalla base turca di Incirlik avevano sorvolato la cittadina di Mansura due giorni prima. Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Layen, attraverso il suo segretario parlamentare Ralf Brauksiepe ha pero’ ribadito che le Forze armate tedesche “non sono coinvolte nella determinazione delle destinazioni e degli obiettivi degli attacchi, ne’ delle armi da adottare, che rimangono prerogative degli altri membri della coalizione”. Il mandato parlamentare tedesco si limita alla raccolta e alla condivisione di informazioni: una volta che la Germania le ha trasmesse agli Stati Uniti, ha sottolineato Brauksiepe, non ha alcuna voce in capitolo sul loro impiego concreto. La giustificazione non ha soddisfatto Nouripour, secondo cui “il Governo federale sceglie di chiudere volutamente gli occhi riguardo l’utilizzo dei dati raccolti. Questo non lo assolve dalle colpe per le vittime civili dei raid aerei statunitensi”. Dall’aprile del 2015 i raid aerei della coalizione sulla Siria sospettati di aver causato vittime civili sono almeno 42. Dall’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, scrive il settimanale tedesco “Der Spiegel”, il numero delle vittime civili e’ aumentato, anche se ufficialmente non c’e’ ancora stata da parte Usa alcuna modifica delle regole di ingaggio.
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In Italia scompaiono le classi sociali tradizionali
19 mag 11:55 – (Agenzia Nova) – Se la fine della storia e’ una questione dibattuta per quel che riguarda i rapporti geopolitici, l’Istat ha proclamato la fine in Italia delle classi sociali tradizionali che da decenni incarnavano i rapporti economici: e’ questo il principale spunto che il corrispondente da Roma del quotidiano economico francese “Les Echos”, Olivier Tosseri, trae dal rapporto annuale sulla Penisola redatto dall’Istituto nazionale di statistiche. Secondo cui la classe operaia e la piccola borghesia non sarebbero piu’ delle categorie pertinenti: l’Istat infatti preferisce dividere la societa’ italiana in nove gruppi basandosi sul reddito, sul livello di studi e sulla cittadinanza, e non piu’ soltanto sul mestiere esercitato da ciascuno. Il rapporto ricorda come la classe operaia e la piccola borghesia “siano state sempre le classi fondamentali della struttura produttiva” dell’Italia, ma constata che “oggi la prima ha perso il ruolo di vettore dell’uguaglianza sociale e la seconda non guida piu’ il cambiamento e l’evoluzione sociale”: nel paese “si assiste dunque ad una perdita di identita’ di classe provocata dalla precarizzazione ed alla frammentazione dei percorsi professionali”. Restano particolarmente pertinenti invece due altre categorie sociali, che raccolgono la gran parte della popolazione italiana in via di invecchiamento: quella dei lavoratori dipendenti e quella dei pensionati. La scomparsa delle classi sociali tradizionali pero’ non significa la scomparsa delle disuguaglianze: che al contrario sono esplose, come sottolinea l’Istat, soprattutto in base all’eta’. L’Italia cosi’ ha detronizzato la Germania come la nazione europea con la piu’ alta eta’ media dei suoi abitanti; i quali potranno ricordarsi dell’epoca in cui operai e piccolo borghesi esistevano ancora.
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