La settimana che volge al termine stimola un breve consuntivo in relazione ad alcuni accadimenti nell’ambito culturale e mediale.
Ci sono almeno due iniziative che riteniamo possano e debbano stimolare una riflessione: la reazione acida di Confindustria ad una tesi del Ministro Dario Franceschini sulle grandi imprese che investono poco in cultura; lo scontro tra lobby (esercenti e produttori televisivi) sulle “window” per la protezione dei film in sala…
Entrambe le dinamiche evidenziano sintomaticamente le contraddizioni interne della politica culturale italiana. Abbiamo sempre apprezzato la generosità con la quale il Ministro Dario Franceschini ha allargato i cordoni della borsa, ma restiamo dell’idea che stia mancando ancora complessiva lungimirante visione sistemica e strategica.
Si procede ancora troppo con logiche da compartimenti stagni.
Martedì 5 a Torino, il quotidiano “Il Sole 24 Ore” ha promosso una kermesse intitolata “Gli Stati Generali della Cultura” (formula questa degli… “stati generali” ormai un po’ confusa quanto abusata). Sono stati presentati casi di eccellenza dell’intervento dei privati nel sistema culturale, e ieri l’altro mercoledì 6 il quotidiano confindustriale ha dedicato quattro pagine all’incontro.
Intervenendo all’incontro il Ministro Dario Franceschini ha sostanzialmente ripetuto le tesi che aveva manifestato il giorno prima in occasione della presentazione del 13° Rapporto Civita (si rimanda al nostro intervento su queste colonne: vedi “Key4biz” del 4 luglio 2022, “Rapporto Civita 2022: la sostenibilità delle imprese deve essere centrata sulla cultura”): in particolare, ha lamentato che molte grandi imprese italiane non dedichino né investimenti significativi né adeguata attenzione alla cultura.
Anzi è andato oltre, sostenendo che una grande impresa si dovrebbe “vergognare” se non destina una parte dei propri utili al patrimonio culturale del Paese.
Franceschini ha perfettamente ragione, ma… apriti cielo!
Il Presidente di Confindustria l’ha presa male, molto male. Ha sostenuto Carlo Bonomi: “le parole di Franceschini sono l’ennesima riprova del sentimento anti-industriale che c’è nel Paese… Certe espressioni non dovrebbero appartenere a un ministro della Repubblica”.
Questa dialettica evidenzia come ognuno si arrocchi, nell’Italia dei mille campanili, nella difesa dei propri interessi e nell’orgogliosa rivendicazione dei confini del proprio orticello.
Lo scontro tra esercenti cinematografici e produttori televisivi sulle “windows”: un falso problema
Per quanto riguarda il disastrato settore dei cinematografi, dalla riunione di parte significativa degli esercenti italiani, ovvero dalla kermesse “Cinè – Giornate Professionali del Cinema”, tenutasi in questi giorni a Riccione, emerge una rinnovata lamentazione, sebbene non riteniamo essa abbia la forza e l’intensità che meriterebbe: restiamo convinti che la categoria stia rimuovendo il problema essenziale, che è quello della comunicazione e della promozione.
In effetti, in un sistema mediale sempre più ricco nell’offerta, soprattutto grazie alle piattaforme web, è indispensabile ed urgente ri-stimolare i potenziali consumatori a scegliere di andare in sala. In uno scenario altamente concorrenziale, con l’estate che avanza ed invita a stare all’aperto, è una intrapresa complessa, che richiede creatività e budget.
Lo abbiamo segnalato tante volte su queste colonne (vedi, da ultimo, “Key4biz” del 1° luglio 2022, “#soloalcinema: riparte la mini-campagna per il cinema in sala. Ma non basta”). Iniziative come la novella campagna “soloalcinema” – piccina picciò – sono veramente palliativi: pannicelli caldi al capezzale di un malato grave.
Eppure la “categoria” ovvero l’Anec – Associazione Nazionale Esercenti Cinema non sembra ancora cogliere l’importanza della questione, e conduce battaglie che sono in parte di retroguardia: prima fra tutte, quella delle “windows”, ovvero delle finestre temporali di utilizzazione dei film cinematografici nei vari media.
Non staremo qui a sostenere che le “finestre” non abbiano importanza in assoluto nella complessiva economia del settore, ma ribadiamo che questo fattore non è quello essenziale e nemmeno quello prioritario.
Eppure il dibattito invece proprio su questo sembra concentrarsi, registrando nei giorni scorsi una contrapposizione polemica tra l’Anec e l’associazione dei produttori televisivi, quell’Apt ormai Apa – Associazione Produttori Audiovisivi, rappresentata dal Presidente Giancarlo Leone.
Ha dichiarato il Presidente dell’Anec Mario Lorini: “il tema delle window ci sta portando via troppo tempo. Oggi ci troviamo di fronte alla condivisione trasversale di tutti i partiti politici della richiesta di esercenti e distributori di stabilire regole che, mediante una cronologia giusta e sostenibile delle uscite dei film prima al cinema e poi nei successivi mezzi di sfruttamento – piattaforme streaming in abbonamento, vod e dvd, canali televisivi a pagamento e in chiaro –, rimettano ordine e aiutino lo spettatore a ritrovare l’abitudine alla visione dei film in sala, venuta meno durante la pandemia”.
Lorini evidentemente resta convinto (e con lui l’Anec) che questo fattore sia importante e centrale. E su questo fattore l’Anec ha messo in moto una qualche capacità di lobbying in sede parlamentare, avendo stimolato alcune “mozioni” (strumento di pressione normativa peraltro – va ricordato – debolissimo, dal valore più che altro simbolico, dato che “impegna” il Governo in modo lieve assai): “le quattro mozioni parlamentari, presentate all’indomani della discussione in aula sul tema, vedono gruppi parlamentari e forze politiche porre un nuovo invito al Ministro della Cultura Dario Franceschini, affinché sia fornito uno strumento prezioso e universalmente riconosciuto per la salvaguardia del valore sociale, culturale ed economico delle sale cinematografiche”.
Ribadiamo: non è la questione delle “finestre” la priorità.
La priorità deve essere la ri-costruzione di un “immaginario” del “cinema in sala” in Italia: urge una campagna promozionale-pubblicitaria decisa, robusta, ben strutturata
Tutto il resto è accessorio, veramente accessorio.
Mario Lorini ha senza dubbio coscienza dei tanti fattori in gioco, ovvero delle caratteristiche multifattoriali della crisi, ma ancora una volta insiste sulle “finestre”: “a nostro avviso, la questione delle windows andava chiusa lo scorso anno, quando si era già profilata una convergenza sui 90 giorni di prima finestra tra cinema e piattaforme. In tal modo, il Ministero avrebbe potuto dedicarsi ai tanti altri temi altrettanto se non più rilevanti: il valore e la qualità della produzione nazionale, la ripresa del rapporto con gli spettatori; le difficoltà del cinema d’autore a ritrovare il proprio pubblico; le scuole e il giovane pubblico; la stagionalità del nostro mercato; gli incentivi agli investimenti nelle strutture cinematografiche; la formazione degli operatori; le attività di promozione e comunicazione; la profilazione del pubblico; il sistema di incentivi e finanziamenti a tutti i segmenti della filiera”.
I “cahiers de doléances” sono condivisibili, ma l’elenco va gerarchizzato, perché le dimensioni da affrontare sono varie e variegate, e non hanno certamente tutte lo stesso peso nell’economia del sistema.
Attribuire alle “windows” una funzione prioritaria salvifica, anzi miracolistica, ci sembra un grave errore di prospettiva. E che un manipolo di parlamentari si sia fatto convincere sulla priorità di questa istanza non sta a significare una adeguata coscienza (tecnico-scientifica) delle criticità in atto.
Giancarlo Leone, peraltro dal canto suo, non ci sembra veramente il più titolato a ragionare di “sale cinematografiche” in una prospettiva super-partes, dato che egli è evidentemente interprete degli interessi di una lobby altra, che propende ovviamente per una liberalizzazione totale della cronologia di sfruttamento dei film.
Se Lorini ha accusato Leone, il secondo non è stato da meno: “il tema delle finestre nelle sale cinematografiche non è una ‘conventio ad excludendum’ come vorrebbe l’Anec a proposito della titolarità dell’Apa a intervenire nel merito”. Il Presidente dell’Apa ricorda che la sua associazione “rappresenta produttori di serialità la gran parte dei quali, e sono tra i principali del settore, produce anche film e documentari. Dunque, parliamo a nome di tutti loro. Forse Anec non era aggiornata su questa situazione. Ora lo è. Non a caso il Ministro Franceschini ha convocato recentemente una riunione delle associazioni più rappresentative del settore per parlare proprio del tema finestre e Apa e Anec erano sedute una accanto all’altra ed hanno fatto le loro proposte”. E conclude: “la verità è che si continua a trasferire solo sul tema delle windows il dibattito sulla crisi del cinema delle sale, mentre si continuano a rimuovere i problemi connessi alla qualità della fruizione e, spesso, anche del prodotto. Credo sia il caso di riportare al centro della discussione tutti i temi e non vedere nelle finestre una funzione salvifica che contestiamo fermamente”.
Leone porta acqua al suo mulino, ma ha ragione: concentrare il dibattito sulle “windows” è semplicemente fuorviante ed agire su questa variabile – se isolata dal contesto generale e soprattutto, riteniamo noi, dalla comunicazione e promozione – non ha certamente una funzione salvifica.
Si domanda oggi sulle colonne del settimanale specializzato “Odeon / HiTech” (diretto da Angelo Frigerio) l’esperto Alberto Pasquale (studioso di economia del cinema, docente universitario nonché Direttore della Umbria Film Commission), se “davvero la ripresa passa per una window di sei mesi”.
Pasquale ricorda come a fine aprile Paolo Del Brocco (Amministratore Delegato di Rai Cinema) e Giampaolo Letta (Ad di Medusa Film) abbiano firmato sul “Corriere della Sera” un appello congiunto con “quattro proposte strutturali e rapide, senza costi, per scongiurare una pericolosa deriva del sistema cinematografico”.
La lettera aperta è stata efficacemente intitolata dal “Corriere”: “La «sala è centrale» ma i cinema sono vuoti”. Interessante una loro premessa: “può apparire singolare che due grandi gruppi televisivi come Rai e Mediaset, cui fanno capo Rai Cinema e Medusa, si concentrino sulla crisi del mercato theatrical. Siamo convinti assertori della centralità delle sale non per una ragione «romantica» ma per solide motivazioni industriali e di sistema”. Effettivamente, si è trattato di una sortita un po’ “singolare”, per quanto commendevole.
Tra le proposte, anche loro martellano sul tasto della… “cronologia dei media” (che mettono al 1° posto…) e propugnano una “window theatrical” di 90 giorni per tutti i film che escono in sala, come pure aveva in qualche modo preannunciato lo stesso ministro Dario Franceschini: “comprendiamo che i 15 mesi adottati in Francia, seppur efficaci (sono 96 milioni i biglietti venduti nel 2021 Oltralpe a fronte dei 25 milioni in Italia), siano difficili da raggiungere, ma riteniamo che 180 giorni di finestra e protezione dell’uscita in sala siano ragionevoli e necessari almeno per i prossimi tre anni (per poi tornare eventualmente a 105 giorni ante-pandemia)”.
Pasquale destruttura la tesi di Letta e Del Brocco: “si crea un interessante presunzione di causa-effetto: se il pubblico in Francia è costretto ad aspettare cinque trimestri per vedere un film altrove, questa limitazione di accesso al prodotto lo costringerà forzatamente a pagare il biglietto per entrare in una sala cinematografica. Contente le sale, contenti i distributori, contento lo Stato e contento anche il pubblico. Eppure la ripresa c’è stata anche nei paesi che non hanno adottato una regolamentazione così rigida, come il Regno Unito o la Germania”. E conclude: “in altre parole, non vi è alcun rapporto diretto tra normativa sulle finestre e ritorno del pubblico in sala, come dimostrato dal maggior recupero del Regno Unito, dove non c’è normativa, e dagli analoghi risultati, in situazioni opposte, di Spagna e Francia”.
Su questi temi, si rimanda anche al nostro intervento di un mese fa su queste colonne, nel quale si citava – tra l’altro – anche la ricerca comparativa internazionale realizzata dalla ItMedia di Augusto Preta sul tema (vedi “Key4biz” del 13 giugno 2022, “Perché il cinema ‘theatrical’ va a picco in Italia? Un’esperienza personale”), dalla quale non emergeva in modo inequivocabile l’esistenza di una effettiva “causa / effetto”.
Confidiamo che nelle prossime settimane sia il Ministro Dario Franceschini, sia la Sottosegretaria Luca Borgonzoni, sia il Direttore Generale Nicola Borrelli possano comprendere che la questione “window” è accessoria e che la loro attenzione va rivolta altrove: la priorità deve essere assegnata, con tempi rapidi e risorse adeguate, ad una campagna promozionale-pubblicitaria che scardini l’immagine polverosa e vetusta della fruizione di cinema in sala.
Conclusivamente, ci limitiamo a qui segnalare un’altra notizia interessante della settimana che si chiude oggi, tra cultura e media…
Bando Mise “5G Audiovisivo”: 1 milione di euro a One More Pictures per The Jackal
Mercoledì mattina, sul sito web del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), è stata pubblicata la graduatoria finale del bando Progetto “5G Audiovisivo”. Avviso pubblico di cui ci siamo interessati in dettaglio, per la sua vocazione strategica alla convergenza tra due “mondi” che in Italia non interagiscono ancora granché, ovvero le reti ed i contenuti, le tlc e l’audiovisivo: vedi “Key4biz” dell’8 giugno 2022, “Il bando Mise ‘5G Audiovisivo’, la classifica provvisoria”, e prima ancora “Key4biz” del 14 marzo 2022, “5G e audiovisivo, al via la gara da 5 milioni del Mise”.
Il risultato finale mostra un cambio significativo del “ranking”.
Come dire?! C’è chi sale e c’è chi scende, chi entra e chi esce dalla eletta schiera dei vincitori.
Nella graduatoria provvisoria (come avevamo già segnalato su queste colonne), questi erano i 4 vincitori: (1°) Fondazione Sistema Toscana; (2°) One More Pictures srl; (3°) Ei Towers spa; (4°) Balich Wonder Studio srl.
E quindi Rai Way spa e Tim spa risultavano rispettivamente primo e secondo dei non ammessi.
Nella graduatoria finale, la sequenza cambia assai: (1°) One More Pictures srl; (2°) Fondazione Sistema Toscana; (3°) Balich Wonder Studio srl; (4°) Rai Way spa.
E quindi risultano esclusi Ei Tower spa e Tim spa.
Al 7° ed 8° posto risultano confermati (tra graduatoria “definitiva” e graduatoria “finale”), la società di produzione Terra De Punt srl (che ha promosso anche un progetto di emittente televisiva in lingua sarda) ed il gruppo Prima Tv di Tarak Ben Ammar (che controlla anche la Eagle Pictures).
Osservando le tabelle della graduatoria, con i punteggi dettagliati, emerge una qualche perplessità, ma torneremo sulla questione.
Ci limitiamo qui a segnalare la sinossi del progetto (apprezzabile che il Mise abbia finalmente elevato il livello di trasparenza della procedura) “1° classificato”, che andrà a beneficiare di un contributo a fondo perduto di 1 milione di euro, come per gli altri 3 vincitori:
“The Jackal Meta-Show. Il progetto, che vede One More Pictures come società capofila, Tim come partner di telecomunicazione ed i The Jackal come parte artistica, prevede anche la realizzazione di una produzione/evento che darà vita sia ad un prodotto audio/video innovativo sia a una diretta streaming a 360° con regia da remoto. Il concept prevede che all’interno di un’ambiente, suddiviso in più spazi attigui, saranno rappresentate situazioni diverse ma in relazione tra loro ed in contemporanea, alle quali parteciperanno oltre ad attori fisici anche attori in telepresenza, attraverso robot gestiti da remoto tramite Visori di Realtà Virtuale. In uno degli spazi sarà adibita anche una lezione in dad che sarà fruita a distanza in maniera immersiva ed interattiva dagli studenti universitari”.
Da segnalare che, seppur è apprezzabile l’incremento di trasparenza messo in atto dalla Dg retta dall’avvocato Francesco Soro (per esempio, è stata finalmente resa nota la composizione della commissione di valutazione, nella cui composizione paradossalmente non sembra emergere – almeno dai curricula – alcuna competenza tecnica in materia di “audiovisivo”), il Ministero non ha ritenuto di pubblicare la sinossi dei progetti non vincitori, e, per quanto riguarda i non ammessi, nemmeno l’identità dei partenariati, ovvero le associazioni temporanee di impresa. Ed addirittura nemmeno il titolo dei progetti… Perché questa reticenza?!
Torneremo presto su questo bando, perché anch’esso ci sembra sintomatico di alcune carenze di visione strategica, nel rapporto auspicabile tra “reti” e “contenuti”, tra telecomunicazione ed audiovisivo.