Vivendi non ha alcuna intenzione di uscire da Tim. Lo ha ribadito il Ceo del gruppo Arnaud De Puyfontaine, a margine della presentazione della trimestrale, spegnendo le voci di un possibile disimpegno dell’azionista forte di Tim a favore di Orange.
Le voci di una possibile vendita della quota Tim sono “totalmente false”, ha sottolineato De Puyfontaine, ribadendo la volontà di Vivendi di restare nella compagine della compagnia italiana come investitore di lungo termine. In compenso, Vivendi vuole sondare il mercato per la cessione di parte delle quote detenute nella divisione Universal Music Group, che peraltro ha trainato i conti del gruppo transalpino, superiori alle attese con ricavi in aumento del 5,5% fa 3,38 miliardi di euro nel terzo trimestre.
Sta di fatto che Vivendi non vuole rinunciare a dare battaglia all’antagonista Elliott per la governace di Tim.
Dopo la sfiducia lampo al Ceo Amos Genish con i voti favorevoli del fondo americano, Vivendi sarà quindi della partita al Cda di domenica prossima, dal quale uscirà il nome del successore. Nel frattempo, Tim ha spento ieri tutte le voci sui possibili successori di Genish: Luigi Gubitosi, attuale commissario straordinario di Alitalia; Alfredo Altavilla, ex responsabile delle attività europee di Fca e presidente del comitato nomine di Tim; Stefano De Angelis, ex amministratore delegato di Tim Brasil che sarebbe gradito a Elliott; ma in questi giorni a diverso titolo sono circolati anche i nomi di Vittorio Colao, ex Ceo di Vodafone Group e Maximo Ibarra, Ceo di Kpn e già ad di Wind.
Non resta quindi che attendere domenica per conoscere il nome del nuovo ad della compagnia Tlc, che avrà il non facile compito di tenere la barra dritta in vista in un contesto interno (vedi lo scontro aperto in Cda fra Vivendi ed Elliott) ed esterno (l’accelerazione sullo scorporo della rete auspicata dal ministro Luigi Di Maio) alquanto complesso.
Al di là del nome del successore di Genish, che peraltro resta nel board di Tim, il mercato attende di capire se il nuovo corso porterà avanti il piano industriale avviato dal top manager israeliano o se le cose cambieranno.
La vendita delle attività non core (Persidera e Sparkle) resta al momento un punto condiviso in Cda, mentre resta da capire come si definirà la partita della rete, su cui si è consumata l’uscita di scena di Genish, favorevole al mantenimento del controllo di NetCo nel quadro della separazione legale dell’asset e della nascita di un player unico della rete (in linea con Vivendi). Una linea non condivisa da Elliott, che guarda allo scorporo senza porre il controllo come pregiudiziale, ma come viatico per la fusione con Open Fiber.
Il Presidente di Open Fiber Franco Bassanini, citato dal Sole 24 Ore di ieri, ha detto che lo scorporo della rete Tim e la fusione con Open Fiber è la soluzione “win win per gli azionisti di Telecom e per il paese”, perché una volta separati gli asset “si possono fondere le due reti, che sarebbero remunerate con il sistema della Rab”. Ma tutto questo, ha precisato Bassanini, “deve passare da un accordo (con Vivendi ndr) che faccia capire agli azionisti che questa può essere la via di uscita migliore. Con la rab potrebbero essere introdotti obblighi di copertura del servizio universale”.
Il modello RAB (Regulatory asset base) è lo stesso applicato a Terna, Italgas e Snam sulla base di determinati parametri fissati dall’Autorità di regolazione.
Il nuovo Codice delle Telecomunicazioni ha l’obiettivo di assicurare un ambiente favorevole agli investimenti nelle nuove infrastrutture ad alta velocità, con la fibra fino a casa, in un contesto pro-competitivo. Una delle maggiori novità è sicuramente quella dell’Articolo 77 che prevede l’introduzione del modello “wholesale only” (vendita esclusivamente all’ingrosso) in Italia operato da Open Fiber, società che fa capo ad Enel e Cassa Depositi e Prestiti.