Trump annuncia nuove tariffe sulle importazioni da Cina, Messico e Canada
Il vincitore delle recenti elezioni presidenziali degli Stati Uniti di novembre, Donald Trump, è tornato a minacciare nuovi dazi commerciali verso la Cina, il Messico e il Canada, per fermare il traffico di droga e i flussi migratori definiti dall’amministrazione americana come illegali.
L’annuncio l’ha fatto sul suo social Truth, ipotizzando un’ulteriore tariffa del 10% su tutti i suoi prodotti esportati da Pechino verso gli Stati Uniti, almeno finché non metterà fine al traffico di droga, in particolare di Fentanyl.
Secondo l’accusa di Trump, tali stupefacenti arrivano in Messico dalla Cina, per poi passare negli Stati Uniti: “Finché non smetteranno, addebiteremo alla Cina un’ulteriore tariffa del 10%, oltre a qualsiasi tariffa aggiuntiva, su tutti i suoi numerosi prodotti che entrano negli Stati Uniti d’America“.
A giugno, il procuratore capo della Cina ha esortato i funzionari delle forze dell’ordine a concentrarsi sulla lotta al traffico di droga, mentre Pechino e Washington hanno rivelato una rara indagine congiunta sul fenomeno.
Ad agosto, pochi giorni dopo una riunione di un gruppo di lavoro congiunto per la lotta al narcotraffico, la Cina ha dichiarato che avrebbe rafforzato i controlli su tre sostanze chimiche essenziali per la produzione di fentanyl.
Altre tariffe del 25% saranno addebitate a Messico e Canada sempre per traffico di stupefacenti e per i flussi di migranti considerati illegali.
America First, ma attenzione ai dazi che si trasformano in tasse sull’economia nazionale
Trump non entrerà alla Casa Bianca prima del 20 gennaio 2025 e già, ovviamente, minaccia dazi commerciali molto pesanti, in grado di cambiare gli equilibri commerciali mondiali.
Lo stesso piano “America First” del presidente eletto Trump rischia di avere contraccolpi forti all’interno della politica nazionale. Basta pensare ai dazi imposti sui prodotti importati nel settore delle tecnologie green, anche qui soprattutto dalla Cina, che potrebbero a dir poco rallentare la transizione energetica ed ecologica degli Stati Uniti.
Durante la campagna elettorale, Trump si è impegnato a promulgare tariffe generalizzate dal 10% al 20% su tutti i prodotti esteri, tariffe dal 60% al 100% sui prodotti cinesi e tariffe dal 25% al 100% sui prodotti provenienti dal Messico.
In quest’ultimo caso per impedire il flusso di merci provenienti da aziende cinesi che stanno aprendo proprio in Messico stabilimenti di produzione e in parte per costringere il Messico a fermare l’immigrazione negli Stati Uniti.
I dazi si trasformano facilmente in prezzi più alti alle imprese americane e ai consumatori, per acquistare batterie, veicoli elettrici e lo stesso acciaio utilizzato per costruire parchi solari, impianti geotermici, impianti nucleari, nuove reti elettriche e molto altro.
I dazi, cioè, sono sempre un boomerang: ideati per colpire Paesi rivali, si trasformano poi in tasse interne pagate dalle aziende e dai consumatori sotto forma di prezzi più alti.
Politiche commerciali di questo tipo possono inatti stimolare la crescita dell’inflazione, innescare politiche commerciali di ritorsione, frenare gli investimenti e rallentare o indebolire l’economia nazionale.
Le batterie
Prendiamo come esempio i dazi che già esistono sulle batterie made in China importate negli USA e quelli minacciati da Trump.
Le tariffe proposte da Trump dal 60% al 100% sulle batterie per veicoli elettrici supererebbero di gran lunga quelle attualmente in vigore al 28,4%. Su un acquisto da 4 miliardi di dollari, le tasse di confine ammonterebbero a 2,4 miliardi di dollari nel migliore dei casi, oltre i 4 miliardi nel peggiore.
Secondo Antoine Vagneur-Jones, responsabile del commercio e delle catene di fornitura presso BloombergNEF, anche con una tariffa del 60%, le batterie cinesi sono così economiche che rimarrebbero competitive in termini di costi con quelle prodotte negli Stati Uniti. Ma ciò rappresenterebbe comunque un grande salto rispetto ai costi attuali per le aziende, che devono acquistare batterie per veicoli elettrici, sistemi solari domestici o impianti di accumulo.
Come ricordato dalla rivista del MIT Technology Review, la Cina domina in assoluto il settore delle batterie. Secondo un rapporto del 2022 dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, il paese produce circa l’85% degli anodi per batterie a livello globale, il 70% dei catodi e il 75% delle celle per batterie.
Inoltre, più della metà della lavorazione globale di litio, cobalto e grafite, minerali chiave utilizzati per produrre batterie agli ioni di litio, avviene in Cina.
Ne consegue che le aziende statunitensi avrebbero percorsi limitati per acquistare tali batterie da altre fonti a volumi simili.
L’acciaio
Stesso discorso per l’acciaio, utilizzato in quasi ogni singolo progetto di cleantech o climate-tech. Forte e durevole, costituisce parti vitali di turbine eoliche, centrali idroelettriche e parchi solari.
Secondo i dati del Global Steel Trade Monitor dell’International Trade Administration, l’anno scorso gli Stati Uniti hanno importato dal Messico 3,8 milioni di tonnellate di “prodotti siderurgici” per un valore di 4,2 miliardi di dollari.
Una tariffa dal 25% al 100% sull’acciaio costerebbe alle aziende statunitensi un extra che potrebbe andare da 1,1 miliardi a 4,2 miliardi di dollari.
All’inizio di quest’anno, l’amministrazione Biden aveva già imposto una tariffa del 25% sulle importazioni di acciaio dal Messico.
Certo, esiste una produzione nazionale di acciaio, che consentirà a molte aziende, in particolare quelle che ricevono prestiti e sovvenzioni federali, o che hanno avuto accesso a incentivi fiscali, di approvvigionarsi senza subire la scure dei dazi.
Il problema è che anche in questo caso la competizione per assicurarsi le limitate forniture di acciaio nazionale è destinata a farsi più intensa e con risvolti inevitabili in termini di aumento dei costi e dei prezzi. Gli Stati Uniti hanno dominato la produzione mondiale di acciaio per gran parte del secolo scorso, ma ora si classificano al quarto posto, con una produzione pari ad un dodicesimo di quella cinese nel 2023, secondo la World Steel Association.
I veicoli elettrici
Per i veicoli elettrici la questione si fa ancora più pesante per gli Stati Uniti, che risultare essere il più grande importatore di veicoli elettrici al mondo, con un acquisto di circa 44 miliardi di dollari di auto e camion a batteria, ibridi e ibridi plug-in, secondo l’Organizzazione mondiale del commercio.
Gli Stati Uniti rappresentano il più grande mercato di esportazione per Germania e Corea del Sud, secondo BloombergNEF.
Se Trump applicasse una tariffa dal 10% al 20% su tutti i beni esteri, ciò comporterebbe costi aggiuntivi compresi tra 4,4 e 8,8 miliardi di dollari per lo stesso volume di acquisti di veicoli elettrici avvenuto durante il 2023.
Le ulteriori tariffe annunciate sulle importazioni dal Messico non farebbero che peggiorare questa situazione, perché da lì viene una fetta importante dei veicoli elettrici importanti negli Stati Uniti, circa 100 mila vetture prodotte oltre confine, tra l’altro, da Ford e Chevrolet, secondo la Mexican Automotive Industry Association.
E proprio in Messico andranno a produrre anche altri famosi marchi, come BMW e Tesla, comprese aziende cinesi del calibro di BYD e Jetour.
L’abrogazione delle principali disposizioni contenute nella legge sul clima voluta dal presidente ancora in carica, Joe Biden, andrebbe contro l’obiettivo di contrastare il predominio della Cina, poiché quegli incentivi federali hanno già innescato un boom di sviluppo per progetti per produrre batterie e veicoli elettrici negli Stati Uniti, afferma Albert Gore, direttore esecutivo della Zero Emission Transportation Association.
Anche in questo caso, si potrebbero perdere molti investimenti diretti negli Stati Uniti.
Se applicate in modo sensato, le tariffe possono aiutare alcune industrie nazionali, consentendo alle aziende di competere con i costi più bassi dei produttori esteri. Le stesse aziende americane di tecnologie pulite e i produttori di energia solare come First Solar e Swift Solar, si sono espressi a favore di restrizioni commerciali anche più severe.