Il tradimento nei confronti del divino per permettere agli esseri umani di arrivare all’illuminazione – nel bene o nel male – è una costante nelle mitologie di tutto il mondo: Lucifero nella tradizione cristiana, Loki in quella nordica, Devadatta nel Buddhismo e, sopra, raffigurato come appare nel Codice Borgia (un manoscritto mesoamericano conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana), il dio azteco Quetzalcoatl, il ’Serpente piumato’.
Il tremendo ‘peccato’ di quest’ultimo – secondo una narrazione centroamericana – sarebbe stato quello di aver donato agli umani la conoscenza del cioccolato. Dopotutto, il cioccolato ha molte – forse moltissime – delle caratteristiche di una droga che non di rado dà perfino una sorta di assuefazione a chi lo consuma.
Arrivò in Europa – sotto forma di una bevanda stimolante, alla maniera mesoamericana – a seguito della conquista dell’Impero azteco da parte degli spagnoli attorno al 1521.
Fu molto apprezzato dalle classi ‘alte’ europee, al punto che, nel 1662, Papa Alessandro VII proclamò che il suo consumo fosse ammesso durante i digiuni dei fedeli.
Rimase a lungo solo una bevanda, perlopiù calda nell’uso europeo. Il cioccolato ‘allo stato solido’ è un’invenzione relativamente recente, del 1847, quando il chocolatier inglese Joseph Fry scoprì come dare al composto una forma modellabile, mescolando polvere di cacao e zucchero con il burro di cacao fuso, così creando il cioccolato ‘da mangiare’ e non solo da bere. Fu l’apoteosi…
Oggi in Olanda sono in corso ricerche intese a trovare la maniera di rendere il cioccolato ‘croccante’ senza dover ricorrere all’uso di altri ingredienti estranei come il riso soffiato, manipolandone la struttura attraverso la stampa 3-D. In Svizzera altri studiosi stanno lavorando invece sulle tecniche per depositare ologrammi decorativi sulla superficie dei cioccolatini. Poi, siccome la produzione del cioccolato richiede lo sfruttamento intensivo della manodopera umana, dei ricercatori dell’Università di Zurigo per le Scienze Applicate (ZHAW) lavorano sulla sua coltivazione in vitro.
Probabilmente in tutti i casi, i ‘puristi’ del cioccolato porranno delle obiezioni – ma è anche vero che – senza le continue trasformazioni – la ‘cioccolata’ liquida degli aztechi sarebbe ancora la sostanza che José de Acosta, un missionario ed esploratore gesuita spagnolo dai gusti difficili, descrisse nel tardo Cinquecento come: “…una pazzia apprezzata in quelle terre che disgusta chi non la conosce perché ha una schiuma vile sopra che ribolle come le feci…”