Oggi il Financial Times, nella sua Lex column, chiama in causa il Governo di Giorgia Meloni sull’offerta del fondo americano KKR per la rete Tim. E non sembra un caso, visto che sul futuro della rete e dell’intero comparto delle telecomunicazioni, in crisi, l’ultima parola spetta al premier Giorgia Meloni.
“È un dossier molto complesso, sul quale siamo molto attenti. Si tratta di un’azienda quotata, e quindi è bene essere prudenti”. Così la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel corso di un punto stampa alla prefettura di Milano. “È un dossier che stiamo seguendo con molta attenzione”, ha concluso ripresa da Ansa e Adnkronos.
E’ lei ad avere l’ultima parola, e nessun altro membro del Governo, nemmeno gli altri ministri che si occupano del dossier, Giancarlo Giorgetti (Mef), Adolfo Urso (Mimit) e il sottosegretario Alessio Butti (Dtd). L’intera campagna elettorale di Giorgia Meloni si è basata sul controllo pubblico della rete nazionale. Un dettaglio non da poco, che fa il paio con un altro punto fermo: chi conta sul fronte della governance aziendale è chi ha la maggioranza delle azioni in mano. Il controllo strategico della rete non basta, se fondato semplicemente sulla governance, perché le governance si decidono e si sciolgono come neve al sole.
Detto questo, ieri il ministro dell’Economia Giorgetti è tornato a parlare dell’offerta da 20 miliardi di euro del fondo KKR: “Credo che non potremo giudicare l’offerta di Kkr, che per altro ancora non conosciamo dettagliatamente, esclusivamente secondo i principi di redditività o profitto perché la rete è un’infrastruttura strategica per il Paese ed è in questo aspetto che bisogna capire come vengano garantiti gli interessi generali”.
Tim: Offerta di KKR valida fino al 28 febbraio
L’offerta non vincolante del fondo KKR per la rete Tim dura fino al 28 febbraio e il Cda di Tim “si riunirà il giorno 24 febbraio per discuterla e assumere le decisioni del caso, dunque prima del termine di durata dell’offerta”. Lo fa sapere Tim in una nota, ribadendo di essere “pronta a considerare altre opzioni”.
Il messaggio fra le righe, nemmeno troppo velato, è rivolto a CDP dalla quale la compagnia attende una controfferta alternativa per la rete a quella del fondo americano, che secondo indiscrezioni, sarebbe di 18 miliardi di euro più un premio di 2 miliardi in caso di revival del progetto rete unica con il via libera della Commissione Ue al merger con Open Fiber, controllata al 60% dalla Cassa e al 40% dal fondo Macquarie.
Secondo Repubblica, Kkr valuta la società dei cavi sottomarini Sparkle 1,25 miliardi, la rete primaria che dalle centrali va all’armadietto 6,75 miliardi e la rete secondaria di Fibercop che dagli armadietti entra nelle case di tutti gli italiani 10 miliardi. Nel 2020 il fondo Usa aveva valutato Fibercop 7,7 miliardi all’atto di rilevare da Tim una quota di minoranza pari al 37,5%. L’offerta non vincolante di Kkr è già finanziata con 10 miliardi di capitale (e firmata da Jp Morgan, Morgan Stanley e Citi che sono pronte a finanziare a debito altri 10 miliardi) e ha dato tempo fino al 28 febbraio a Tim, per ricevere una risposta e in caso affermativo partire con l’analisi per confermare un’offerta vincolante.
I numeri di Tim sul Financial Times
Secondo il Financial Times, che si schiera in modo del tutto irrituale e sospetto a favore di KKR, è tempo di valutare un cambiamento in Tim, che di fronte ad un’offerta di 20 miliardi non può tirarsi indietro. “Deve valutarla”, scrive il quotidiano, ricordando il debito lordo di 33 miliardi che pesa sulle casse aziendali. L’offerta di KKR, prosegue il quotidiano, “non è un colpo da Knockout”, visto che il primo azionista Vivendi aveva parlato di valore più alto (almeno 31 miliardi per la rete). “Ma la rete di Tim è perlopiù in rame e ha bisogno di investimenti per 7 miliardi per l’upgrade alla fibra”, scrive il Financial Times, secondo cui i soldi di KKR permetterebbero a Tim di ridurre il suo debito.
“La quota del 37,5% detenuta da KKR in Fibercop, la società della rete secondaria di Tim, potrebbe essere valutata fino a 4 miliardi, secondo il quotidiano. Gli altri 16 miliardi di proventi (se Tim decidesse di vendere la rete per intero) lascerebbe Tim con 9,5 miliardi di debiti netti, pari a 4,5 miliardi before leases. Ma il Governo potrebbe essere interessato a ben altri numeri, in particolare ai più di 40mila dipendenti di cui non è chiaro quanti potranno passare sotto la nuova Netco gestita in mano ad un fondo americano”, scrive il Financial Times.
E non a caso i sindacati sono preoccupati e hanno già chiesto udienza al premier per parlare della rete.
Una cosa è certa: se l’operazione dovesse andare in porto, c’è da aspettarsi un grave problema di esuberi e licenziamenti.