Tra azioni pubbliche e movimenti dietro le quinte, è evidente che qualcosa (di grosso) sta smuovendo lo status quo del cinema e della televisione italiana: i segnali sono vari e variegati. Gli allarmi provengono da più fonti, ma soprattutto da coloro che – privilegiati – hanno approfittato della manna statale.
Si conferma un piccolo taglio ai finanziamenti pubblici al cinema e soprattutto una correzione di rotta (radicale) nell’assegnazione delle risorse statali…
Emerge la chance di un innalzamento dei tetti pubblicitari della Rai, per compensare la riduzione del flusso di risorse da canone…
Si tratta di interventi marginali o di cambiamenti radicali?!
Sono i segnali della “rivoluzione dolce” annunciata dalla destra o i segnali di uno sconquassamento radicale del sistema?!
In un Paese abituato alla massima conservazione dell’esistente, anche questioni “piccole” (in apparenza) possono divenire “grosse”.
Rispetto al “cinema” (che va qui inteso come cinema teatrical + audiovisivo non cinematografico), il Ministro Gennaro Sangiuliano mostra un inconsueto decisionismo: nella Legge di Bilancio vengono riformate le commissioni ministeriali, e già questa è una piccola grande rivoluzione, anche se – naturalmente – si attende ancora di conoscere “come” verranno rinnovate, con quali criteri di cooptazione e soprattutto con quali regolamenti di funzionamento che rendano l’attività più trasparente ed efficiente di quella attuale (si rimanda al nostro intervento di mercoledì su queste colonne: vedi “Key4biz” del 25 ottobre 2023, “Cinema, il Ministro Sangiuliano riforma le “commissioni” ministeriali chiamate ad assegnare milioni di contributi pubblici”).
Stefano Mannoni: spostare gli equilibri del mercato pubblicitario corre il rischio di rafforzare “l’assalto alla diligenza da parte delle superpotenze transnazionali digitali”
Rispetto alla “televisione”, una modificazione dell’assetto attuale può provocare conseguenze gravi anzitutto per il Gruppo Mediaset, e c’è qualcuno che ipotizza che vi siano dinamiche occulte di azione / reazione anche rispetto allo “scandalo” provocato dalla vicenda Andrea Giambruno, una vicenda personale che assume un preciso sapore politico (c’è chi sostiene che “Berlusconi (jr) non poteva non sapere” dell’iniziativa di Antonio Ricci, al di là delle pubbliche diplomatiche dichiarazioni e prese di distanza)… E che sia quindi in atto una delicata “partita medial-politica”.
In un articolo pubblicato questa mattina sul quotidiano economico “Milano Finanza – Mf”, l’ex membro dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) Stefano Mannoni prospetta quali potrebbero essere le conseguenze di spostare gli equilibri pubblicitari nel sistema televisivo e mediale italiano: in sintesi – scrive – “le grandi piattaforme godranno da morire”.
Stefano Mannoni – attualmente docente presso la Facoltà di Giurisprudenza di Firenze – sostiene che modificare l’assetto attuale del sistema va a svantaggio della democrazia stessa, in qualche modo oggi presidiata dai broadcaster e dai giornali, evocando il mitico duopolio: “Duopolio televisivo?! Era un dibattito degli anni Novanta e degli inizi del 21° secolo che oggi non rispecchia più le dinamiche sul campo. Che sono quelle di una resistenza a oltranza dei pilastri della sfera pubblica – televisioni e giornali – contro l’assalto alla diligenza della pubblicità da parte delle superpotenze transnazionali digitali. Far West si diceva una volta per fustigare l’appropriazione delle frequenze e della pubblicità da parte di Rai e Mediaset. Ebbene, chi ha seguito lo sviluppo del digitale terrestre sa bene che questa è storiografia. Il far west c’è, ma è quello offerto dall’assalto alla diligenza da parte dei banditi digitali nordamericani. Ma, se tutto questo è vero, perché non attenersi alla raccomandazione latina ‘quieta non movere’? Spostando le condizioni dell’equilibrio si precipita solo in una crisi di cui proprio il valore costituzionale del pluralismo non ha in questo momento alcun bisogno”.
Riteniamo che questa riflessione profonda di Mannoni debba stimolare un’analisi accurata delle dinamiche in atto: si corre sempre il rischio di buttare anche il “bambino” (il pluralismo democratico?), insieme all’“acqua sporca” (l’oligopolio?).
Il sistema cinematografico e audiovisivo italiano è malato, ma molti, negli ultimi anni, hanno chiuso gli occhi
In relazione ai sommovimenti del “mondo cinematografaro”, si osservano strane dinamiche e curiose reazioni: oggi il quotidiano “La Stampa” dedica una paginata all’incertezza che le annunciate modifiche alla Legge Franceschini stanno provocando nelle multinazionali dell’audiovisivo, che potrebbero lasciare l’Italia per preferire nazioni con più stimolanti interventi di agevolazione fiscale.
Interviene anche Giancarlo Leone, fino a qualche mese fa Presidente dell’Associazione dei Produttori Audiovisivi (Apa), attualmente guidata da Chiara Sbarigia (che è anche Presidente di Cinecittà, ma nessuno se ne lamenta), adducendo ignoti studi di un misterioso “Osservatorio Italiano dell’Audiovisivo”, della cui esistenza si apprende in questi giorni… Presunte ricerche che dimostrerebbero la eccezionale efficacia del “tax credit” per la salute del sistema audiovisivo…
Il Presidente dell’Anica Francesco Rutelli, che è stato anche lui connivente “ab origine” del funzionamento (e del mal funzionamento) della Legge Franceschini, ora dichiara, all’improvviso, che effettivamente, sì… le norme vanno cambiate, che debbono essere messi in atto controlli sui meccanismi di sostegno pubblico, e che il Ministero ha una tecnostruttura deficitaria: se ne accorge un po’ tardi, colui che rappresenta la gran parte dei beneficiari dell’assetto esistente…
Ed è veramente surreale che Rutelli cerchi di rigirare la frittata, e, da “accusato”, cerchi di indossare i panni dell’… “accusatore”: lui che da anni decanta le sorti magnifiche e progressive della grandiosa “industria” cine-audiovisiva nazionale, peraltro sostenuto dalla Sottosegretaria delegata, la leghista Lucia Borgonzoni (la quale – va notato – da qualche settimana, sta riducendo la sua continua overdose di entusiasmo)…
Le associazioni di autori sono spiazzate, ed alcuni interpretano l’esigenza di “razionalizzazione” messa in atto dal Ministro come un tentativo repressivo ed illiberale della destra – ça va sans dire – ma questa è senza dubbio una visione pregiudiziale ed ideologica: che sia necessario correggere le storture, fare pulizia (e prima ancora assicurare trasparenza) è una sana esigenza civile, e dovrebbe essere condivisa anche dalla parte più debole dell’attuale sistema di potere. Ovvero dagli autori, che nel corso degli anni hanno assistito alla degenerazione del sistema in nome di una auspicata “piena occupazione” (altro che estensione dello spettro espressivo e della libertà creativa)… Dinamiche patologiche che sono state benedette anche dai sindacati…
Facendo finta di non vedere. Facendo finta di non sapere.
La manna statale ha finito per drogare il sistema.
Il sistema è malato, ormai insano fin dalle radici.
Si deve avere il coraggio di riconoscerlo e mettere in atto processi di autocoscienza, attivando anche una onesta autocritica.
Enzo Mazza (Fimi): “e se confrontassimo l’intervento dello Stato a favore del settore della musica, rispetto a quello del cinema? Nel 2022, 100 % album italiani nella Top 10…”
C’è chi anche, da altro fronte, osserva le asimmetrie tra i settori dell’industria culturale italiana: come ci ha segnalato Enzo Mazza, Presidente della Federazione Industria Musicale Italiana (Fimi), “il tax credit cinema vale 800 milioni. Nessun film italiano nei top ten del 2022 (il primo è al 13° posto). La market share del cinema italiano sul totale: 19 %. L’incasso dei film italiani o coproduzioni è stato di 60,3 milioni, secondo Cinetel nel 2022…”. Partendo da queste premesse il Presidente della Fimi manifesta una sua saggia provocazione: “confrontiamo con musica: tax credit vale 5 milioni. 100 % album italiani in Top 10 nel 2022. Quota repertorio italiano sulla Top 100 venduto nel 2022: 83 %. 102 milioni di euro di ricavi solo da repertorio italiano per le case discografiche”.
Non entriamo nel merito della qualità della musica “made in Italy” che scala le classifiche e produce grandi successi di vendita (abbiamo già espresso critiche aspre sul fenomeno linguistico-sociologico del boom del rap e della trap, ma questo è un altro discorso…), però si deve dare atto che il “confronto” che propone Mazza stimola riflessioni profonde, nelle dinamiche dell’intervento della mano pubblica nel sistema culturale…
Questa tesi di Enzo Mazza è stata condivisiva ieri a Roma dal Sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi (Fratelli d’Italia), in occasione della presentazione del Rapporto Federculture 2023: “rispetto al cinema, per esempio, la musica ha un tax credit a 5 milioni e le prime dieci produzioni sono tutte italiane, con un market share all’83 %. I numeri sono numeri, non hanno colore politico” (si veda anche “Key4biz” di ieri 26 ottobre 2023, “Rapporto di Federculture e il “Dossier Statistico” Immigrazione di Idos: “sociale” e “culturale”, due mondi che non comunicano tra loro”).
E si rinnova il convincimento della carenza di analisi e ricerche indipendenti su come funziona il sistema culturale nazionale, anche rispetto agli squilibri tra un settore e l’altro (affronteremo presto anche la crisi delle fondazioni lirico-sinfoniche…).
Si attendono le prossime mosse dei “decision maker”: nelle more, senza dubbio, per citare un simpatico slogan pubblicitario di un’azienda di profumi di trent’anni fa… “c’è baruffa nell’aria”.
Tra le prossime mosse, si attende la imminente nomina del nuovo Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, l’organo massimo di consulenza del Ministro sulle tematiche del cinema e dell’audiovisivo: la selezione dei nuovi componenti rappresenta un ulteriore test per verificare l’effettiva volontà del Ministro Gennaro Sangiuliano di riformare profondamente la attuale legge sul cinema e sull’audiovisivo, scardinando quei “poteri forti” che dominano il sistema da anni, conservativamente ed autoreferenzialmente.
[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.