Il passaggio ad un’economia più pulita, basta sull’efficienza energetica, l’impiego di fonti rinnovabili e idrogeno, la decarbonizzazione e l’utilizzo massiccio di nuove tecnologie, richiede prima di tutto competenze adeguate da parte del lavoratore, capacità e abilità all’altezza dei compiti da assegnare.
L’Europa del futuro e la mancanza di competenze
Il problema è che tali skills i dipendenti non li hanno ancora. I Commissari europei per il Lavoro, Nicolas Schmit, e per il Mercaot interno, Thierry Breton, hanno ospitato una tavola rotonda sul patto per le competenze con le parti interessate dell’industria ad alta intensità energetica, che si sono impegnate a trasformare i loro processi in modo da ridurre l’intensità di carbonio e preparare il terreno alla neutralità climatica.
Per realizzare le transizioni verde e digitale saranno necessari sviluppi tecnologici, investimenti e un ripensamento del modello di business, a cui si affianca il tema delle nuove competenze digitali e tecnologiche.
“La transizione a un’economia climaticamente neutra determinerà nuovi tipi di posti di lavoro che non esistono ancora e già da oggi ne trasformerà molti altri; saranno necessarie nuove competenze che i lavoratori non hanno ancora. La riqualificazione e il miglioramento del livello delle competenze rivestiranno pertanto un’importanza fondamentale nella transizione”, si legge in una nota stampa relativa all’incontro.
Per mitigare questa mancanza di lavoratori che possano ricoprire i posti di lavoro vacanti creati dalla transizione digitale, la Commissione ha proposto come obiettivo principale che entro il 2030 almeno il 60% di tutti gli adulti dell’UE partecipi ogni anno a iniziative di formazione.
I nuovi posti di lavoro ci sono, ma c’è il “talent shortage”
Un passo ritenuto da molti non sufficiente a colmare l’attuale fenomeno del talent shortage, cioè la difficoltà da parte dei datori di lavoro di trovare personale adatto alle esigenze dell’azienda, con le giuste competenze insomma.
Secondo dati Manpower riportati oggi in un articolo del Sole 24 Ore, su 42 aziende intervistate in tutto il mondo, il 69% dei datori di lavoro si dice in difficoltà a reperire il personale con le giuste competenze lavorative ed è il dato più alto dal 2006.
In Italia il livello di talent shortage raggiunge l’85%, posizionandosi dopo la Francia (88%) e la Romania (86%). I tassi più bassi, invece, si registrano in Cina (28%), Stati Uniti (32%) e India (43%).
Ovviamente le imprese non possono scaricare sui lavoratori tutti i mali del momento. È vero che c’è il tanto atteso rimbalzo in diversi settori chiave e che c’è una prima ripresa del mercato del lavoro, ma è chiaro che le aziende hanno grandi difficoltà a fare previsioni sul lungo termine, tant’è che dei 120 mila nuovi occupati di aprile 2021 la stragrande maggioranza di essi è a tempo determinato (+96mila contratti a termine: -47mila contratti a tempo indeterminato).