Pubblichiamo di seguito la traccia dei lavori del secondo Panel del workshop promosso dalla Fondazione Magna Charta e dal Centro Studi Americani che si terrà in occasione della Conferenza Internazionale sulle Relazioni Transatlantiche “Revisiting the West in the new ‘global disorder’”. L’evento si terrà giovedì 4 dicembre ore 9.00 nella Sala Montezemolo, Palazzo Salviati, Centro Alti Studi Difesa (CASD), Piazza della Rovere 83, Roma.
In un periodo storico segnato da oggettive difficoltà di ordine economico, l’influenza internazionale dell’Italia è certamente diminuita. Negli ultimi dieci anni, anche a seguito della cessione di sovranità statale all’Unione Europea, molte delle prerogative che un tempo davano credito politico alla nazione hanno smesso di esprimersi positivamente, impedendo al nostro Paese di pesare nel “mondo globale”.
Oggi le maggiori potenzialità dell’Italia sono sopite e drammaticamente inespresse.
In effetti, la maggiore o minore forza economica di una nazione produce la maggiore o minore incidenza politica di uno Stato, aumentando o diminuendo il suo Hard Power.
Il filosofo Robert Dahl ne specifica così i caratteri generali, definendo il potere esclusivamente come la capacità concreta di esercitare effetti più o meno grandi sugli altri. Ciò nonostante, Steven Lukes ha osservato che vi sono altri due diversi modi in cui si esprime il potere di una comunità. Il primo è legato all’abilità del Governo nel disinnescare i conflitti interni e a far convergere i divergenti interessi individuali verso obiettivi comunitari, facendoli valere a livello internazionale. Analogamente alla precedente anche questa seconda dimensione del potere si genera a contatto con la società civile, sebbene si traduca poi in un’azione di superiore portata rispetto alla prestanza concreta del Paese. Una prestigiosa politica estera, per esempio, può sempre produrre risultati sovrastanti la reale incidenza economica e militare di uno Stato.
E’, tuttavia, solo arrivando alla terza dimensione del potere che si scoprono le reali virtualità che una nazione come l’Italia nasconde. Quest’ultima sfera si presenta inizialmente come un Soft Power, cioè come una capacità d’incidenza sotterranea, quasi invisibile, non quantificabile in modo preciso: un potenziale che rivela, però, la sua forza dirompente nel valore rappresentativo di un Paese, cioè nella consapevolezza generale della sua importanza storica, artistica, scientifica, religiosa e culturale.
Anche in assenza di materie prime e di politiche industriali concrete e competitive, l’Italia potrebbe, in effetti, attrarre investimenti, garantirsi aree d’influenza economica, assumere un ruolo internazionale unico ed esclusivo, ottimizzando in modo opportuno il valore politico che la sua posizione geografica mette a disposizione dell’Europa nel Mediterraneo. E’ comprensibile, d’altronde, che in un mondo globalizzato, contrassegnato da contatti continui tra le civiltà, spostamenti repentini e semplificati di popolazioni, investire sulla terza dimensione del potere acquisisca un rilievo politico eccezionale, specie per un Paese come l’Italia circondato da confini marittimi.
Il Soft Power, dunque, nell’ottica di un’articolata analisi tridimensionale del potere, può trasformarsi per l’Italia in un vero e proprio Hard Power. Le condizioni necessariamente richieste sono, però, che vi sia una diffusa coscienza nazionale e che vi sia una politica stabile che esprima direttamente, anche a livello internazionale, la volontà popolare, rappresentando e valorizzando adeguatamente l’interesse comune degli italiani. Il vero potenziale dell’Italia è, in definitiva, l’“italianità”, vale a dire una difesa viva della sua eredità permanente, tutelando i prodotti, trasmettendo le qualità personali e la stabilità del suo stile di vita, in modo da attrarre così investimenti esteri che riattivino il mercato interno.
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