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Tra Rai e Cinema accelerazioni e frenate, ricompattamenti e frammentazioni

ESTERNO SEDE RAI MILANO CORSO SEMPIONE 27 ANTENNA TRALICCIO RIPETITORE WAY

La giornata di ieri (martedì 6 agosto) merita essere ricordata – nell’ambito delle italiche politiche culturali – perché sembrerebbe finalmente emersa una sintonia tra le forze dell’opposizione rispetto alla accelerazione che la maggioranza sembrava aver imposto ieri l’altro, calendarizzando per il giorno successivo all’apertura dei lavori parlamentari (mercoledì 11 settembre) l’elezione dei 4 membri del Consiglio di Amministrazione Rai a cura di Camera e Senato. 

Nel pomeriggio di ieri è stato diramato un comunicato congiunto firmato dai Capigruppo in Commissione Vigilanza di ben 5 partiti: Stefano Graziano (Pd), Dario Carotenuto (M5s), Maria Elena Boschi (Iv), Angelo Bonelli (Avs), Giuseppe De Cristofaro (Avs), Maria Stella Gelmini (Azione). Qualcuno ha addirittura titolato che si tratterebbe di un ricompattamento del “campo largo”…

A questo punto, lo scontro è (sembra) esplicito, evidente, formalizzato: “nel prendere atto del rinvio a dopo la pausa estiva della votazione del Parlamento dei quattro membri del consiglio d’amministrazione della Rai, facciamo un appello alle forze di governo a riflettere sul da farsi. Appare evidente l’impasse sull’assetto dei nuovi vertici di viale Mazzini”. 

L’impasse è certamente evidente, ma francamente stupisce un po’ la prospettiva, che è ardita quanto complessa, ovvero modificare l’assetto della “governance” Rai, il che richiederebbe una legge di riforma, rispetto alla quale non ci sono proprio i numeri, fatta salva una disponibilità del centro-destra che sembra più teorica che pratica. 

Scrivono i rappresentanti dei 5 partiti: “come forze di opposizione, invitiamo la maggioranza a lavorare sin da subito alla riforma della governance aziendale. La crisi del servizio pubblico radiotelevisivo necessita di una presa di responsabilità da parte delle forze politiche e delle istituzioni in considerazione del valore che l’azienda Rai ha per il Paese”. 

Saggiamente, fanno riferimento al “Media Freedom Act”, sulla base del quale 4 dei 72 aspiranti consiglieri Rai hanno avviato ricorsi in sede di Tar e Consiglio di Stato: non è stata però accordata una “sospensiva” e quindi i ricorrenti attendono l’udienza pubblica fissata per il 23 ottobre, ma curiosamente le opposizioni non citano esplicitamente questa data: “con il via libera, avvenuto lo scorso marzo, da parte del Parlamento europeo al Media Freedom Act, l’attuale Legge 220/2015, che governa la Rai appare superata e necessita di una riforma che vada nella direzione di recepire la legge europea per la libertà dei media. L’obiettivo del Media Freedom Act è quello di proteggere l’indipendenza dei media, dei giornalisti, e di vietare qualsiasi forma di ingerenza impropria da parte della politica o della economia nelle decisioni editoriali. Il recepimento del Media Freedom Act nel nostro Paese diventa, quindi, ancora più urgente, proprio in relazione al futuro della Rai considerato che, quand’anche si procedesse alla nomina dei nuovi vertici con l’attuale criterio, entro il 2025, comunque bisognerebbe procedere ad una revisione imposta proprio dalla normativa approvata in sede comunitaria”. 

Questa affermazione emerge quindi un po’ ambigua: che significa “quand’anche si procedesse alla nomina…”?

Verosimilmente, a questa nomina alias elezione alias cooptazione (questo è in assenza di procedura comparativa sui 72 curricula) non si potrà procedere, se le opposizioni… giustappunto, si opporranno! 

La “spada di Damocle” dell’udienza del Tar del Lazio del 23 ottobre sul nuovo Cda della Rai

Ed i sei esponenti politici così concludono: “rivolgiamo un invito a tutte le forze politiche di procedere ad un confronto per una riforma organica della governance della Rai nella direzione del Media Freedom Act, prima di procedere alla nomina dei nuovi vertici, per evitare una ennesima lottizzazione e per consentire al servizio pubblico di rilanciarsi nella sua mission preservando le proprie prerogative di pluralismo, autonomia e indipendenza nell’interesse generale della libera informazione come garantito dalla nostra Costituzione. Si tratta di una sfida dalla quale nessuno può sottrarsi. Potremmo gettare le basi del confronto parlamentare negli Stati Generali della Rai dove possano partecipare istituzioni, forze politiche e sociali interessate al rilancio del servizio pubblico”.

E qui emerge un discreto sconforto, perché di questi “Stati Generali” della Rai si parla da molto tempo, fin dall’avvio della legislatura, ma – nonostante gli annunci (generici, peraltro) – della Presidente della Vigilanza, Barbara Floridia(M5s), si tratta di un intendimento retorico quanto evanescente.

Non siamo politologici di mestiere, ma riteniamo (vogliamo ritenere) che questa presa di posizione stia comunque a significare che le opposizioni non accetteranno che giovedì 12 settembre 2024 si proceda alle elezioni da parte di Camera e Senato. 

Quindi è verosimile che un naturale slittamento di calendario parlamentare possa consentire di saggiamente attendere mercoledì 23 ottobre, ovvero l’esito dell’udienza di fronte al Tar del Lazio…

Nel mentre, certamente crescerà il toto-nomine: chi redige queste note scommette sull’accoppiata Simona Agnes Presidente e Giampaolo Rossi Amministratore Delegato.

L’altra notizia di ieri è una rinnovata posizione critica della senatrice Vincenza Aloisio del Movimento 5 Stelle sul tema Tax Credit e dintorni, che in serata ha diramato un comunicato dal seguente tenore, rilanciando un proprio intervento in Aula: “sono intervenuta in aula gettando luce sulle scellerate politiche che il Governo attuale sta adottando, danneggiando settori chiave della cultura italiana, come l’audiovisivo e i grandi eventi culturali. La recente approvazione del Decreto Tax credit ha giustamente scatenato una forte protesta da parte dei lavoratori del settore, in quanto il provvedimento rema in direzione opposta rispetto alle piccole e medie imprese mentre favorisce le grandi produzioni straniere. Pertanto ho chiesto alla maggioranza di aprire un tavolo di confronto con le associazioni di settore, così da trovare una soluzione condivisa che tenga conto delle esigenze delle imprese e dei lavoratori”.

Ahinoi… sulla base della nostra ultratrentennale esperienza (di ricercatori sociali prima che da giornalisti investigativi), quando leggiamo di formule come “tavolo di confronto” veniamo presi da un discreto sconforto, perché sembra una modalità per evitare lo scontro, limitare la dialettica, in un (nobile?) tentativo di mediazione. Un po’ come gli “stati generali”… E, potremmo aggiungere anche “gruppo di lavoro” e finanche “piattaforma di dibattito”… Il politichese di queste formule evidenzia la volontà di sfuggire ad un confronto netto (e magari anche duro, quando necessario) tra contrapposte posizioni.

Elisabetta Piccolotti (Avs): “Tax Credit: il Governo liscia il pelo ai grandi player del mercato a svantaggio dei piccoli”

Nel pomeriggio di ieri è però emersa anche la voce di un’altra esponente dell’opposizione, la quale invita il Governo – anche lei, ahinoi – ad “tavolo di confronto” (?!). Ha dichiarato la deputata Elisabetta Piccolotti, esponente dell’Alleanza Verdi Sinistra (Avs) in Commissione Cultura della Camera: “come avviene in tutti i settori, questo governo fa gli interessi e liscia il pelo ai grandi player del mercato a svantaggio dei piccoli che confidavano nel tax credit per poter impostare un minimo di programmazione per gli anni a venire. Che il Ministro Sangiuliano e il Governo Meloni snobbino i lavoratori dell’audiovisivo era chiaro: ad esempio, quando si è trattato di avviare l’indennità di discontinuità, lo hanno fatto in un modo che non risolve né il problema della precarietà, né quello dell’indigenza di tanti lavoratori e lavoratrici dello spettacolo (…) Tutti pronti a esaltare il genio italico quando si vincono Oscar e Palme d’Oro, ma poi nessuna politica per tutelare produzioni e talenti che a quei riconoscimenti possono arrivare. Serve subito un tavolo di confronto con le principali associazioni di categoria perché si possa discutere delle misure necessarie alla sopravvivenza del nostro cinema. Come Alleanza Verdi e Sinistra, abbiamo presentato in Parlamento un ordine del giorno che impegna il Governo ad aprire questa fase, speriamo lo approvino. Almeno questo”.

Come dire?! Un “tavolo di confronto” non lo si nega a nessuno: può anche darsi che il Ministro Gennaro Sangiuliano e la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni accettino l’impavida proposta… 

Ed a questo proposito, chi cura per IsICult questa rubrica “ilprincipenudo” per il quotidiano online “Key4biz” sente l’esigenza di una parziale… “correzione di rotta” rispetto all’articolo pubblicato ieri l’altro (lunedì 5 agosto), dal titolo fiammeggiante: vedi “Key4biz” del 5 agosto 2024, “Industria cine-audiovisivo in sommossa: sciopero al Festival di Venezia?”. Non una “rettifica” ma una opportuna “integrazione” informativa.

Quell’intervento di IsICult era dettato da una serie di osservazioni “sul campo” (come direbbe un ricercatore sociale), registrate in conversazioni telefoniche e soprattutto rivedendo la video-registrazione del seminario (“webinar”) tenutosi domenica mattina 4 agosto, promosso dal produttore ed organizzatore culturale Emanuele Caruso di Obiettivo Cinema srl, al quale hanno partecipato esponenti di diverse associazioni, inclusi i produttori indipendenti di AgiciCnaConfartigianato… Da quel dibattito, era emersa evidente una insofferenza diffusa, una lamentazione generale, una tendenza ad organizzare iniziative di protesta, anche plateali, come la proclamazione di uno sciopero sul “red carpet” della Mostra del Cinema di Venezia.

“Errata corrige”? Sciopero al Festival di Venezia? Forse sì, forse no. Alcune associazioni si dichiarano soddisfatte dell’incontro del 1° agosto con la Sottosegretaria Borgonzoni

Ci siamo sbagliati? Forse sì, forse no.

Ed è giusto rendere conto ai lettori: ieri martedì è pervenuto un documento (che risulta stilato nella mattinata, ma reca la data del 2 agosto 2024) che ci ha lasciato un po’ sconcertati, perché propone un resoconto dell’incontro di giovedì 1° agosto al Ministero della Cultura piuttosto positivo: tutt’altro che battagliero, e certamente non “barricadero”…

Lo spirito deontologico e la passione civile che ci animano caratterizzano da sempre questa rubrica e l’attività dell’ Istituto italiano per l’Industria Culturale: analizziamo le politiche (e le tecniche) culturali con severità, tecnicalità, indipendenza. E crediamo: oggettività. 

Se siamo stati sempre molto critici nei confronti dell’ex Ministro il “dem” Dario Franceschini, non risparmiamo le armi della critica nei confronti del Ministro Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia) e della sua Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni (Lega Salvini).

Se abbiamo registrato insoddisfazione ed insofferenza ovvero sofferenza da parte di molti esponenti del settore – sicuramente gli attivisti del neomovimento Siamoaititolidicoda (che può essere considerato il vero motore del dissenso ed il promotore di inedite alleanze), guidato da Dario Indelicato ed anche da parte del Registro Attrici Attori Italiani (Raai), guidato da Raffaele Buranelli – dobbiamo rendere atto che le associazioni che hanno incontrato la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni giovedì scorso 1° agosto al Ministero della Cultura, si dichiarano “soddisfatti” per l’apertura di credito manifestata dalla senatrice e dal Direttore Generale Nicola Borrelli. Quel che è giusto, è giusto: giornalisticamente e civilmente.

I “soddisfatti”: Agici, Anica (Unione Produttori), Apa, Cna, Confartigianato. Gli “insoddisfatti”: Siamoaititolidicoda, Registro Attrici Attori Italiani, ed altri ancora, ma…

Questi sono i… “soddisfatti”: AgiciAnica (Unione Produttori), ApaCna Cinema e Audiovisivo e ConfartigianatoCinema e Audiovisivo, che “esprimono soddisfazione a seguito del confronto che ha avuto luogo ieri, giovedì 1° agosto 2024, presso il Ministero della cultura, alla presenza del Sottosegretario Lucia Borgonzoni e del Direttore della Dgca Nicola Borrelli, in merito alla riforma del tax credit” (il documento di resoconto reca la data del 2 agosto, appunto).

Il tono è positivo, bonario, costruttivo. Il testo si presenta indiscutibilmente come “documento unitario”.

Dialogante e morbido: “le Associazioni rilevano una positiva apertura del Ministero rispetto alle esigenze di chiarire in termini interpretativi alcuni aspetti della bozza di tax credit circolata negli ultimi giorni e attualmente alla registrazione della Corte dei Conti, così come la disponibilità a disciplinare alcune fattispecie all’interno dei decreti direttoriali, in modo da consentire un equo impatto della riforma su tutte le tipologie di imprese, in particolare preservando le esigenze dei produttori indipendenti di micro, piccola e media dimensione”.

Che questa soddisfazione sia espressa da Anica ed Apa… non (ci) stupisce, dato che si tratta di un decreto che colpisce più i piccoli che i grossi e queste due associazioni (entrambe aderenti a Confindustria Cultura) hanno più “big player” che produttori indipendenti tra i propri associati. “En passant”: tra gli associati ad AnicaNetflixAmazonTim… senza dimenticare – ovviamente – le “major”, vecchie e nuove, come Warner Bros Discovery o come Wildside alias Fremantle alias Bertelsmann

Che stessa soddisfazione sia espressa da Cna e Confartigianato ed Agici… stupisce non poco!

E, comunque, qualcosa non quadra: il Decreto “Tax Credit Produzione” è stato firmato il 10 luglio da due ministri (Gennaro Sangiuliano e Giancarlo Giorgetti), bollinato dalla Ragioneria dello Stato, certo… è andato alla Corte dei Conti ma “d’ufficio” (Corte, che, nel caso in ispecie, non manifesterà alcun rilievo).

In sintesi: il decreto interministeriale è immodificabile. Punto. 

La “disponibilità” mostrata dal Ministero della Cultura nella riunione del 1° agosto appare piuttosto… tardiva.

Abbiamo spiegato (pur non essendo titolari di una cattedra in diritto amministrativo) che i “decreti direttoriali” possono forzare una qualche interpretazione dell’atto di rango superiore, ma non possono sconvolgerlo o andare contro il suo dettato. 

Quindi, il margine “di manovra” è veramente modestissimo, al di là della dichiarazione di disponibilità manifestata da Sottosegretaria e Direttore Generale.

Ulteriori “cahiers de doléances”, ma il Decreto Tax Credit Produzione del 10 luglio è immodificabile

Gli “aggiustamenti” richiesti dalle associazioni appaiono comunque “off limits”, ma, per dovere di cronaca giornalistica, qui di seguito li riportiamo. Scrivono Agici, Anica (Unione Produttori), Apa, Cna Cinema e Audiovisivo, Confartigianato Cinema e Audiovisivo: “si è parlato tra l’altro, a titolo non esaustivo, di questi argomenti: “1.) la definizione di primaria società di distribuzione; 2.) le disposizioni sulla programmazione in sala, con particolare riguardo alle opere con budget inferiore ai 1,5 milioni (opere difficili con modeste risorse finanziarie); 3.) i criteri minimi di circuitazione; 4.) le opere beneficiarie di contributo selettivo negli anni passati in relazione alle tempistiche di pubblicazione dei bandi e delle relative graduatorie 2024; 5.) la tipologia di risorse private necessarie a garantire la copertura del 40 % o 50 % del budget; 6.) la specificazione del mantenimento della titolarità dei diritti di elaborazione creativa; 7.) la specificazione dei diritti Avod e Fvod; 8.) ulteriori specificazioni di fornitore Smav; 9.) gli obblighi di investimento di un importo equivalente al tax credit; 10.) le tempistiche e le modalità di presentazione della domanda”.

Come dire?! Un simpatico dossier: si tratta di ulteriori “cahiers de doléances”… che si scontrano con il dettato del decreto già bello che perfezionato. 

Ci sembra una sorta di paradosso. Cosa fatta, capo ha. 

Ma – suvvia! – il Ministero della Cultura dialoga: un po’ tardivamente, forse, ma “dialoga”. E non soltanto con Anica ed Apa.

Dialoga sulla base di un decreto già firmato, protocollato, bollinato.

E concludono, i “soddisfatti”: “le Associazioni auspicano che il positivo confronto prosegua fattivamente anche nella fase di definizione dei decreti direttoriali e di riscrittura degli altri decreti afferenti la legge 220/2016”. 

E nulla però dicono le associazioni del Decreto “Contributi Selettivi” che, questo sì, è ancora in bozza; documento che IsICult e Key4biz hanno deciso di “pubblicizzare”, superando la fase di circolazione semi-clandestina, per stimolarne il pubblico dibattito: vedi “Key4biz” di venerdì 2 agosto 2024, “Cine-audiovisivo, la bozza del “Decreto Contributi Selettivi””. Documento peraltro approvato, ma con riserva, dal Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo (il Csca presieduto dall’avvocatessa Francesca Assumma), nella sua ultima riunione del 29 luglio scorso.  

Sarà il caldo torrido, sarà il relax determinato dalle pause agostane… ma qualcosa non quadra

Non possiamo “ritrattare” la titolazione dell’articolo di lunedì 5 su “Key4biz”, ma, rebus sic stantibus, prevediamo che nessuno andrà a “rovinare” la “festa”, sul “red carpet” del Festival di Venezia.

Se in/sofferenza c’è, ed è diffusa e strisciante, essa non è esattamente… plateale. Certamente non è formalizzata in documenti scritti.

Il Ministro e la Sottosegretaria ed il Direttore Generale apprezzeranno, sorridendo. 

Lasciamo al lettore la valutazione finale: si è trattato di uno “specchietto per le allodole”, come ha sostenuto Simonetta Amenta (che della Agici – Associazione Generale Industrie Cine-Audiovisive Indipendenti alias Agici è Presidente) durante il seminario di domenica promosso da Emanuele Caruso (Obiettivo Cinema) oppure le associazioni hanno apprezzato realmente la disponibilità manifestata dal Ministero (Agici è tra coloro che si dichiarano “soddisfatti”)?!

Concludiamo questa edizione della rubrica IsICult per “Key4biz” con una ulteriore annotazione, stimolata da un’altra dichiarazione della senatrice Vincenza Aloisio (M5s), manifestata sempre ieri, in materia “connessa”, qual è quella dei festival cinematografici. Sempre ricordando quanto la politica culturale italica sia squilibrata: nel 2024, 436 milioni di euro per il Tax Credit e 7 (sette!) milioni di euro soltanto per tutti i Festival d’Italia (surreale!). Ha dichiarato: “da ultimo infatti, il Governo Meloni ha deciso di girare le spalle anche allo storico Giffoni Film Festival, dimezzando i finanziamenti e arrecando un danno non tanto al fondatore Gubitosi, ma a migliaia di ragazze e ragazzi che annualmente popolano quest’evento che, purtroppo, alla luce dei recenti tagli dell’Esecutivo, rischia di mandare a casa centinaia di lavoratori coinvolti. Pertanto urge porre l’attenzione sui criteri adottati dal Governo per l’erogazione dei fondi ai festival, auspicando che il Ministro Sangiuliano possa incontrare quanto prima il Patron del Festival di Giffoni”.

Riteniamo che la senatrice Aloisio commetta un errore, anzi più di uno: anzitutto, il decreto che introduce un tetto al finanziamento dei festival cinematografici da parte del Ministero della Cultura (decreto direttoriale n. 2351 del 21 giugno 2026) è a firma del Direttore Generale Nicola Borrelli ed è giusto ribadire che “Autorità Politica” ed “Amministrazione” non sono esattamente la stessa figura, istituzionalmente. Ad ognuno le sue proprie responsabilità, nella gestione della “res publica”. 

La decisione non è stata ancora formalmente assunta, perché questo “tetto” è stato introdotto in un decreto direttoriale che pubblicava un avviso pubblico, che è scaduto il 31 luglio scorso.

La decisione sulla quantificazione dei contributi ai Festival verrà assunta da una “Commissione Esperti” che non è stata ancora nominata (e sulla quale permane mistero assoluto). 

La (tanto attesa imminente novella…) “Commissione” è sì nominata dal Ministro ma opera (deve operare? dovrebbeoperare?!) in autonomia dall’autorità politica.

E comunque l’avviso in questione reca già dei “criteri” (parametri e punteggi) per l’assegnazione dei contributi. 

In sostanza, i criteri nella “quantificazione” dei contributi pubblici a favore dei festival cinematografici ci sono già, almeno sulla carta, ma talvolta (o spesso?!) non si comprende il nesso tra i punti assegnati dalla commissione e l’entità del finanziamento… 

Un esempio (tra i tanti possibili): il Festival del Cinema di Porretta Terme e la Settimana Internazionale della Critica a Venezia nell’anno 2022 hanno avuto lo stesso punteggio, con variazioni minime sui singoli criteri, che si compensano nel punteggio finale, eppure la Settimana ha beneficiato di 130.000 euro ed il Festival di 35.000…

Ed è quindi un po’ triste che chi difende Giffoni veda in sostanza, ed “a priori”, soltanto la (presunta) “castrazione” di Giffoni, e non il fatto che almeno altri 10 festival di identica qualità, prendano dieci volte di meno. 

In certi casi, 100 volte di meno! 

Senza dubbio – sia ben chiaro – Giffoni ha un’altra visibilità, anche perché con tutti quei soldi si permette di avere 300 ospiti (o quanti siano, e si rimanda anche alla voce “passerella” dei politici)… 

Senza che esista uno studio (indipendente) che dimostri come il festival abbia contribuito a creare un ecosistema sano, tra cultura e mestieri, tra “audience development” e risorse pubbliche, tra territorio e turismo culturale.

La gestione nasometrica della “politica culturale” determina sperequazioni e asimmetrie. In altre parole: ingiustizie. E se 1,2 milioni di euro l’anno di contributi Mic a Giffoni vi sembran “pochi”…

Come andiamo denunciando da decenni, una gestione nasometrica della “politica culturale” determina sperequazioni e asimmetrie. In altre parole, ingiustizie.

La decisione assunta dal Ministero rispetto a Giffoni potrà sembrare crudele, ma è sana, perché riduce lo status di soggetto culturale (iper)privilegiato, senza che nessuno abbia mai sottoposto a verifica quel che Claudio Gubitosidichiara con napoleonico orgoglio. Questa è la vera verità, che temiamo sfugga anche alla senatrice Vincenza Aloisio ed ai convinti “supporter” di Giffoni (peraltro – va osservato – tutti o quasi esponenti del M5s).

Un’addenda, in argomento: IsICult ha proposto – lavorando su dati pubblici e fonti aperte – il fiume di sovvenzionamento di cui ha beneficiato Claudio Gubitosi nel corso degli ultimi anni… 

Rimandiamo al dossier pubblicato la settimana scorsa: vedi “Key4biz” del 30 luglio 2024, “Il “caso Giffoni Festival”, ecco il perché del taglio di circa 600mila euro del contributo ministeriale”. 

Abbiamo dimostrato come il sostegno a Giffoni sia andato ben oltre quel livello di 950.000 euro di cui ha beneficiato negli ultimi due anni (2022 e 2023) attingendo ai fondi “Promozione” Mic come festival. Esistono “finanziamenti” paralleli, sempre nell’ambito della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic, e nell’arco di 7 anni Giffoni ha beneficiato di 7,440 milioni di euro. 

Da ricercatori specializzati, dobbiamo riconoscere che abbiamo commesso un errore, e qui facciamo ammenda: attingendo ad un altro capitolo delle sovvenzioni ministeriali, lo stesso Giffoni, nell’arco degli ultimi 7 anni (dall’approvazione della “Legge Franceschini” del 2016 al 2023), ha beneficiato di quasi un altro 1 milioncino di euro… Come dire? “Ad abundantiam”?!

Infatti, l’Ente Autonomo Giffoni Experience ha (anche) vinto 4 edizioni consecutive del bando “Cips”, acronimo che sta per “Cinema e Immagini per la Scuola” (iniziativa congiunta del Ministero della Cultura e del Ministero dell’Istruzione e del Merito, che attinge però sempre agli stessi fondi della Legge Franceschini, ovvero alle casse del Mic e non del Mim), per complessivi 907mila euro. Per la precisione, 309.132 euro per l’edizione 2018 del bando; 118.800 euro per l’edizione 2019; 270.000 euro per il bando 2022; e 210.000 euro per il bando 2023 (i cui risultati sono stati pubblicati poche settimane fa).

Quindi, ai 7,440 milioni già segnalati, vanno aggiunti altri 907mila euro, per un totale di 8,347 milioni di euro a Giffoni, il che significa, su base annua ben 1,2 milioni di euro. 

Non abbiamo dubbi che siano (possano essere considerati, pur in assenza di valutazioni di impatto) danari pubblici… meritati, anzi meritatissimi, ma forse Claudio Gubitosi dovrebbe limitare le proprie lamentazioni. 

Apprezzando che si “toglie” (semmai) ad un “ricco”, per assegnare risorse a “poveri” altrettanto meritevoli. 

Ah, quanto ci piacerebbe che la politica culturale fosse più “evidence-based policy making”. Finora, però, il Governo Meloni, su queste tematiche, poco ha fatto.

[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”. 

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