Il day after della sfiducia ad Amos Genish si apre con il titolo Telecom Italia in calo del 3% dopo il blitz di ieri. Lo scontro fra Vivendi, che controlla il 23,9% del gruppo, e Elliott, che detiene l’8,8% delle quote, è sempre più aspro, in attesa della nomina del nuovo amministratore delegato fissata per domenica 18 novembre.
E mentre i sindacati (Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil) annunciano un presidio al Mise per il 22 novembre – data dell’incontro con il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio, che vuole chiudere il dossier della rete Tim entro l’anno – il mercato e gli osservatori si interrogano sul futuro dell’azienda.
Le incognite su Tim e rete unica
Sarà spezzatino?
L’azienda darà il via libera allo scorporo della rete?
Quale sarà il perimetro della Netco di Tim, il cui progetto di separazione volontaria è sotto scrutinio dell’Agcom?
La strada per lo scorporo, comunque, è ancora lunga, perché dopo la conclusione del procedimento dell’Agcom sarà necessario sottoporre lo schema di provvedimento all’Unione europea e aspettare la risposta.
Sarà una semplice separazione legale della rete, oppure si procederà ad uno scorporo totale del network con rinuncia al controllo?
Sarà uno “scorporo a metà”, che riguarda soltanto Open Access e la rete di accesso dell’ultimo miglio?
Quanti dipendenti passeranno nella Netco, quanti resteranno in ServiceCo di Tim?
Quanta parte di debito passerà alla Netco?
La nuova entità confluirà in una società unica della rete, con Open Fiber?
Il controllo sarebbe pubblico? Da parte di chi? Si parla di Cdp, mentre l’ad di Enel Francesco Starace non è favorevole alla fusione.
Player unico obiettivo di Di Maio
Il progetto di rete unica a controllo pubblico è perseguito dal ministro Di Maio, per realizzare una grande rete di distribuzione paragonabile ai modelli di Terna e Snam già adottati nel settore di energia elettrica e gas. L’accordo raggiunto in sede UE sul nuovo Codice delle Comunicazioni Elettroniche sembra favorire l’adozione del modello che proposto da tempo dal M5S. “Ma per farlo, c’è bisogno non solo della rete di accesso, ma anche dei collegamenti (link) da e per le infrastrutture di Rete Fissa e Mobile di TIM e tutta la Rete e la organizzazione di Sparkle”, aveva detto Mirella Liuzzi, Segretario di Presidenza della Camera, esperta di Tlc e Digitale dei 5 Stelle in un’intervista dell’11 giugno.
Perché ciò si realizzi è necessario il voto favorevole degli azionisti di Tim. Se Elliott sembra favorevole al progetto del Governo, Vivendi al contrario non vuole rinunciare al controllo di Netco. E questo nodo va superato internamente all’azienda.
Per uscire dall’’impasse, Vivendi potrebbe convocare un’assemblea generale, che si terrebbe quaranta giorni dopo la convocazione. Obiettivo: riprendere le redini del Cda. La decisione potrebbe arrivare nelle prossime settimane, per fissare la riunione a gennaio 2019. Certo, ci vorrebbe la certezza per il gruppo francese di vincere il confronto con Elliott, che forte dell’appoggio della Cdp, aveva vinto la battaglia lo scorso 4 maggio ottenendo la maggioranza nel board.
La posizione di Vivendi
Secondo quanto riportato oggi da Les Echos, che riporta la visione di Amos Genish e Vivendi in tema di rete, se fosse stata una buona idea separarsene lo avrebbero già fatto anche altri player storici europei, ad esempio Orange in Francia e Deutsche Telekom in Germania.
Il quotidiano nota che invece il controllo della rete fissa rappresenta un grosso vantaggio anche in ottica 5G, aggiungendo che la rete da sola non sarebbe in grado di finanziare da sola la quota di debito che le verrebbe assegnata (15 miliardi di euro) e che sarebbe quindi necessario prevedere migliaia di esuberi.
Secondo Les Echos, Vivendi potrebbe accettare la fusione della rete Tim con quella del concorrente Open Fiber soltanto mantenendo il controllo della nuova entità.
Ed è per questo che la posizione “aperturista” di Elliott, che è invece favorevole alla separazione di Netco, ma anche alla vendita della quota del 60% nella società delle torri Inwit e del business in Brasile, è criticata da Vivendi come una visione di breve termine al solo scopo di fare cassa.
La posizione di Elliott
La posizione di Elliott sulla rete è diametralmente opposta a quella di Vivendi. Sono diversi gli esempi internazionali di separazione della rete come già avvenuto in Repubblica Ceca, Australia, Nuova Zelanda e a breve in Danimarca. Elliott imputa ad Amos Genish il fatto di non aver voluto considerare la fusione con Open Fiber, pur sapendo che questa soluzione avrebbe potuto persino triplicare il valore della rete Tim a più di 20 miliardi (vedi l’articolo del 10 aprile 2018 Rete Tim, per Elliott vale 9 miliardi di euro), e che il Governo italiano sta per varare una normativa (basata sul modello RAB) favorevole alla condivisione delle reti in ottica di operatore unico sul modello wholesale only, promosso dal nuovo Codice delle Comunicazioni Elettroniche in via di approvazione nella Ue.
Il modello RAB e il player wholesale only
Il modello RAB (Regulatory asset base) è lo stesso applicato a Terna, Italgas e Snam sulla base di determinati parametri fissati dall’Autorità di regolazione.
Il nuovo Codice delle Telecomunicazioni ha l’obiettivo di assicurare un ambiente favorevole agli investimenti nelle nuove infrastrutture ad alta velocità, con la fibra fino a casa, in un contesto pro-competitivo. Una delle maggiori novità è sicuramente quella dell’Articolo 77 che prevede l’introduzione del modello “wholesale only” (vendita esclusivamente all’ingrosso) in Italia operato da Open Fiber, società che fa capo ad Enel e Cassa Depositi e Prestiti.