Tanto tuonò, finché piovve.
E’ da diversi mesi che si parla di interessamento fitto di investitori cinesi, pubblici e privati, al mondo delle tlc italiane.
Se ne parla nelle aziende, se ne parla nelle stanze della politica.
E non se ne parla soltanto. Nella scorsa estate Cassa Depositi e Prestiti ha ceduto un terzo delle azioni della propria società che si occupa di infrastrutture e reti a investitori cinesi, subito dopo la Bank of China ha acquisito il 2,08% di Telecom Italia e qualche giorno fa capitali cinesi hanno fatto il loro ingresso in Terna.
L’intera questione si può racchiudere in un semplice paradigma: le telecomunicazioni italiane, tutte (con la sola eccezione di Vodafone), hanno un tale livello di indebitamento che rende difficili se non impossibili gli investimenti necessari per assicurare al paese un futuro alla rete in fibra ottica.
Per gli investitori i ritorni sono infatti del tutto incerti, anche nelle aree più ricche dello stivale (e la stessa difficoltà vale peraltro nel resto d’Europa, dove tutti i paesi hanno lo stesso problema)
Per uscire da questo stallo in cui l’Italia si trova, occorre qualcuno che abbia grande liquidità, lungimiranza e un respiro strategico con un orizzonte ultradecennale.
E qui sorge il primo problema, perché in Italia non ci sono, come è noto, investitori disposti a puntare sulle telecomunicazioni (le banche sono appena uscite da Telecom Italia).
E allora, ulteriori e questa volta definitivi investimenti esteri sulle tlc italiane?
Sì, dice qualcuno, ma solo se sono capitali occidentali. E qui sorge l’altro problema, perché non c’è nessuno in fila e chi ci ha provato dall’altra parte dell’Atlantico negli anni passati ne è uscito umiliato dalle logiche di provincia della politica italiana.
E se gli investitori fossero cinesi, come si discute da mesi?
Se gli investimenti sono cinesi, ci ha confessato un attento osservatore, sorgono problemi politici enormi per il ruolo che si riconoscerebbe a capitali cinesi nel controllo della rete in un paese Nato come l’Italia, tutto nella UE quanto a normative da rispettare (o da forzare) e affacciato sull’Africa, il teatro di confronto della nuova guerra fredda tra USA e cinesi per i prossimi anni.
La mia personale sensazione è che va forse cambiato l’approccio.
La politica italiana sta familiarizzando da mesi con il dossier cinese, che al momento non sembrerebbe avere alternative e la vicenda di Telecom Italia Sparkle si pone probabilmente in questo contesto.
L’annuncio in sé di stamane va quindi al di là della singola operazione (sulla quale il presidente di Telecom Italia ha dato immediata smentita).
Va oltre proprio perché si colloca all’interno di un comune dibattere in cui i decisori aziendali e politici italiani devono trovare un punto di soluzione all’enigma sul futuro delle telecomunicazioni italiane.
E’ una gatta da pelare non da poco per il governo Renzi, ma è anche vero che trovare risorse economiche ingenti da investire sulle tlc italiane può rivelarsi una mission impossible…o un problema con una soluzione obbligata.
Perché la gatta va pelata.