Il tribunale di Milano ha accolto il ricorso di Tim e Vivendi, togliendo così dall’ordine del giorno dell’assemblea di domani il punto sulla revoca, chiesta dal fondo Elliott, dei consiglieri dimissionari in quota Vivendi. Le cose cambiano di poco, visto che il rinnovo del consiglio di amministrazione di Tim sarà votato fra meno di due settimane all’assemblea del 4 maggio.
La decisione odierna del tribunale era già stata preannunciata dalla decisione del Fondo Elliott “di interrompere la sollecitazione di deleghe” per l’assemblea di domani 24 aprile. I soci di TIM, oltre al bilancio, domani non dovranno decidere l’eventuale revoca di sei consiglieri in quota Vivendi e la nomina di nuovi rappresentanti da una propria lista.
Lo stop – precisa il fondo in una nota – segue “il quadro di incertezza venutosi a creare a esito delle azioni giudiziarie prima annunciate da Tim e proposte in concreto solo il 13 aprile con riferimento alla decisione del collegio sindacale di integrare l’ordine del giorno dell’assemblea del 24 aprile”.
Bisognerà quindi attendere il 4 maggio per sapere chi fra i due contendenti – Vivendi che controlla il 23,9% di Tim o Elliott che detiene l’8,8% e diritti per salire al 13,7% – prenderà il controllo del Cda e potrà così decidere le strategie future della compagnia.
Il fondo americano creato da Paul Singer sembra favorito per diversi motivi. In primo luogo, la grande liquidità di cui dispone, pari a 32 miliardi di dollari. Il fondo ha incassato poi l’appoggio di diversi fondi istituzionali – ISS, Glass Lewis e Frontis – oltre ai piccoli azionisti di Asati. Anche la Cassa Depositi e Prestiti, che ha rilevato il 4,2% di Tim, si è schierata con Elliott.
Sembra quindi plausibile che Vivendi – su cui pesano gli screzi degli ultimi due anni con il Governo italiano sui bandi Infratel, il golden power sugli asset strategici di Tim e il conflitto con Mediaset per la mancata acquisizione di Premium e la scalata ostile al Biscione – possa finire in minoranza. Resta da capire se il sostegno teorico incassato da Vivendi non più tardi di venerdì da parte dei sindacati sul progetto di societarizzazione della rete (da mantenere all’interno del perimetro aziendale) potrà in qualche modo influire sull’esito del voto.
Di certo, quel che più conta per il sistema Italia e per i cittadini sono le conseguenze che lo scontro fra stranieri per il controllo del primo operatore di Tlc del paese avrà sulll’asset principale del gruppo, vale a dire la rete. Il Governo appoggia apertamente l’iniziativa del fondo Elliott, che vuole procedere con lo scorporo e la valorizzazione della rete, valutata dagli americani in un range compreso fra 10 e 15 miliardi di euro dopo lo scorporo.
Vivendi dal canto suo ha proposto un’opzione più prudente, che prevede in un primo momento la societarizzazione della rete il cui controllo resterebbe però in mano a Tim.
Fra le due opzioni in campo sul futuro della rete Tim, quella di Elliott riscuote i favori del Governo in particolare del ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda ed è condiviso in linea di massima dalle forze politiche, favorevoli allo scorporo e in prospettiva alla fusione con Open Fiber per la creazione di una rete unica e neutrale, aperta a tutti i player sul mercato, sul modello di quanto già avviene nel mercato energetico dell’elettricità e del gas (Terna e Snam).
Vedremo.