Di seguito pubblichiamo il testo della lettera inviata dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil e controfirmata anche dai sindacati di settore Slc-Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil al presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Sottosegretario all’Innovazione tecnologica Alessio Butti sulla situazione di Tim e sulla crisi generale delle Tlc in Italia. La missiva arriva dopo il primo incontro fra Giorgia Meloni e i leader sindacali avvenuto oggi.
Oggetto: Assetto Societario Gruppo TIM e tenuta complessiva del comparto delle TLC
Egregio Presidente,
Vorremmo condividere la nostra fortissima preoccupazione in merito al futuro del Gruppo TIM, degli attuali livelli occupazionali e del suo futuro industriale. Futuro che non può non interessare il generale assetto del mercato TLC del Paese.
Al precedente governo ed a tutti i Gruppi Parlamentari della precedente Legislatura, in più occasioni, abbiamo avuto modo di esporre le nostre ragioni sulla necessità di scongiurare uno “spezzatino” delle attività del Gruppo TIM, un’azione che mal si confarebbe con gli importanti interessi strategici e di sviluppo del Paese e che lascerebbe potenzialmente sul campo migliaia di esuberi.
L’azienda TIM ha proseguito sulla propria idea di frazionamento societario. Il piano industriale 2022-2024 presentato da TIM mira a massimizzare la creazione di valore per gli azionisti, con specifico riferimento agli asset infrastrutturali del Gruppo, anche attraverso soluzioni che comportino il superamento dell’integrazione verticale, evidenziando i vantaggi dell’operazione in termini di recupero di competitività commerciale dell’azienda.
Per quanto ci riguarda questa eventualità continua ad essere sbagliata sotto ogni profilo. In Europa di fatto solo la Danimarca ha deciso di scorporare la rete dall’ex monopolista. I più grandi Paesi del continente continuano a vedere negli ex incumbent delle aziende di sistema, capaci di competere sui mercati esteri, anche in una ottica di aggregazione europea come risposta alla competizione dei colossi asiatici ed americani, ed essere punto di riferimento interno, sebbene in un contesto di libero mercato.
Basta vedere con obiettività cosa è invece accaduto nel nostro Paese nell’ultimo trentennio per capire che evidentemente è il modello scelto ad essere sbagliato. Un settore che ovunque rappresenta un volano di crescita e sviluppo tecnologico è ridotto in Italia a bruciare 12 miliardi di ricavi negli ultimi undici anni.
Una dinamica che ha aggravato gli effetti dei ritardi sul superamento del digital divide e si è drammaticamente riverberata sull’occupazione del settore, in costante diminuzione da decenni. L’ultimo rapporto “Mediobanca” sul mercato delle TLC in Europa del resto evidenzia con chiarezza un dato che ripetiamo con convinzione da tempo: sebbene con qualche difficoltà dovuta alla difficile congiuntura internazionale nel resto del Continente non si assiste al disastro italiano.
Parliamo infatti ancora di un settore che cresce, sebbene non impetuosamente, e che rappresenta negli altri Paesi della UE un polo di attrazione per i giovani talenti. Non si può certo affermare la stessa cosa per le Telco italiane.
Con l’impostazione al PNNR del precedente esecutivo si stavano sostanziando le condizioni per la creazione di tante piccole reti in fibra. Un modello di certo non porterebbe l’Italia a dotarsi di una infrastruttura inclusiva, aperta, capace di garantire a tutte ed a tutti il diritto alla connettività.
Abbiamo apprezzato che Ella abbia ritenuto di menzionare con puntualità il tema della infrastruttura pubblica di telecomunicazione già dal Suo discorso programmatico. Abbiamo altresì letto, come tutti, le varie dichiarazioni circa una nuova impostazione che l’Esecutivo da Lei presieduto vorrebbe imprimere al progetto.
Pensiamo che sia indispensabile non riproporre lo stesso, errato, schema sin qui attuato, ovvero proseguire su un tema tanto complesso e delicato senza alcun confronto con tutti gli stakeholder, ad iniziare dai rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori. Come sindacato confederale riteniamo, nell’interesse della difesa dell’occupazione e degli interessi generali del Paese, che qualsiasi nuovo progetto non possa prescindere da due capisaldi: la difesa dell’occupazione di qualità e la costituzione di un’azienda che non si limiti a fare da mero rivenditore all’ingrosso di connettività ma conservi in mano pubblica elementi industriali di innovazione tecnologica.
Una Tim che si privi di qualsiasi “intelligenza”, a partire dal presidio del mercato dei data center e della cybersicurezza e più in generale dei dati, sarebbe un’azienda dalla scarsa prospettiva futura. Per non parlare del destino di certo non positivo che si troverebbero ad avere quei lavoratori legati al business “retail” una volta immessi in un mercato che sarebbe focalizzato sulla mera vendita di servizi.
Nel frattempo, tutte le aziende del settore sono pervase da riassetti che potrebbero portare ad un vero e proprio stravolgimento, soprattutto sotto il profilo dell’occupazione.
Sono in gioco circa 40.000 posti di lavoro nel prossimo anno fra i maggiori player del settore ed il composito mondo degli appalti (istallazioni telefoniche, call center, information tecnology). Ci rivolgiamo quindi a Lei, per dipanare questa complicata situazione per il bene del Paese e delle lavoratrici e dei lavoratori occupati nel Gruppo TIM e nel settore, anche in considerazione del ruolo da protagonista che ha lo Stato in questa vicenda in quanto secondo maggior azionista del Gruppo TIM e primo azionista di OPEN FIBER, aziende direttamente coinvolte nel percorso di realizzazione della RETE UNICA. Per tutte queste ragioni Le chiediamo di voler promuovere un urgente incontro sul complesso di queste questioni presso la Presidenza del Consiglio.
Tlc: Meloni, infrastrutture strategiche siano pubbliche
Per le telecomunicazioni “le infrastrutture strategiche siano sotto controllo pubblico”. Lo ha detto la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai sindacati a palazzo Chigi. Nell’ambito di questo ragionamento Meloni avrebbe citato la società Tim.